La transizione energetica è inevitabile e serve per evitare i disastri causati dai cambiamenti climatici, ma l’Italia è in ritardo nell’adozione delle strategie per affrontare il riscaldamento globale e le immense sfide al centro di Cop26, il summit di Glasgow sulla crisi climatica.
Cop26, tutte le speranze e le sfide per salvarci dal disastro climatico
Attualmente il nostro Paese genera circa 21 Gigawatt dal fotovoltaico e appena 10 Gigawatt dai parchi eolici, “quando dovremmo almeno triplicare il primo e raddoppiare il secondo per raggiungere quota 70% del contributo rinnovabili al mix elettrico (che oggi è fermo al 38%, ndr)”, afferma Livio Desantoli, professore dell’Università La Sapienza di Roma, responsabile dell’energia della Sapienza e che si occupa di tematiche legate alla pianificazione energetica e alla generazione distribuita dell’energia con sistemi innovativi.
Transizione energetica, i ritardi nello sviluppo delle rinnovabili
La strada per la transizione energetica è segnata, grazie agli ambiziosi e ineludibili obiettivi europei: taglio del 55% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030, previsto dal Green Deal, per giungere alle zero emissioni nette, il traguardo della neutralità climatica, entro il 2050 in Unione europea. Ma l’Italia accumula ritardi da anni e deve compiere un salto di qualità.
“Per essere in linea con gli obiettivi europei dovremmo installare 70 nuovi Gigawatt di rinnovabili in meno di dieci anni”, continua il professor Livio Desantoli. Per fare due conti, l’Italia dovrebbe aggiungere oltre 7 Gigawatt di rinnovabili all’anno fino al 2030, mentre il Paese arranca a un aumento di appena un Gigawatt all’anno. “Per fortuna il PNRR favorisce il processo di transizione, permettendo l’avvio di un ciclo virtuoso e introducendo uno sviluppo per 3-4 anni, poi dovremo attrezzarci”.
Cosa serve alla transizione energetica in Italia
A pesare sul ritardo italiano sono vari fattori, ne citiamo almeno due: l’eccesso di burocrazia nelle autorizzazioni; l’assenza di target regionali, per mettere in atto il burden sharing, l’obiettivo nazionale di sviluppo delle rinnovabili.
Sotto ai nostri occhi è il ritardo delle regioni italiane a varare piani regionali di sviluppo delle rinnovabili, per raggiungere l’aumento di 70 GigaWatt di fonti rinnovabili entro il 2030: sappiamo quanto bisogna installare per le rinnovabili, ma non sappiamo neanche in quali zone, perché la ripartizione per Regione è ancora in alto mare.
“Infatti servono semplificazioni reali, oggi quasi la metà delle autorizzazioni richieste non diventa un impianto e l’altra metà accumula sei anni di ritardo sulla tempistica stimata dalla normativa”, continua Desantoli che denuncia le farraginose e lunghe tempistiche italiane con i costi più alti per ambire all’autorizzazione, “per non parlare dei ritardi normativi da adeguare, un ostacolo sui nuovi investimenti nella transizione energetica”.
Ma non è solo questione di sburocratizzazioni e di coerenza normativa: “Infatti servono anche innovazione nei sistemi di produzione e di accumulo per immagazzinare energia per mesi, progressi nell’offshore, nel fotovoltaico galleggiante, nell’idrogeno rinnovabile”, conclude Desantoli: “Ma soprattutto bisogna evitare di distrarre fondi verso i gas e combustibili fossili, l’obiettivo deve essere solo la de-carbonizzazione”.
I problemi dello stoccaggio dell’energia
Lo stesso premier Mario Draghi qualche giorno fa ha ricordato che le rinnovabili hanno limiti e vanno affiancate ad altre fonti (ad esempio gas naturale, che inquina meno di altre non rinnovabili). I limiti sono nella gestione dei cali di energia quando il sole o il vento calano di intensità. La soluzione tipica sarebbe lo storage dell’energia prodotta prima per poterla usare nei momenti critici e così dare continuità alla fornitura.
Le soluzioni storage in batteria sono in continua evoluzione, tuttavia al momento presentano alcune problematiche: per diventare il supporto adatto devono compiere progressi sotto il profilo della sicurezza e devono anche immagazzinare energia per tempi più lunghi. Per non parlare delle problematiche legate allo smaltimento e alla questione geopolitica nel reperimento delle terre rare necessarie per produrle.
Come centrare gli obiettivi del Green Deal
Ma come si può fare in concreto la transizione energetica verso le rinnovabili? Giuseppe Zollino, professore della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, esprime scetticismo sull’eolico, a meno che non sia offshore, invece è più ottimista sul fotovoltaico: “Nell’eolico, in Italia, i temi urgenti sono due: le enormi dimensioni delle pale (e più la tecnologia progredisce, più i sistemi sono enormi), con i problemi di impatto ambientale e paesaggistico evidenziati nel nostro Paese; anche nello sviluppo offshore, va detto che il Mediterraneo è un mare subito molto profondo, bisogna studiare progetti pilota con le piattaforme galleggianti e le innovazioni in questo campo”.
“L’implementazione del fotovoltaico“, conclude Giuseppe Zollino “invece è più semplice: basterebbe dotare di impianti fotovoltaici tutti i tetti delle fabbriche, dei centri commerciali e dei condomini per raggiungere gli obiettivi prefissati dal Green Deal e dal traguardo di una UE a zero emissioni entro il 2050. Ricordiamoci infine che l’Italia usava solo le rinnovabili fino agli anni ’50: l’idroelettrico potrebbe continuare a fornire un importante contributo all’abbandono del combustibile fossile”.
La filiera dell’idrogeno rinnovabile
Ora è importante che l’Italia sostituisca le fonti fossili con le rinnovabili e l’idrogeno green, rendendo più efficiente la produzione, il trasporto, la distribuzione. Le infrastrutture di stoccaggio di fonti rinnovabili – che per natura sono distribuite e intermittenti – devono predisporre la convergenza dei settori (per l’idrogeno, il settore energetico e dei trasporti) e l’integrazione con i sistemi digitali, dove sensori IoT, dispositivi di realtà aumentata, analisi predittiva possono abilitare processi di monitoraggio, diagnostica e manutenzione.
Per esempio, le smart grid possono modulare i consumi e ridurre i picchi energetici. Il digitale inoltre valorizza i prosumer, grazie alle reti decentralizzate e allo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili nei sistemi residenziali.
Al centro di Next generation EU è poi lo sviluppo di filiera dell’idrogeno green, prodotto cioè da fonti rinnovabili, attraverso l’energia elettrica in eccesso prodotta dalle fonti green intermittenti.
Gli investimenti in rinnovabili invece genererebbero posti di lavoro e Pil: il Green Deal è in grado di produrre, soltanto nel settore elettrico italiano, 100 miliardi di investimenti privati e 90 mila nuovi posti di lavoro entro il 2030.
Il ruolo dei cavi sottomarini nella transizione energetica
Mentre cambia il modo in cui l’energia viene consumata (con le auto elettriche) e prodotta (con le rinnovabili), la transizione energetica richiede soluzioni innovative per risolvere problemi complessi.
L’Italia deve uscire dalla dimensione nazionale ed imparare a sfruttare le interconnessioni europee, anche perché la parola chiave che giunge da Cop26 è “collaborare”. Anche attraverso i cavi sottomarini. Non sempre il vento soffia, mentre il sole, già assente di notte, può essere oscurato dalle nuvole di giorno. Tutti questi fattori rendono aleatoria ed intermittente la produzione di energia rinnovabile.
Dunque, non solo bisogna creare un buon mix elettrico e differenziare per non rischiare black-out, ma è anche necessario separare il consumo dalla produzione, soprattutto perché è importante distribuire l’energia da dove è prodotta a dove viene utilizzata.
Infatti, una volta prodotta l’energia con le rinnovabili, poi bisogna pensare allo stoccaggio nei sistemi di accumulo oppure trasferirla laddove serve. Per trasferire l’energia, invece, si possono usare smart grid oppure sfruttare appositi cavi sottomarini.
I cavi sottomarini, realizzati in un mix di acciaio, alluminio, piombo e materiali isolanti, pesano 150 chilogrammi al metro (infatti, una bobina di 30 metri pesa quanto la torre Eiffel) e sono efficienti nel trasferire l’energia. Soprattutto rappresentano svolte promettenti.
L’export di energia attraverso i cavi è passato da 2% degli anni ’70 al 4,3% di energia generata dai membri dell’Ocse nel 2018. Credit Suisse stima che il settore dei cavi sottomarini passerà dai 4,5 miliardi di dollari di quest’anno ai 5,5 miliardi di dollari nel 2022.
L’elettricità sta diventando una commodity commerciabile
Connettere le power grid con produzioni energetiche differenti potrebbe risolvere numerosi problemi attuali connessi con le rinnovabili.
Le dimensioni delle installazioni eoliche offshore sono destinate a triplicare entro il 2035. La Danimarca ha scommesso molto sulle turbine eoliche, ma quando non soffia il vento potrebbero rimanere ferme. Per evitare di ricorrere a combustibili fossili, quando l’eolico non funziona, a Copenhagen basterebbe collegarsi alla Norvegia, un Paese con alto potenziale idroelettrico. Grazie ai cavi, quando soffia il vento, sia la Norvegia che la Danimarca potrebbero sfruttare l’energia eolica danese, mantenendo l’acqua della Norvegia in riserva. Quando c’è invece calma piatta e non soffia un refolo di vento, potrebbero entrare in azione i laghi norvegesi anche per andare in soccorso alla Danimarca.
Questo esempio dimostra che l’elettricità sta entrando nell’era della commodity commerciabile. E lo dimostrano i collegamenti fra Danimarca e Olanda, Svezia, Germania e Gran Bretagna (attivo dal 2023, secondo recenti previsioni).
Per ridurre le emissioni di CO2, non è sempre necessario costruire parchi eolici e impianti fotovoltaici in posti che poi si rivelano sbagliati, ma per de-carbonizzare può rivelarsi più semplice firmare un contratto con gli operatori giusti, per ottenere elettricità prodotta altrove con le rinnovabili.
La transizione energetica apre nuovi scenari nel Mediterraneo
Anche in Italia la transizione energetica rappresenta un’opportunità interessante. Per esempio, potrebbe colmare il divario fra Nord e Sud: infatti, le industrie energivore si trovano nel Centro-Nord, ma il sole splende e il vento soffia soprattutto a Sud, dunque, ad alimentare le fabbriche del Nord Italia potrebbero in futuro arrivare in soccorso i parchi eolici e fotovoltaici del Mezzogiorno. Anche Stefano Antonio Donnarumma di Terna, manager delle linee di trasmissione, vede nelle rinnovabili un nuovo modo per bilanciare gli squilibri fra le regioni italiane e superare i divari fra il Nord produttivo e regioni finora meno sviluppate del Paese.
Il mercato dei cavi è uno dei rari settori industriali in cui domina l’Europa. L’entusiasmo degli investitori per i cavi elettrici ha portato rialzi fra il 48-125% delle azioni della francese Nexans, della danese nkt e dell’italiana Prysmian.
Come funzionano i cavi sottomarini
I cavi possono essere stesi anche a 3 mila metri di profondità, anche grazie all’utilizzo di appositi robot, e ciò spalanca nuovi scenari nel mar Mediterraneo.
In Grecia la nave Nexans Aurora sta collegando l’isola di Creta alla terraferma della penisola ellenica. In cantiere c’è il collegamento di 720 Km fra Norvegia e Regno Unito, mentre si studiano interconnessioni fra Grecia e Israele o Irlanda e Francia. Se vi sembra invece più avveniristico il collegamento fra i campi assolati del Marocco, ideali per il fotovoltaico, e la Gran Bretagna, a causa dei 3.800 Km di distanza fra i due Paesi, è anche vero che un consorzio dell’altro emisfero punta a collegare coi cavi Australia, Indonesia e Singapore per 4.200 Km.
Christopher Guérin, capo di Nexans, prevede di stendere cavi per 72.000 Km fino al 2030.
In futuro parchi eolici galleggianti potranno essere connessi alle power grid. La International Energy Agency, club energetico dei Paesi più ricchi, stima che 80 GigaWatt di parchi eolici offshore dovranno essere installati ogni anno fino al 2030 per raggiungere gli obiettivi della neutralità climatica. Ogni gigawatt di capacità offshore richiede circa 250 milioni di euro di cavi, inclusa l’installazione, secondo Max Yates di Credit Suisse.
Conclusioni
L’Italia deve colmare il ritardo nelle rinnovabili, anche perché la lentezza nell’attuare la transizione energetica si riflette nel caro-bolletta, un freno alla stessa crescita del Paese.
L’Italia deve affrettarsi a incrementare il contributo delle rinnovabili al mix energetico, abbandonando i combustibili fossili, in linea con il Green deal, l’accordo europeo sul clima, gli obiettivi del G20 e quelli di Cop 26 di Glasgow.
La soluzione consiste nelle semplificazioni burocratiche e nello stare al passo con l’innovazione tecnologica. L’Italia deve scommettere nelle infrastrutture, non solo per connettere i siti di produzione con quelli di consumo, ma anche per integrare il crescente numero di risorse distribuite e per coordinare produzione e distribuzione di energie alternative, a partire dall’idrogeno green.
Nonostante i gravi ritardi, l’Italia e l’Europa hanno anche interessanti opportunità da cogliere proprio sul fronte delle rinnovabili, dei parchi eolici offshore e dei cavi sottomarini per trasferire l’energia da dove è prodotta a dove realmente serve.
Il momento di investire è ora, anche per approfittare delle nuove “autostrade energetiche” che possono essere stese coi cavi nei nostri fondali marini.