Le amministrazioni pubbliche europee sembrano aver finalmente scelto l’intelligenza artificiale come elemento propulsivo del cambiamento del modello di servizi da mettere a disposizione dei cittadini.
È questo uno dei dati che emergono dal report “AI Watch: 2020 EU AI investments”, prodotto dal Joint Research Center (JRC) della Commissione europea. Un documento, giunto alla sua seconda edizione, che riepiloga e chiarisce quali siano gli effettivi investimenti introdotti nei Paesi dell’Unione Europea durante il 2019.
Dalle rilevazioni del report evince come l’Italia sia fanalino di coda tra i 5 Paesi più popolosi dell’Ue in quanto a investimenti in AI e di come si continui a spendere troppo poco in corporate training: da qui si può capire una volta in più come diventi ogni giorno più urgente un piano nazionale per l’intelligenza artificiale che, nel combinato disposto con il PNRR e le altre iniziative di sostegno all’economia, faciliti e sorregga l’introduzione dei metodi digital-matematici come primo strumento di quel cambiamento del modello di sviluppo che l’Agenda 2030 ha disegnato con grande e condivisa precisione.
Internet of Things e intelligenza artificiale, l’unione vincente che cambierà il mondo
Ma andiamo per gradi.
Il report JRC
I dati principali sono stati recepiti e comunicati da molti media sebbene, come sempre accade, i contenuti più interessanti si trovino analizzando più approfonditamente questo studio.
Innanzitutto, va sottolineato che alcuni dei dati non erano a disposizione dei ricercatori, motivo per cui sono stati dedotti come proiezione o di dati precedenti (2018) o dei valori di Paesi individuati come simili a quelli su cui le informazioni erano carenti.
Con grande onestà metodologica, gli autori del lavoro spiegano dettagliatamente come le quantità prese in considerazione e derivanti da diverse fonti siano cambiate anche in virtù di diverse modalità con cui esse sono state calcolate dai vari istituti statistici. Esiste quindi un modello di stima dei valori finanziari rappresentati che forzatamente non coincide con quelli realmente spesi: si tratta di una condizione ben comprensibile e che non mina la credibilità complessiva del report, ma che va considerata specialmente nelle classifiche che riguardano i diversi Paesi UE, segnatamente i più piccoli.
Due scenari di spesa
Anche per questi motivi, gli analisti descrivono due scenari differenti, uno di minima e uno di massima, in cui il valore complessivo della spesa AI varia dai 7,9 ai 9 miliardi di euro. Nel report, i numeri espressi attengono in massima parte agli importi relativi allo scenario più favorevole.
Questi 9 miliardi di euro provengono dagli investimenti privati per il 59% e da denari pubblici per il restante 41%. Privato e pubblico hanno una diversa ripartizione delle somme: mentre le aziende distribuiscono il proprio investimento in maniera diffusa tra competenze e infrastrutture hardware e software, le amministrazioni si concentrano in massima parte sugli Skill, che valgono per oltre il 33% di quanto da esse impegnato in AI.
La comparazione con l’analoga ricerca effettuata sui dati relativi al 2018 rivela un aumento complessivo degli investimenti di 2,51 miliardi di euro (+ 39%), di cui 2/3 sono da attribuirsi al settore privato ed il terzo rimanente a quello pubblico.
Un cambiamento concreto sta nella diminuzione proporzionale dei capitali destinati agli skill (compensi per gli specialisti ed i docenti di AI più quanto speso per il Corporate training), che sono passati dall’essere il 58% nel 2018 al 52% nel 2021 del denaro impiegato.
Personale coinvolto in progetti AI: aumenta la spesa del settore pubblico
Pur con le annotazioni metodologiche sopra accennate, il dato mostra come sia soprattutto il settore pubblico ad aumentare le proprie uscite per stipendi riservate al personale direttamente coinvolto nei progetti AI, facendo segnare un +25%. In definitiva,
Diversamente dall’edizione precedente, quella pubblicata il 6 ottobre scorso non riporta una analitica suddivisione della spesa divisa per Paese, cosa che consentirebbe di capire anche quali siano quelli maggiormente protagonisti di questo investimento verso la pubblica amministrazione.
Dal quadro d’insieme appare comunque come i Paesi con popolazione superiore ai 30 milioni di abitanti (Polonia, Spagna, Italia, Francia e Germania) continuino a far crescere gli importi dedicati all’AI tra il 17% della Spagna e il 38% della Polonia, con l’Italia che, insieme alla Germania, sta intorno al 30% di aumento rispetto al 2018.
Il dato più impressionante è quello francese: quasi 2 miliardi di euro con un + 38% rispetto all’anno precedente. In termini assoluti, la Germania è a 1,6 miliardi, la Spagna sfiora il miliardo e l’Italia si ferma a 717 milioni.
Riportati alla popolazione, significa che per ogni francese la somma investita è pari a 27 euro, ben superiore a quella degli spagnoli (19 euro) e della Germania (18), mentre l’Italia è ultima in classifica tra i cinque più popolosi Stati UE con 11 euro pro capite, a parimerito con la Polonia. Sono le nazioni del nord Europa quelle che hanno impieghi finanziari che risultano più elevati se comparati con la popolazione: 119 euro per abitante in Irlanda, cifra tripla rispetto al secondo in questa classifica, cioè la Finlandia con 43 euro, seguita da Danimarca (38) e Svezia (31).
Concludendo, in questo quadro il nostro Paese cresce poco in cifre assolute quanto, e peggio, in relazione alla propria popolazione. Come dicono gli stessi analisti, valori bassi corrispondono a una bassa priorità data all’AI dal Paese osservato.
Corporate training: manager ancora poco formati all’AI
In attesa che AI Watch, come detto nel documento, pubblichi una ulteriore versione di questo studio entro la fine dell’anno in corso, altri numeri richiedono l’attenzione di chi è direttamente attivo nel settore dell’AI, così come da parte della politica e degli operatori economici.
Un dato colpisce per la sua particolare esiguità: solo il 2% dei fondi dedicati all’AI è destinato al corporate training.
Con tale definizione si intendono le somme spese per formare il personale dell’impresa, pubblica o privata che sia, tanto all’uso quanto alla comprensione dell’AI. Ora, se da questo minuscolo 2% si sottrae la formazione degli utenti all’uso pratico delle soluzioni basate su AI che l’ente mette loro a disposizione, si può intuire che ben poco si investe per una funzione fondamentale: dare ai manager un livello di conoscenza del fenomeno AI tale da consentirgli di governare il cambiamento, innanzitutto potendo immaginare i cambiamenti che essa rende possibili all’interno dell’attività della azienda che dirigono e, più in generale, del mercato in cui essa è attiva.
Proprio a riguardo del Corporate Training la precedente edizione dello studio JRC riportava come “(…) economic actors do not only need technical understanding of AI, but also how it can be used to (re-)design business processes in order to create new or improve existing products or services. Leadership, managerial and organizational capabilities are necessary to identify opportunities and create business models to expand, optimize, and transform the business deploying AI technologies (Jaruzelski, Staack, & Shinozaki, 2016).”
Quel 2%, specie se rapportato al 34% destinato ai compensi per gli specialisti AI che operano in o per conto dell’impresa, può essere visto come l’espressione numerica di quel “che fare?” così ricorrente quale domanda che i dirigenti aziendali pongono in continuazione ai tecnologi dell’intelligenza artificiale.
Perché è così difficile comunicare i veri vantaggi dell’AI alle aziende
Insieme con la penuria di specialisti AI tante volte trattata anche su questa testata, questa domanda è insieme manifestazione di una difficile trasmissione della conoscenza e della conseguente incertezza nel decidere se e come portare avanti progetti di Intelligenza Artificiale. Per meglio dire, quel “che fare?” indica che la grande mole di comunicazione che ha travolto il management in questi ultimi anni tra convegni, webinar, corsi, interlocuzioni dirette, letture di riviste e libri ha lasciato in molti responsabili d’azienda un senso di incompiuto, di enormi potenzialità non trasformabili con chiarezza in risultati economici e nemmeno in strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio.
Anche su scala nazionale, stretti tra definizioni dell’AI che si concentravano sugli aspetti tecnici e citazioni di esempi titanici di applicazione da parte dei giganti del web, i gestori della “fabbrica degli spilli” di smithiana memoria non sono stati messi in condizione di percepire direttamente il come e il dove l’Intelligenza Artificiale possa dare vantaggio quando applicata in casa loro, nel capannone della loro piccola o media impresa collocato nella sterminata periferia produttiva del nostro Paese. Così, anche su scala europea, gli impegni si sono concentrati nell’acquisizione di mezzi (Computer software and databases valgono il 22% della spesa europea complessiva per l’AI) e nel portare in azienda professionisti dell’AI, attendendosi che siano questi ultimi a proporre alla Direzione come usare a proprio vantaggio quella promettente tecnologia, di cui tutti parlano così tanto e dunque non si può fare a meno, ma che appare intanto come costo, in attesa di diventare investimento e poi, chissà, finalmente strumento redditizio.
Mentre il CAD era visibile sostituzione del tecnigrafo, dotato com’era di funzioni nemmeno pensabili finché si disegnava a mano sul foglio, l’AI non ha la stessa intuitiva comprensibilità di elemento dirompente. In particolare, quando la si valuti per la sua capacità di creare quel che prima non c’era anziché solo per ottimizzare processi e flussi già esistenti.
Rispetto ai decisori aziendali, si ha l’impressione che la comunicazione sull’AI si sia concentrata nello spiegare loro gli aspetti tecnici e facendo discendere da questi un futuro fideisticamente migliore e obbligatorio, implicito nella innovativa perfezione della metodologia stessa, senza bisogno di ulteriori riscontri nella realtà operativa dell’impresa, magari piccola e manifatturiera.
Quella massa di eventi e parole destinata ai decisori economici si è tanto spesso concentrata sulle descrizioni tecniche che è come se, alla metà del XIX secolo si fosse cercato di far percepire i vantaggi dell’elettricità spiegando che essa era un fenomeno fisico generato dalle interazioni tra particelle cariche. Difficile convincere qualcuno a comprare una lampadina parlandogli di atomi, elettroni, metalli.
Pochi furono quelli che riuscirono a far concepire ai propri contemporanei di metà ‘800 una città liberata dai mille vincoli e dal fetore delle lampade a gas quand’essa fosse finalmente illuminata da quelle elettriche, cosicché la separazione astronomica tra giorno e notte non impedisse il flusso continuo dell’azione umana, tanto che fosse di produzione o di consumo. Eppure, la città elettrica che vive un giorno senza fine fu il primo sogno realizzato dall’elettricità.
Non era solo fulgore luminoso, ma cambiamento concreto: nella Parigi che da semplice Ville Lumière si trasforma nella capitale della Belle Époque crescono gli stipendi, diminuisce la povertà, migliorano le condizioni sanitarie, si alza rapidamente la speranza di vita dei nuovi nati.
Un cambiamento analogo a quello che ci aspettiamo dalle nuove tecnologie, tutto sommato. Oggi con in più un’attenzione all’equilibrio tra umanità e pianeta che è il fatto culturalmente nuovo fin qui più incidente di questo secolo, sintetizzato da parole come sostenibilità e transizione.
Conclusioni
La transizione è il processo di cambiamento mirato ad ottenere un modello economico più efficiente, in grado di assicurare benessere e risorse alle generazioni presenti e future. Molto del successo della transizione passa per l’AI e dai vantaggi che essa può dare alla ricerca scientifica e tecnologica ed all’evoluzione dei processi economici. Per questo motivo è necessario un maggiore coinvolgimento dei manager pubblici e privati, ed esso passa innanzitutto dal metterli in condizione di appropriarsi di quei basilari concetti culturali su come l’Intelligenza Artificiale possa essere usata per generare i processi di business per creare prodotti e servizi nuovi o migliori rispetto all’obiettivo della Sostenibilità, ottenendola attraverso l’adesione a scelte etiche condivise che ne indirizzino il design.
Quel 2% indica come ancora ci si debba concentrare sul mettere al centro della comunicazione il cambiamento che l’AI porta e porterà in tanti aspetti della vita quotidiana che, non scordiamocelo, per un buon terzo almeno si passa lavorando. Indica anche come è opportuno che le aziende investano di più nel porre i propri dirigenti in condizioni di capire, di fare propri e utilizzare i concetti che fanno dell’AI uno straordinario mezzo per trasformare l’impresa. In assenza di questa spinta razionale e motivante, l’AI (e altri concetti quali la certificazione ESG o gli obiettivi ONU) facilmente saranno percepiti in maniera irrazionale e costringente, portando a quel “cambiare o morire” che non promette niente di buono e ancora troppo spesso echeggia nei consigli d’amministrazione.
C’è da augurarsi che le aziende si attivino con rapidità e convinzione in questo senso e che il legislatore tenga conto di questo aspetto nella scrittura di ogni progetto di intervento dello Stato nel supportare la Transizione, a cominciare dal piano nazionale per l’Intelligenza Artificiale.