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Cybersecurity, perché la Cina è considerata la minaccia principale

Le manovre di Pechino in ambito tecnologico e geopolitico destano non poca preoccupazione in ambito internazionale. Ma quali sono le ragioni?

Pubblicato il 04 Nov 2021

Benito Mirra

Chief Security Officer Advisor

privacy_cina

Quando si parla di cyber sicurezza, in qualsiasi presentazione pubblica di Huawei, in qualsiasi paese, il motto che chiude la presentazione è: “Many hands, Many eyes”. Leimotiv indicato dai dipartimenti “Corporate Communication” dell’azienda.

Il concetto è stato ripreso anche dal CSO di Huawei qualche mese fa durante la presentazione del centro di cybersecurity di Roma: “per Huawei la sicurezza è uno sforzo collettivo e collaborativo per questo il nostro motto è: Many hands, Many eyes”.

Ma cosa significa sforzo collettivo in ambito cybersecurity?

Partiamo dalla Cina

Le notizie sulla minaccia informatica rappresentata dalla Cina e dalle sue aziende tecnologiche appaiono regolarmente sui media di tutto il mondo. La maggior parte sostengono che Pechino stia usando il potere informatico per conquistare il dominio globale e che ci sia il governo cinese dietro le quinte di molte attività informatiche dannose.

Quando tutto ebbe inizio

Alla fine degli anni ’90, l’allora presidente cinese Jiang Zemin lanciò un appello alle aziende del paese: “Sparpagliatevi!”.

Nel giro di otto anni, Huawei si è imposta sui mercati di Asia, Africa, America Latina e, più recentemente, Europa, iniziando sempre prima con il più piccolo attore di mercato, poi al prossimo più grande. Fino a quando non è arrivata alla pubblica amministrazione.

Nel 1993, a qualche anno di distanza dalla Guerra del Golfo, l’esercito cinese ha adeguato la sua linea guida strategica militare fissandola con: “vincere le guerre locali in condizioni di alta tecnologia”, obiettivo fondamentale dei preparativi per la lotta militare. Nel 2004, un anno dopo la guerra in Iraq, la strategia dell’esercito è stata modificata in: “vincere le guerre locali in condizioni di informazione”.

Una comprensione di base, elaborata nella Difesa nazionale cinese nel 2004 , è che “l’informazione è diventata il fattore chiave per migliorare la capacità bellica delle forze armate”. Ma la prima volta che l’esercito cinese ha affrontato pubblicamente la guerra cibernetica da un punto di vista olistico è stata nella versione del 2013 di ” The Science of Military Strategy“, uno studio dell’Academy of Military Science, sottolineando che il cyberspazio è diventato un nuovo ed essenziale dominio della lotta militare nel mondo di oggi, riprendendolo nel documento del Ministero della Difesa Nazionale Cinese del 2015 intitolato ” Strategia militare cinese” da qualche tempo non più online.

La guerra economica e la “diplomazia coercitiva”

La guerra economica fa parte dell’arte di governo da secoli; quindi, non sorprende che la Cina stia sfruttando la sua crescente influenza economica per fini politici. Ma ciò che potrebbe essere insolito è quanto oggi stia diventando inefficace la tattica. La Cina è sempre più propensa all’adozione di misure economiche coercitive contro paesi che considera ostili, prendendo di mira spesso aree commerciali simboliche e visibili, impiegando strumenti informali difficili da richiamare o contestare presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) o altri organismi, come ritardi doganali, negazione dell’accesso al mercato, ispezioni più rigorose all’importazione, preoccupazioni fitosanitarie (come nel caso di Taiwan) e antidumping. In genere in questi casi, Pechino nega qualsiasi legame tra le misure e le eventuali tensioni politiche, ma si assicura che “l’obiettivo” recepisca il messaggio. Non sono da meno i media statali che incoraggiano anche boicottaggi popolari apparentemente spontanei, incitando la rabbia pubblica contro il paese preso di mira.

Secondo uno studio  dell’Australian Strategic Policy Institute , la Cina ha usato la “diplomazia coercitiva” più di 150 volte contro governi e imprese straniere dal 2009. Gli osservatori spesso tendono a esagerare l’impatto di queste azioni, dipingendole come una strategia sofisticata e coerente che ha la capacità di costringere le democrazie liberali alla sottomissione. Ma uno sguardo più attento rivela tutto ciò è molto meno impressionante di quanto spesso si pensi, perchè raramente ottiene i risultati desiderati da Pechino.

La mastodontica Ricerca e Sviluppo di Huawei

Il primo impatto di chi visita Huawei a Shenzhen per la prima volta è spettacolare. Lampadari di cristallo pendono dal soffitto alto 20 metri. Il pavimento è in marmo, lucidato fino a ottenere una lucentezza tale che i visitatori si riflettono in esso. Si ha l’impressione di essere arrivati ​​in un albergo “nobile” con personale di servizio rigorosamente in uniforme nera ad ogni angolo.

Huawei, insomma, vuole stupire. Come nel vicino campus del lago Songshan. Ci sono repliche del Castello di Heidelberg e del Ponte della Libertà di Budapest, circondati da 187 statue di divinità romane e rinoceronti su prati perfettamente tagliati. In questi edifici, 25.000 dipendenti sarebbero dedicati alla ricerca e sviluppo.

Intelligenza artificiale e videosorveglianza

Perché le R&D e le tecnologie innovative (in primis la IA e la videosorveglianza) giocano un ruolo centrale nella strategia del governo cinese. Le telecamere in Cina identificano automaticamente le persone. Alla fine del 2020 pare siano state installate oltre 600 milioni di telecamere di sorveglianza nel Paese, mostrando sempre più apertamente come vengono trattati coloro che non vogliono seguire la dottrina dello stato e del partito comunista.

Sarà vero che l’intelligenza artificiale ha il più grande potenziale di trasformazione in tutti gli ambiti della nostra vita. Senza controllo, tuttavia, non solo può mettere in pericolo le persone ma anche una democrazia. E il rischio di una guerra con armi dotate di intelligenza artificiale non è più un’ipotesi così remota.

Altro ambito di grande attenzione è la videosorveglianza. Nel luglio 2018, Huawei e l’Accademia delle scienze cinesi affiliata al governo, presentano la domanda di un brevetto per “l’identificazione degli attributi dei pedoni” con la tecnologia di riconoscimento facciale. Ma nei codici dell’applicazione emergeva: “Gli attributi dell’oggetto target possono essere sesso (maschio, femmina), età (ad esempio adolescenti, mezza età, anziano) [o] razza (Han, uigura)”. L’uso della tecnologia di riconoscimento facciale, come ho scritto sopra, nelle attività di polizia e sicurezza interna è molto diffuso in tutta la Cina, ma soprattutto nella regione occidentale dello Xinjiang, dove secondo fonti ufficiali dei servizi segreti americani, sarebbero rinchiusi nei campi di internamento oltre 2 milioni di persone di etnia uiguri e altre minoranze etniche musulmane.

Huawei si è affrettata a chiarire che avrebbe modificato il suo brevetto alla prima occasione, aggiungendo che la caratteristica di identificazione dell’etnia non avrebbe dovuto “mai diventare parte dell’applicazione”.

Nel 2020, quindi, è partito il programma “sistema di credito sociale” cinese con tecnica di “sorveglianza intelligente e con riconoscimento facciale automatizzato” e pare sia stato consolidato a livello nazionale: “Se paghi la tassa in ritardo, attraversi il semaforo quando è rosso, non fai visita ai tuoi nonni abbastanza spesso, leggi notizie politiche critiche o hai amici sbagliati, ottieni una detrazione di punti”.

Il punteggio determina il lavoro che puoi svolgere, in quali paesi puoi viaggiare, dalla velocità di Internet e se puoi utilizzare il treno espresso. Una sorveglianza di massa totalitaria. Chiunque registri un nuovo numero di cellulare deve prima sottoporsi a una scansione del viso, secondo l’interpretazione ufficiale, l’archiviazione dei dati biometrici protegge “i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini nel cyberspazio” e aiuta a combattere le frodi.

Il mezzo per un fine è un account di punti digitali. Il “buon comportamento” viene premiato con punti bonus, il “cattivo comportamento” è sanzionato con detrazioni di punti. Tuttavia, spetta al governo cinese interpretare “buono” e “cattivo”. Con questo il governo afferma di voler rendere la società più giusta, dopotutto il sistema si applica a tutte le classi. Con milioni di telecamere posizionate strategicamente in tutto il paese e miliardi di dati generati dall’Internet cinese, il PCC sarà presto in grado di identificare praticamente chiunque entri nello spazio pubblico e censurare il dissenso in tempo reale.

Perché la Cina è considerata una cyber-minaccia per la sicurezza nazionale?

Prendiamo ad esempio l’iniziativa Belt and Road Initiative: mentre a prima vista – secondo i portavoce del governo cinese – le “acquisizioni” di porti della Cina sembrano semplici transazioni commerciali basate su un’agenda economica, diversi analisti internazionali e molti dei servizi di intelligence hanno sottolineato che le preoccupazioni geopolitiche sembrano essere ciò che sta effettivamente guidando gli investimenti portuali cinesi. Per questo motivo, gli USA hanno avvertito Israele che la gestione da parte della Cina del nuovo terminal portuale di Haifa potrebbe potenzialmente danneggiare la cooperazione in materia di sicurezza tra Stati Uniti e Israele, poiché potrebbe portare le navi della Marina statunitense ad astenersi dall’attraccare lì.

Un’altra grave preoccupazione è che gli investimenti portuali cinesi creino una leva economica e politica per il PCC che può influenzare la politica e il processo decisionale locale, come accaduto in Grecia, dopo che la Cina ha investito e acquisito gran parte del porto del Pireo, la Grecia ha bloccato una dichiarazione dell’UE che criticava i diritti umani della Cina, ha impedito una dichiarazione unificata dell’UE contro il comportamento della Cina nel Mar Cinese Meridionale, e si è opposto a controlli più severi degli investimenti cinesi in Europa – una mossa prevedibile per tutte le nazioni che diventano vincolate agli investimenti cinesi.

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