salute mentale

Psicoterapia, nuove opportunità e nuovi setting con le sedute “a distanza”: i modelli

Parlare di terapia online non riguarda solo la possibilità di fare sedute a distanza su skype o facetime ma lascia intravedere un ampio ventaglio di possibilità per nuovi setting in grado di creare esperienze emotivamente ricche. Con la pandemia sono stati fatti passi avanti, ora servono nuovi modelli di intervento

Pubblicato il 10 Nov 2021

Fausto Petrini

Psicologo clinico, formatore, ricercatore e progettista di interventi

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La pandemia da Covid-19 ha rappresentato un cambiamento di scenario in tutti i settori della medicina e della cura alla persona. Anche nel campo della psicoterapia i mutamenti avvenuti sono stati radicali, non solo per i contenuti portati in seduta dai pazienti, ma anche per le condizioni ambientali entro cui i colloqui avvengono, quello che comunemente gli psicologi identificano come setting.

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Pandemia e disturbi psicologici e psichiatrici

Con la pandemia alcune classi di disturbi psicologici e psichiatrici hanno avuto un incremento notevole, tuttavia, se da una parte i modelli teorici della psicoterapia sono stati comunque adatti ad affrontare l’emergenza, lo stesso non è stato possibile riguardo alla modalità di interazione con il paziente. I professionisti della salute mentale, sia privati che nel settore pubblico, hanno dovuto affrontare una sfida più grande e problematica: fornire una “cura relazionale” là dove non sembrava possibile garantire la relazione stessa, almeno, non tramite una presenza fisica.

Contrariamente a quanto si pensi, infatti, il successo di una buona psicoterapia a distanza non riguarda solamente l’acquisizione di risorse e competenze tecnologiche, ma anche di specifiche capacità professionali e di lettura del contesto. La terapia tradizionale, ad esempio, dà scarsissime possibilità al paziente di controllare l’ambiente della terapia. Tutte le decisioni riguardo al setting sono in mano al terapeuta, che in genere opera su di esse in modo attivo e consapevole.

Con la terapia online uno dei primi cambiamenti di paradigma è la co-costruzione di un setting in cui anche il paziente prende più o meno consapevolmente delle decisioni: lo scenario (reale o virtuale) che decide di mostrare attorno a sé (emblematico il caso di una paziente che aprì la connessione da sotto le coperte del proprio letto, ancora in pigiama…); oppure le scelte relative al “galateo” della seduta: chi apre la comunicazione? Chi cerca l’altro per primo? E se il paziente è connesso ma non sta contattando il terapeuta? Sono tutte scelte minimali, ma che hanno un peso considerevole nel tipo di relazione che si instaura. Assolutamente non trascurabile infine il tema della privacy garantita dal canale di comunicazione: avere conoscenza di come una determinata piattaforma cifra e conserva i dati e le conversazioni, rassicurare il paziente sull’impossibilità di accesso e tracciamento da parte di terzi e, viceversa, informarlo del divieto di registrare a sua volta la seduta, sono tutti aspetti che hanno implicazioni legali e deontologiche, oltre che di setting, e che quindi hanno alzato lo standard delle competenze necessarie per la professione.

All’inizio dell’emergenza i pazienti hanno sicuramente potuto beneficiare della prontezza di quei terapeuti che avevano già familiarità con l’utilizzo della terapia online: l’Ordine degli Psicologi aveva già divulgato le sue “raccomandazioni sulle prestazioni psicologiche attraverso tecnologie di comunicazione a distanza” nel 2013, segno di come esistesse già una fetta consistente di professionisti impegnati in questo campo. La terapia online aveva già trovato ampio utilizzo in specifici settori, come ad esempio il supporto psicologico di persone all’estero (un esempio italiano di successo); rendere però questa l’unica possibile offerta ha rappresentato un cambio di paradigma molto più esteso: un adeguamento radicale e istantaneo di tutti i professionisti, ma anche per tutti i loro pazienti. Entrambe le parti sono state chiamate ad acquisire nuove competenze tecnologiche, ma anche a gestire i propri spazi di privacy ed il proprio setting personale tra le mura domestiche. Le nuove necessità tecnologiche sono state per lo più legate all’adeguamento di linee ADSL e wireless, al potenziamento di dotazioni hardware e software, al “training” più o meno professionalizzato per imparare a utilizzare le diverse piattaforme e le diverse potenzialità di ciascuna di esse. Ci sono però anche aspetti peculiari della psicoterapia che sono stati più pesantemente modificati, talvolta creando disagi a utenti e professionisti, talvolta invece indicando nuove strade, per lo più ancora inesplorate.

Le cinque componenti della cyberterapia

Nel suo libro The Psychology of Cyberspace” del 2006, il Prof. John Suler aveva individuato 5 componenti di quella che egli definisce come vera e propria Cyberterapia. Questi cinque aspetti rappresentano le componenti che le tecnologie della telecomunicazione possono aggiungere alla tradizionale terapia e rappresentano quindi, se opportunamente manipolate, il vero valore aggiunto raggiungibile in questo settore:

  • La possibilità di utilizzare sia comunicazioni sincrone che asincrone: per molti terapeuti il passaggio alla terapia online ha significato scoprire (o riscoprire) la possibilità di andare oltre il semplice momento della terapia in compresenza: fornendo ad esempio pratiche di meditazione o visualizzazioni registrate, intrattenendo più frequentemente lo scambio di messaggi o lettere come strumento di supporto parallelo, non di rado fornendo servizi di gruppo tramite piattaforme social, ma anche creando comunità tra i propri pazienti.
  • La possibilità di coinvolgere più canali comunicativi (testo, immagini, suoni), come l’uso delle chat o di file multimediali in contemporanea alla seduta online. Le chat spesso sono utili ai pazienti per comunicare con maggiore privacy, o per bypassare difficoltà comunicative legate a lingua o disabilità, talvolta per affrontare temi difficili di cui ci si vergogna a parlare a voce. In questa dimensione rientra anche la possibilità tenere accesa o spenta la telecamera in base al tipo di lavoro svolto, ad esempio nella proposta di visualizzazioni o altre tecniche in cui il paziente, chiamato a chiudere gli occhi e rilassarsi, può sentirsi più a suo agio sapendo di non poter essere osservato direttamente dal terapeuta.
  • La possibilità di sfruttare il canale immaginifico e fantastico, fino ad ipotizzare l’incontro in veri e propri ambienti virtuali tramite l’utilizzo di avatar. Esistono a tal proposito sperimentazioni gestite in modo strutturato dal terapeuta, ma le potenzialità in questo campo sono ancora infinite e da esplorare.
  • La possibilità di automatizzare alcune procedure o esercizi, fino ad immaginare l’impiego di software per l’analisi dei temi e dei contenuti ricorrenti, schemi mentali, in grado di coadiuvare il clinico nello studio del caso. Sono ad esempio in sperimentazione degli esempi di chatbot virtuali in grado di dare risposte e inquadramento alle prime domande di supporto dei pazienti, per poi veicolarle verso il terapeuta adatto in modo più consapevole;
  • La possibilità di effettuare terapie di gruppo online, mettendo assieme persone con caratteristiche simili o complementari a prescindere dalla loro distanza fisica. In questo campo già i gruppi di auto-aiuto e le communities online hanno conosciuto un ampio sviluppo, ma dal punto di vista della vera e propria psicoterapia sembrano ancora molte le applicazioni possibili, in cui il terapeuta competente può portare il suo valore aggiunto attraverso la conoscenza approfondita delle dinamiche di gruppo e di come utilizzarle nell’interesse del paziente. In questo caso è importante sottolineare come le dinamiche di gruppo online abbiano delle peculiarità diverse da quelle dei gruppi in presenza, e che devono quindi entrare a far parte della formazione del professionista.

Conclusioni

Parlare di terapia online, quindi, non riguarda solo la possibilità di effettuare delle sedute a distanza su skype o facetime, ricalcando per quanto possibile il modello di terapia precedente, ma lascia intravedere un ampio ventaglio di possibilità per costruire nuovi setting in grado di creare esperienze emotivamente ricche e significative. Per quanto delle sperimentazioni fossero già in atto, con la pandemia si è fatto un grosso salto in avanti: i professionisti hanno iniziato ad utilizzare la terapia a distanza con una certa disinvoltura, mentre una parte della popolazione ha colmato le proprie lacune tecnologiche e superato le resistenze.

Il passaggio successivo sarà la costruzione di nuovi modelli di intervento che implichino, in modo creativo ma anche guidato da prove di efficacia cliniche, la costruzione di nuovi protocolli di intervento. Se da una parte i modelli teorici tradizionali rappresentano le fondamenta necessarie della psicologia, le applicazioni pratiche legate alle più moderne possibilità sono ancora da strutturare. La tecnologia per questo tipo di applicazioni è disponibile già da decenni, siamo però ancora agli albori di una loro integrazione nei vecchi modelli di lavoro.

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