Continua l’altalena degli annunci pubblici e privati relativi a bitcoin e continua l’altalena delle sue quotazioni. Questa altalena è legata all’elevata volatilità di bitcoin, una delle sue caratteristiche peculiari. Ma, guardando al medio termine, ad esempio agli ultimi due anni caratterizzati da forti oscillazioni, non sfugge la crescita dirompente della quotazione di bitcoin in assoluto e in termini relativi.
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Ad esempio, se confrontiamo gli indici delle quotazioni di bitcoin e quelle del Nasdaq, il mercato americano più legato all’innovazione e quindi più dinamico, troviamo che, posto 100 il valore delle due quotazioni all’inizio del periodo considerato, ossia il 10 ottobre 2019, ad oggi (4 ottobre 2021) gli incrementi percentuali dei due indici sono rispettivamente del 488% per bitcoin e del 95% per il Nasdaq. Ovvero, il valore di bitcoin è quasi quintuplicato, mentre Nasdaq è poco meno che raddoppiato (vedi grafico 1). Quindi, la volatilità a breve non impedisce a bitcoin di rappresentare un investimento eccellente a medio termine.
Grafico 1. Indici delle quotazioni di bitcoin e Nasdaq (base 4 ottobre 2019) fonte Yahoo finance
Eppure, la lista dei paesi che interferiscono o rendono illegali le transazioni in bitcoin si allunga più delle assai brevi liste dei paesi che consentono i pagamenti in bitcoin o che addirittura considerano bitcoin come valuta corrente (vedi vedi tabella 1).
Tabella 1. Paesi in cui vi sono proibizioni o forti limitazioni alla circolazione di bitcoin e delle criptovalute[1]
La volontà di egemonia cinese
Anche i ripetuti annunci della Cina, pur causando rallentamenti nella crescita o addirittura crolli momentanei delle quotazioni di bitcoin, non sembrano in grado di impedire alla moneta elettronica di muoversi in una zona che gli analisti ritengono di ripresa del ciclo rialzista, anche se non con i ritmi formidabili dello scorso anno.
La Banca del Popolo, per bocca del responsabile della protezione dei diritti dei consumatori, aveva messo in guardia a fine agosto la popolazione a proposito dei rischi connessi con le cryptovalute definite “asset speculativi” e invitando a “badare al proprio portafogli”. Dopo un mese, il governo ha dichiarato illegali tutte le transazioni in cryptovalute, causando una caduta della quotazione di bitcoin su scala mondiale di circa 2.500 dollari per bitcoin. Ma dopo la caduta le transazioni hanno ripreso e nel mese di ottobre sono salite oltre 2,2 migliaia di miliardi di dollari, ben al di sopra degli 1,9 miliardi registrati a fine settembre.
Gli attacchi della Cina sono dettati da una serie di motivazioni, alcune delle quali legate a motivi di prestigio, altre a paure del governo e del Partito rispetto alle condizioni economiche e sociali del Paese.
Sul primo punto, ossia quello del prestigio, troviamo che il governo e le autorità bancarie intendono avviare la diffusione di una moneta elettronica nazionale. Si tratta di un’operazione che, nelle intenzioni di Pechino, richiede che il palcoscenico digitale sia sgombro e tutta l’attenzione si concentri sull’operazione di emissione del Renminbi digitale. La scommessa è importante: la moneta è stata, negli anni del capitalismo-comunista, uno dei segni tangibili del successo cinese. Un fallimento o una entrata in scena con inciampi della moneta digitale nazionale sarebbe un disastro politico che Xi Jinping non intende subire.
Ma vi è anche un altro significato che l’emissione della moneta digitale ha per il governo e per il Partito. Essi stanno conducendo, su indirizzo preciso del Presidente, una battaglia contro i giganti del web cinesi, in particolare contro quelli che detengono sistemi di pagamento elettronici talmente diffusi da aver spiazzato completamente le banche di stato. Questo processo, divenuto una vera battaglia nel caso di Alibaba, ha portato alla luce la volontà di Pechino di non concedere alle Big Tech cinesi, lo spazio per affermarsi come nuove istituzioni di pagamento e soprattutto come nuove istituzioni finanziarie. Alipay, la società che avrebbe dovuto essere collocata in borsa con l’IPO più importante della storia finanziaria, è stata bloccata dall’autorità monetaria e dal regolatore. È lo stop alla crescita del suo ruolo come sistema di pagamento e soprattutto come istituzione finanziaria in grado di erogare prestiti alle piccole imprese, in modo più efficiente, meno costoso e meno “controllato dal regime”.
Le preoccupazioni manifestate dalle autorità cinesi a proposito della volatilità delle cryptovalute o a proposito della solvibilità delle nuove fintech come Alipay, sono dettate soprattutto dalla paura di perdere, come governo e come Partito, il controllo sul credito al consumo e soprattutto sul credito alle piccole imprese.
La volontà di egemonia cinese si esprime quindi sia in termini internazionali, puntando ad essere uno dei primi paesi che si dotano di una valuta digitale ufficiale, ma anche dalla volontà di mantenere un controllo prioritario all’interno del Paese delle leve del credito nelle mani del Partito e del governo.
Il sentiment verso Bitcoin
Queste manovre del governo cinese non affossano le quotazioni in modo stabile perché in realtà, trattandosi ancora di una base di operatori relativamente ristretta, esse finiscono per attirare attenzione e rinfocolare quello spirito libertario che è tra i segni distintivi dei sostenitori di bitcoin in particolare e delle cryptovalute in generale.
Se la popolarità di bitcoin cresce, cresce anche la base degli investitori in bitcoin. I nuovi investitori sono anche quelli con aspettative di successo più elevate, e quindi essi alimentano il sentiment generale verso la crescita delle quotazioni.
Se nel 2028-2020 si contavano circa 13.000 operatori in media per bitcoin, oggi quel numero rappresenta i nuovi operatori che si affacciano sul mercato ogni giorno: sono loro che sospingono le quotazioni o le mantengono elevate anche quando qualche governo o autorità cerca di affossarne il valore.
Note
- ) Elaborazione su informazioni tratte da: Chloe Orji, Bitcoin ban: These are the countrieswhere crypto is restricted or illegal, Euronews.next, 24/9/2021. ↑