La lettura

Startup, l’ecosistema per poter competere a livello globale

Un libro, intitolato “Storie di startup dalla A alla Z”, dedica ventisei capitoli – uno per ogni lettera dell’alfabeto – ai temi chiave del mondo startup per illustrarne l’ecosistema in grado di generare valore e di essere competitivo a livello globale

Pubblicato il 23 Set 2021

Vincenzo E. M. Giardino

Financial Advisor & Venture Capitalist

Ecosistema startup

La necessità di creare l’ecosistema startup, fondamentale per poter avere un impatto tangibile e generare valore per il nostro futuro, è l’elemento cardine per poter scalare a livello globale. Se ne parla in “Storie di startup dalla A alla Z”, edito da EGEA 1, libro, profondamente innovativo nel suo DNA. Ventisei capitoli – uno per ogni lettera dell’alfabeto – dedicati ai temi chiave del mondo startup, curati da altrettanti professionisti dell’ecosistema dell’innovazione italiano.

Galassia startup, l’importanza di applicare i modelli

L’accelerazione della trasformazione digitale durante la pandemia

L’innovazione è una vera e propria ossessione della società moderna. Come fa notare lo scienziato e autore Vaclav Smil, i risultati di una ricerca Google per la query “innovation” erano, a fine 2019, più di 3.2 miliardi, ben superiori al miliardo di “economic growth”, 481 milioni di “terrorism e 385 milioni di “global warming”.

Ormai, la tecnologia è quotidianamente al centro delle notizie economiche, sanitarie, finanziarie e geopolitiche: dal ruolo di primo piano dato al digitale e alla transizione energetica nel Recovery Plan, alle discussioni su acquisto e proprietà intellettuale dei vaccini anti Covid-19 e dalle società di Big Tech che raggiungono valori stratosferici in Borsa sino alla lotta tra grandi potenze nel settore dei semiconduttori.

La trasformazione digitale è in corso da decenni, ma ha accelerato con il diffondersi della pandemia e le conseguenti chiusure, costringendo a un brusco passaggio da offline a online in settori ancora molto fisici come l’istruzione, la grande distribuzione alimentare, la sanità e la pubblica amministrazione.

Ad esempio, le piattaforme digitali riescono a fare qualcosa di impossibile nell’economia fisica, ovvero personalizzare il proprio prodotto sempre di più all’aumentare degli utenti, grazie a una maggiore mole di dati da fornire all’intelligenza artificiale, crescendo quindi a ritmi esponenziali fino a che non conquistano l’interno mercato di appartenenza.

Startup è uguale a crescita

Le startup nascono proprio per questo mondo intangibile. Come ha scritto il fondatore di Y-combinator, Paul Graham, “startup è uguale a crescita”.

Trovare un modello di business altamente scalabile è l’obiettivo primario e le nuove tecnologie sono il mezzo primario per raggiungere questo obiettivo.

È proprio nel libro “Storie di stratup dalla A alla Z” che vengono forniti chiaramente gli elementi chiave per orientarsi nel mare agitato dell’ecosistema delle startup attraverso la voce di autorevoli stakeholder dell’ecosistema stesso: si racconta la visione del fare impresa innovativa adottando una chiave espositiva non convenzionale e fuori dagli schemi. Le informazioni riportate nel libro offrono un mirato approfondimento pratico, il tutto accompagnato da insights, casi pratici e falsi miti di chi, per primo, ha contribuito alla nascita di questo settore sempre con un parallelismo ai sistemi più sviluppati rispetto all’Italia, come ad esempio la Silicon Valley.

Innanzitutto, è importante definire il campo in cui si gioca la partita, ossia illustrare l’interconnessione del singolo (per esempio la startup) con il suo ecosistema (e viceversa) e la centralità delle tematiche di sostenibilità per ogni attore coinvolto (startup, investor, corporate, institutional).

Il founder è al centro del suo ecosistema e tutti gli altri attori gli ruotano creando virtuosismi che abilitano nuove forme di collaborazione come ad esempio l’Open Innovation.

Il ruolo dell’Open innovation

Il primo studioso a dare una definizione al concetto di Open Innovation è stato Henry William Chesbrough, economista e scrittore statunitense che nel 2003, nel suo saggio “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”, la definì “Un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche.”

All’interno di queste dinamiche, ha preso sempre più spazio all’interno del patrimonio intangibile del sistema, il know-how e la necessità di realizzare correttamente il technology transfer, garantendo al tempo stesso la protezione della proprietà intellettuale.

Subito dopo viene considerato il mercato che si vuole andare a conquistare attraverso la definizione di corretta strategia di go to market. Per fare questo è necessario avere una mission chiara e, soprattutto, l’ambizione e la perseveranza di realizzarla: sono proprio questi gli elementi che riescono a differenziare un’impresa di successo da una mediocre.

L’esecuzione è dunque importante, quasi più dell’idea contenuta nel business plan stesso o il prodotto / servizio venduto: per questo motivo, sono fondamentali non solo le metriche e i KPI, ma anche l’approccio diretto al MVP (Minimum Viable Products) che deve portare sempre a soddisfare in maniera iterativa la necessità del cliente.

Per tali ragioni, è centrale non solo il prodotto o servizio in sé e per sé considerato, ma anche il problema stesso che si va a risolvere: il modo in cui viene sviluppata la soluzione deve essere per sua natura smart e lean, concentrarsi sull’importanza di puntare a un mercato globale, trovando un business model scalabile ed una hockey stick growth.

Come si vedrà discorrendo tra le pagine, la vita di una startup è dunque in continua e costante evoluzione.
Per sostenere la sua crescita si avrà spesso bisogno di ricorrere a capitali, provenienti sia dal processo di fundraising tradizionale che dalla finanza agevolata ossia con il giusto mix di strumenti disponibili non-equity come ad esempio bandi nazionali, internazionali o debito garantito.

I vari round di finanziamento, sia in fase seed che in stadio più avanzato, saranno sempre preceduti da un attento processo di analisi e due diligence, che porterà, in caso di successo, all’ingresso nella propria cap table di nuovi investitori che dovranno portare “smart money”, ossia network e competenze industriali utili a scalare più velocemente.

In paesi come l’Italia, ancora fortemente legati al vecchio paradigma industriale, è comune vedere le startup quasi come un fenomeno isolato di “ragazzini che lavorano a una nuova app”. Questo porta anche a scambiare i sintomi per le cause: in particolare, l’ammontare complessivo di capitali investiti nel venture capital inferiore anche di un ordine di grandezza rispetto a Francia, Germania o UK. Incoraggiante però è il punto di vista del professor Giancarlo Giudici, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Crowdinvesting della School of management del Politecnico di Milano, che riporta un dato molto ottimistico per il mercato di capitali italiani ossia il raggiungimento di quasi un miliardo di euro di raccolta col crowdinvesting.

Le startup e l’ecosistema che ruota intorno a loro, dagli investitori alle grandi società, non sono un settore dell’economia o fenomeni isolati, ma costituiscono il miglior metodo per innovare e creare valore aggiunto nel capitalismo degli intangibili.

L’idea di cross-contamination con nuove modalità e sguardi anche fuori dai nostri confini è confermata da Andrea Zorzetto, Managing Partner di Plug and Play Italy, la piattaforma di innovazione che ha portato nel nostro Paese il mindset della Silicon Valley. Per Zorzetto “l’Italia è un Paese ad altissimo potenziale, che si appresta ad una crescita importante nei prossimi anni grazie se riuscirà a coniugare i metodi dell’open innovation/innovazione aperta alle eccellenze industriali del nostro Paese, dall’automotive all’agroalimentare, dall’energia all’aerospaziale”.

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