dati neurali

Neurodiritti e integrità digitale: tutte le sfide della “privacy mentale”

Cosa sono i neurodiritti e come tutelare la neural privacy dal rischio che “innovazioni scientifiche potenzialmente preziose per la cura di stati neurodegenerativi divengano lo strumento per fare dell’uomo una non-persona”? Tutte le sfide etiche e giuridiche

Pubblicato il 15 Nov 2021

Alessandra Lucchini

Avvocato cassazionista - DPO

Salvatore Nucera

Judicial intern at Messina Appeal Court, Criminal Section - Junior fellow at DPO innovation - AI and Data ethics activist

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È oggi quanto mai necessario approntare degli strumenti in grado di tutelare gli individui dagli usi potenzialmente scorretti delle neurotecnologie, in grado di condizionare – sensibilmente – il pensiero e l’agire umano. Parliamo, dunque, di neurodiritti e di integrità digitale: dalle sfide etiche al ruolo di Autorità e legislatori.

“In un contesto di tecnologie sempre più traccianti, profilanti, predittive, in uno scenario nel quale la violazione dei dati personali è diventata un’emergenza sociale ed il pericolo di utilizzi manipolatori e più o meno sottilmente discriminatori dei dati personali sono un’evidenza nota a tutti” [1]riteniamo utile provare ad analizzare le norme vigenti, le possibili interpretazioni estensive o analogiche e le possibili tutele invocabili, anche in sede di ricorso collettivo, in materia di mental-digital-privacy per una piena autodeterminazione dell’individuo.

Neurodiritti, quali nuove tutele per la sfera mentale: tutti i nodi etico-giuridici

Dati neurali: cosa sono e cos’è la neural privacy

L’espressione “neurodiritti” è stata coniata dagli studiosi Roberto Adorno e Marcello Ienca allo scopo di definire una categoria emergente di diritti umani attinenti alla sfera mentale e neurocognitiva. La teoria sviluppata dai predetti autori si basa sulla circostanza che la scienza contemporanea ha sviluppato diverse neuro tecnologie e sofisticate interfacce cervello-computer (brain-computer interfaces, c.d. BCI) potenzialmente in grado di condizionare il pensiero e l’agire umano. Pertanto, è oggi quantomai attuale la necessità di proteggere l’individuo dal pericolo di un uso scorretto di queste tecniche [2]. Su questa scia, la dottrina ha oggi teorizzato quattro categorie di neurodiritti [3]: il diritto alla libertà cognitiva, il diritto alla privacy mentale, il diritto all’integrità mentale e il diritto alla continuità psicologica.

Senza pretese di esaustività, basti qui ricordare che il diritto alla privacy mentale dovrebbe permettere agli individui di mettere al sicuro le informazioni neurali da accessi e controlli non voluti, specialmente dalle informazioni elaborate sotto la soglia della percezione cosciente; il diritto alla continuità psicologica preserverebbe l’identità delle persone e la continuità della loro vita mentale da alterazioni esterne non volute da terzi; il diritto all’integrità mentale (già riconosciuto dall’art. 3 CDFUE), tramite una sua ampliazione, andrebbe inteso quale diritto utile a proteggere dalle manipolazioni illecite e dannose dell’attività mentale quale conseguenza di un uso improprio delle neuro tecnologie, riconoscendo una c.d. integrità digitale, concetto sul quale ci si soffermerà nel paragrafo successivo. Infine, il diritto alla libertà cognitiva dovrebbe proteggere la libertà fondamentale degli individui di prendere decisioni libere e competenti sull’uso delle BCI.

Lo stesso Garante per la privacy in un recente convegno ha affermato: “Siamo di fronte a una nuova antropologia, che esige una più effettiva difesa della dignità dal rischio di un riduzionismo (non semplicemente biologico, ma) neurologico, capace di annullare conquiste di libertà ormai talmente consolidate da essere ritenute di fatto acquisite. Emerge dunque l’esigenza di garantire, anche rispetto a tale nuova tipologia di rischi, quel foro interno dalla cui libera formazione dipende ogni altra libertà, attraverso neurodiritti volti a coniugare l’innovazione e la dignità della persona. Il rischio, altrimenti, è che innovazioni scientifiche potenzialmente preziose per la cura di stati neurodegenerativi divengano lo strumento per fare dell’uomo una non-persona, da addestrare o classificare, normalizzare o escludere” [4].

Le sfide etiche poste dalle BCI e dalle altre neuro tecnologie, come sostiene Ienca, ci spingono ad affrontare una questione sociale fondamentale: determinare se, o a quali condizioni, è legittimo avere accesso o interferire con l’attività neurale di un’altra persona o della propria [5].

Una base giuridica per la l’integrità digitale

Volendosi soffermare sulla integrità mentale (rectius, integrità digitale), occorre evidenziare come le fondamenta giuridiche per riconoscere una piena tutela della stessa potrebbero essere già presenti nelle Carte esistenti.[6]

Nello specifico, una delle basi giuridiche utilizzate per dare fondamento all’integrità digitale potrebbe essere individuata nell’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE rubricato “Diritto all’integrità della persona” e contenuto nel Titolo I, dedicato alla “Dignità”, dettaglio per nulla casuale ed evocativo di un utile appiglio interpretativo, nonché nell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che riconosce la protezione dei dati personali, contenuto nel Titolo II, dedicato – anche qui, non a caso – alla “Libertà”. Andando per ordine, se l’integrità fisica garantisce il diritto di essere liberi da interferenze con il proprio corpo [7], l’integrità mentale si riferisce al diritto di essere liberi da interferenze con la propria mente. Orbene, se l’integrità mentale dovesse essere pregiudicata da un cattivo utilizzo dei dati (mentali e/o neurali) della persona a cui si riferiscono, essa assumerebbe una dimensione strettamente legata alla protezione di quei dati e dunque, del diritto alla privacy. Pertanto, se si assume che l’interferenza all’integrità mentale sia anche un’interferenza con la propria privacy, si ravvisa una confluenza tre i due diritti e, dunque, è possibile ipotizzare l’estensione della tutela riconosciuta all’integrità mentale anche alla integrità digitale, diritto dalla portata diversa ed autonoma rispetto all’integrità mentale (art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE) ed alla privacy (art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE), in quanto scaturente dalla confluenza di questi ultimi [8].

Il concetto di integrità digitale così come sopra inteso potrebbe essere definito secondo tre diverse ipotesi, per cui:

  • L’integrità digitale non è un’estensione spaziale dell’integrità e della privacy;
  • L’integrità digitale va intesa come intermediario tra l’integrità fisica e mentale nella dimensione tecnologica con cui si interfaccia;
  • L’integrità digitale va intesa come un modo per identificare nuove minacce e interessi.

In primo luogo, l’integrità digitale riguarda una persona che svolge attività specifiche utilizzando le tecnologie digitali (secondo una prospettiva c.d. user-constellation) o una persona che è sottoposta a monitoraggio o sorveglianza mentre utilizza tecnologie digitali (secondo una prospettiva c.d. object-costellation).[9] L’attenzione viene posta sulla persona e sulle funzioni che le tecnologie digitali stanno adempiendo.

In secondo luogo, l’integrità digitale è complementare ai due supporti di base per le esperienze umane, cioè il corpo e la mente. Gli esseri umani possono essere positivamente o negativamente influenzati dalle tecnologie digitali. Ma è la loro mente o il loro corpo – a seconda della propria concezione della relazione tra corpo e mente – ad essere colpiti e non un distinto supporto digitale per le esperienze umane.

In terzo luogo, per quanto riguarda le nuove tecnologie, in particolare le BCI, l’integrità digitale può essere usata per far luce su nuove minacce per la persona. Il concetto è particolarmente interessante per chiarire che le nuove tecnologie portano nuovi tipi di minacce per la libertà individuale e altri diritti umani. Facendo luce su queste minacce, il concetto di integrità digitale evidenzia contemporaneamente gli interessi degni di protezione adottando un approccio incentrato sull’individuo.

Questa categoria di interessi dovrebbe essere abbastanza ampia da comprendere tutti gli interessi legati al digitale.

L’integrità in relazione alle tecnologie digitali non riguarda esclusivamente i dati e le e informazioni, anche se queste giocano un ruolo cruciale. Le tecnologie digitali rafforzano o creano nuove minacce per gli individui e i loro interessi, soprattutto per quanto riguarda la loro capacità di agire come persone libere. Tuttavia, è bene tenere a mente i contesti in cui le tecnologie BCI operano. Di questo ci si occuperà nel prossimo paragrafo.

Tecniche di estrazione ed impiego dei dati neurali: dalla risonanza magnetica funzionale al Neuralink

Già oggi si possono contare numerose tecniche per estrarre ed analizzare i dati neurali. Se in un primo momento tale ambito era strettamente legato al settore medico, col passare del tempo l’analisi dei dati neurali potrebbe divenire possibile anche per soggetti non qualificati, tramite l’utilizzo di apposite BCI che siano più user-friendly.

Con riguardo alle tecniche utilizzate a scopi medici, è possibile suddividere le BCI in:

  • Non invasive, che utilizzano elettrodi posizionati sulla superficie dello scalpo (attualmente sono le più diffuse, anche se la qualità del segnale non è eccezionale per via del rumore di fondo causato dagli strati interposti fra gli elettrodi e l’origine del segnale);
  • Invasive, che consentono una maggiore qualità dei segnali (cerebrali) monitorati – funzionano attraverso l’impianto di microelettrodi all’interno della scatola cranica e sono a contatto con la corteccia cerebrale;
  • Monodirezionali, in cui il dispositivo esterno riceve comandi direttamente da segnali derivanti dall’attività cerebrale;
  • Bidirezionali, che combinano il descritto canale di comunicazione con una linea di ritorno che permetterebbe lo scambio di informazioni tra il dispositivo esterno e il cervello [10].

Un esempio oggi particolarmente diffuso nella prassi per rilevare l’attività neuronale è la risonanza magnetica funzionale, capace di decodificare diversi tipi di segnali cerebrali e correlati neurali di informazioni mentali.

Grazie ai continui sviluppi di questa ed altre tecnologie legate alle BCI, si prefigura la possibilità di utilizzare le conoscenze del funzionamento dell’attività neuronale mentale anche ai fini di una maggiore tutela e promozione di alcuni soggetti deboli, segnatamente delle persone con gravi disabilità meramente fisiche (come la Sclerosi Laterale Amiotrofica) che, pur affette da patologie neuromuscolari determinanti la progressiva perdita dell’uso volontario dei muscoli (e, con essa, man mano che la malattia progredisce, della possibilità di interagire con l’esterno), conservano integre le capacita cognitive e volitive, attraverso tecnologie che, rendendo possibile l’interazione con l’ambiente esterno anche senza l’uso dei muscoli periferici, consentono di restituire a tali persone la capacità materiale di comunicare. Tutto questo sarà possibile perché, semplificando all’estremo il complesso funzionamento dell’attività cerebrale, si è riscontrato che il pensiero di compiere un’azione precisa determina variazioni (rispetto a quella di base) dell’attività neurologica cerebrale; ciò consente l’associazione di segnali cerebrali determinati – i quali riflettono l’attività (elettrofisiologica) dei neuroni dell’encefalo in corso – a specifici pensieri di azioni puntuali, rilevabili nei tracciati elettroencefalografici (EEG) e trasmissibili ad un dispositivo esterno [11].

Se questo è lo stato dell’arte, improntato a finalità esclusivamente cliniche e neuro-riabilitative, ci si chiede se queste tecnologie potranno un giorno essere utilizzate anche per altri scopi di c.d. human-enhancement (o potenziamento umano) e, di conseguenza, quali possibili effetti potrebbe ciò comportare in termini giuridici, economici e sociali. Tra i più significativi progetti neuro tecnologici vi è l’ormai noto Nueralink, elaborato da Elon Musk per l’installazione, nel cervello, di un chip che, secondo quanto prospettato dalle ricerche effettuate dallo stesso Musk, non solo consentirà di contenere gli effetti di patologie neurodegenerative e di potenziare le capacità cognitive, ma permetterà anche di comunicare tra persone e controllare le c.d. BCI con la sola forza del pensiero [12].

Se da un lato l’utilizzo diffuso del Neuralink “sembri” qualcosa di lontano nel tempo – sebbene Musk abbia annunciato di volerlo rendere disponibile sul mercato già nei prossimi anni – le esigenze di carattere etico, giuridico e sociale legate all’eventuale diffusione di tali strumenti si scontrano con la totale assenza di mezzi di tutela idonei a prevenire quanto già accaduto nel recente passato in materia di digital privacy, in cui si è assistiti alla “ri-utilizzazione” e “monetizzazione” del dato personale diffuso in internet. Quest’ultimo fenomeno, che avrebbe dovuto essere bilanciato da un controllo assoluto dell’utente sui propri dati – promessa non mantenuta e rivelatasi meramente illusoria [13] – ha comportato nuovi e seri problemi di carattere economico e sociale, indebolendo in modo sostanziale il diritto di autodeterminazione della persona (si pensi al marketing diretto, nonché alle campagne politiche che si avvalgono delle medesime tecniche di profilazione dell’utente). Ebbene, commettere lo stesso sbaglio con i dati neurali, ultimo baluardo del foro interno della persona rimasto sino ad oggi solo interpretabile e non “leggibile” da parte di terzi soggetti, potrebbe determinare un punto di non ritorno con gravi ripercussioni anche sugli stessi diritti di libertà dei singoli, come accaduto in alcuni ordinamenti stranieri e dei quali si terrà conto nel prossimo paragrafo.

L’utilizzo di sistemi tecnologici di privacy neurale in altri Paesi

Uno degli esempi maggiormente rappresentativi di quanto i sistemi tecnologici possano cambiare le consuetudini personali, sociali, lavorative è costituito dal Sistema del Credito Sociale (SCS) utilizzato in Cina. Con tale denominazione si intende un sistema di monitoraggio e controllo costante, 24 ore su 24, del comportamento di cittadini, di aziende ed enti che si basa sostanzialmente su un meccanismo di premi, ricompense e sanzioni che dipenderanno dal comportamento di questi cittadini, aziende o enti.

Secondo una inchiesta pubblicata un paio di anni fa [14], il sistema del credito sociale attribuisce a ognuna delle persone coinvolte nell’iniziativa una posizione in classifica che può variare tra 350 e 950 punti. Non si conosce il complesso algoritmo utilizzato per definire il punteggio, ma sono stati indicati i cinque fattori che sono presi in considerazione:

  • il primo riguarda i comportamenti economici dei soggetti coinvolti come ad esempio il pagamento regolare della bolletta della luce, del telefono e altro;
  • il secondo riguarda il rispetto degli impegni di tipo contrattuale;
  • il terzo fattore si riferisce alle caratteristiche personali come l’abitazione, la famiglia, l’istruzione e altro;
  • il quarto riguarda i comportamenti sociali e le preferenze commerciali (acquisti);
  • il quinto fattore, quello più delicato, è il comportamento nelle relazioni interpersonali e il loro contenuti. Per esempio, commentare positivamente con amici online un’iniziativa del Governo locale o nazionale, manifestare un atteggiamento positivo rispetto alla nazione, alla sua cultura, alla sua storia, oppure esprimere adesione ai valori promossi dal Partito Comunista porta il punteggio in alto [15].

In pratica, “se un cittadino cinese paga in ritardo una tassa, prende una multa, fa male la raccolta differenziata, suona il clacson senza motivo, gioca troppo ai videogiochi, o non pulisce il marciapiede di fronte al suo negozio”, vedrà diminuire il suo rating sociale ed arrivare le punizioni. Con un rating sociale troppo basso non si potranno, ad esempio, comprare biglietti aerei di prima classe, ottenere prestiti dalle banche, vivere in determinate zone, svolgere determinate attività e lavori, o addirittura lasciare il paese. La cosa più inquietante, secondo Giunta, è che chi frequenterà persone che hanno un rating sociale basso potrebbe vedersi ridurre anche il proprio. Se si completa poi il quadro dicendo che il rating sociale diminuirà anche se si critica troppo il regime o se si partecipa ad organizzazioni invise al Governo, “ecco che emergono chiaramente anche le potenzialità orwelliane del Sistema del Credito Sociale” [16].

La possibilità che questo “Sistema” sia stato pensato non solo come uno strumento per promuovere le “energie positive” e migliorare la società, ma anche come un potente mezzo di controllo o di ingerenza nella capacità di agire dei cittadini come persone libere, o che lo possa diventare, è un tema attualmente molto discusso, e avrà una risonanza crescente man mano che la sua realizzazione avanzerà e che tutti potranno verificarne l’uso – ed eventualmente l’abuso – da parte della leadership al potere [17].

Strumenti di monitoraggio analoghi a quello cinese sono già in uso a Singapore, in Malesia, in Pakistan, negli Emirati Arabi Uniti, in Uzbekistan e in Kenya. Anche la Tanzania, scelta come paese pilota per un programma di sviluppo delle capacità Cina-Africa, ha approvato leggi che limitano i contenuti Internet e le attività dei blog. Altri paesi (Vietnam e Uganda) hanno consultato le autorità cinesi in vista dell’emanazione di leggi restrittive su Internet. E nell’ambito della Belt and Road Initiative, la Cina ha iniziato a installare cavi ottici per la trasmissione di dati transfrontalieri in paesi come Belize, Ecuador e Guinea.

I possibili rimedi, anche collettivi, a tutela dell’integrità digitale

Dopo aver descritto sotto il profilo sostanziale l’integrità digitale, quale diritto ad una tutela effettiva dei dati neurali e delle informazioni da essi estraibili, afferenti al foro interno della persona a cui si riferiscono, è ora necessario capire se, a normativa invariata, sia possibile estendere le tutele ad oggi esistenti per i diritti all’integrità ed alla privacy ex artt. 3 ed 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Orbene, ai fini del riconoscimento di una tutela giudiziaria, nell’ordinamento italiano è quanto meno necessario individuare una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, nelle forme del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, come richiesto dall’art. 24 della Costituzione. Volendosi soffermare sulla sola tutela civilistica, occorre accertare se, all’interno dell’ordinamento nazionale, esista ad oggi una disposizione volta a riconoscere la sussistenza di un diritto soggettivo per la tutela del dato neurale, al fine di garantirne l’integrità. Ed invero, tale riconoscimento potrebbe ricavarsi dall’interpretazione estensiva della fonte di principale riferimento in materia di dati personali, ossia il GDPR. Nello specifico, il dato neurale andrebbe individuato tra c.d. dati particolari ex art. 9 GDPR, per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, l’incipit della menzionata disposizione non fa riferimento ad uno specifico “tipo” di dato personale, bensì a tutti i dati personali che “rivel[i]no l’origine razziale od etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, l’appartenenza sindacale”, tutte informazioni che, oltre ad essere particolarmente delicate, ben si atteggiano ad essere ricomprese tra quelle correlate al “foro interno” della persona. Pertanto, già da tale incipit potrebbe ricavarsi in via indiretta e per interpretazione estensiva il riconoscimento di un diritto soggettivo per l’interessato del trattamento dei dati neurali ad egli riferentesi.

In secondo luogo, il diritto alla tutela dei dati neurali potrebbe essere riconosciuto per applicazione diretta dell’art. 9, par. 1 GDPR, nella sua seconda parte, quando esso richiama i dati “relativi alla salute” della persona, intesi secondo la nozione offerta dall’art. 4, par. 1, n. 15 GDPR, che li definisci come i dati “attinenti alla salute fisica o mentale” di una persona fisica.

Da tali argomentazioni discende in modo sistematico che la tutela riconosciuta ai dati personali cosiddetti particolari potrebbe essere estesa anche ai dati personali neurali e, di conseguenza, all’integrità digitale della persona, quando essa, la sua dignità e la sua libertà siano lesa da un uso improprio dei medesimi.

Tuttavia, occorre riconoscere che la tutela dei dati personali, non solo neurali, incontra spesso numerose difficoltà delle singole persone fisiche nell’iniziare un giudizio, sia per la generale mancanza di consapevolezza dei singoli rispetto all’importanza dei propri dati personali, sia con riguardo agli evidenti costi della causa, che potrebbero scoraggiare anche l’interessato accorto dal ricorrere al giudice. È anche vero che resta sempre fermo il ricorso al Garante della privacy, autorità indipendente e figura cruciale per la tutela dei diritti sin qui elencati. Tuttavia, un modo per potere venire incontro alle eventuali istanze di tutela degli interessati che volessero adire il giudice competente al fine del riconoscimento di una tutela risarcitoria e/o inibitoria, potrebbe essere quello di instaurare un ricorso collettivo, secondo il modello offerto dalla nuova class-action introdotta dal Legislatore con la legge n. 31/2019.

Sul punto, la dottrina più autorevole ha propeso per la tesi negativa, per cui non sarebbe possibile applicare l’art. 840-bis c.p.c. per invocare la tutela collettiva della protezione dei dati personali, avendo questi carattere “personalissimo ed attenendo indissolubilmente a ciascun uomo come essere unico e irripetibile. Ciò impedirebbe in radice la possibilità di concepire diritti alla protezione dei dati personali omogenei tra di loro e facenti capo a una pluralità di persone che si riconoscono in un’unica “classe”, essenzialmente perché ciascuna di esse, rendendosi protagonista della sua stessa vita, porta con sé storie, memorie e prospettive diverse, non sovrapponibili” [18].

Sul punto, si potrebbe tuttavia fare un’ulteriore precisazione. È ben vero che la lesione del dato personale può essere non omogenea rispetto alla lesione lamentata da terzi soggetti lesi, sicché non sarebbe possibile un’azione di classe tra più individui i cui dati venissero lesi sì con medesime modalità, ma con pregiudizio di carattere differente, non potendosi disconoscere la natura personalissima del diritto in oggetto. Tuttavia, potrebbe accadere che più soggetti, i cui dati siano stati oggetto di trattamento da parte del medesimo titolare e con medesime modalità (compresa l’alienazione a terzi o il riuso non autorizzato), possano subire il medesimo tipo di pregiudizio al bene della vita, così da giustificare un ricorso collettivo all’autorità giudiziaria.

Alcuni esempi potrebbero essere quelli legati al proliferare delle c.d. bolle comunicative, tipiche dei fenomeni inerenti alla group privacy, dalle quali gli interessativi potrebbero ben voler evadere [19]. Ed invero, il pregiudizio subito dai singoli in queste occasioni non solo poggerebbe sulle medesime basi giuridiche, qualora venissero trattati i dati particolari di questi ultimi, ma condividerebbe anche l’esigenza comune di tutelare un diritto fondamentale e dalla dimensione duplice, sia individuale che collettiva, rinvenibile nella lesione dell’integrità mentale dovuta allo scorretto trattamento dei dati neurali e dunque, inerenti alla salute, diritto anch’esso riconosciuto nella duplice dimensione – individuale e collettiva – ex art. 32 Cost., tale dunque da giustificare la possibilità di adire collettivamente il giudice civile, favorendo la partecipazione degli interessanti, in piena attuazione del principio di tutela effettiva, oggi da considerarsi a pieno titolo tra i cardini fondamentali dell’ordinamento europeo.

Conclusioni

Come dice Perlingeri [20] “di fronte a questi scenari, così impegnativi, le risposte del diritto si devono concentrare sulla sottrazione di monopoli privati e consumeristici della detenzione e dell’utilizzazione dei dati con risposte di valenza sovranazionale e sull’uso di una tecnica legislativa che si avvalga di principi – più che di regole dettagliate e puntuali – che consentano interpretazioni adeguate ai casi concreti e ai contesti storici, con una vera e propria rivoluzione nella teoria delle fonti giuridicamente rilevanti”.

Un ruolo decisivo spetterà alle Authority nazionali e a quelle sovranazionali, oltre che al legislatore, i quali dovranno affrontare la questione in maniera interdisciplinare, con un approccio fondato sulla conoscenza della tecnologia, della scienza, ma anche del diritto, dell’etica e della filosofia.

Al fine di rendere effettiva la tutela in questione, sarebbe auspicabile una Convenzione internazionale ad hoc, che disciplini “per principi” la materia della neural privacy, fino ad escludere dall’elaborazione dei dati “chi non si adegua”[21].

Note

  1. Diego Fulco, Gli impatti della normativa in materia di protezione dei dati personali sulla libera iniziativa economica e sulle libertà di scelta individuali, in Luca Bolognini (a cura di), Privacy e libero mercato digitale, Giuffrè, Milano, 2021, p. 2.
  2. Ienca Marcello, Roberto Adorno, Towards new human rights in the age of neuroscienze and neurotechnology, in Life sciences, society and policy, n. 13, 2017, in http://lsspjournal.biomedcentral.com7articoles/10.1186/s40504-017-0050-1. Cfr. in questo senso anche Vittorio Colomba, Neurodiritti, una impellente esigenza di tutela, in https://www.glistatigenerali.com/innovazione/neurodiritti-una-impellente-esigenza-di-tutela/.
  3. Ienca Marcello, Neurodiritti, quali nuove tutele per la sfera mentale: tutti i nodi etico-giuridici, in AgendaDigitale, 18 marzo 2021.
  4. Neurodiritti, la libertà e i confini della scienza, Intervento di Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, (Corriere della Sera, 26 gennaio 2021).
  5. Ienca Marcello, Neurodiritti, quali nuove tutele per la sfera mentale: tutti i nodi etico-giuridici, cit.
  6. Pollicino O., Privacy e neurodiritti. La persona al tempo delle neuroscienze, cit.
  7. Johan Rochel, Connecting the Dots: Digital Integrity as a Human Right, in Human Right Law Review, 2021, pp. 358-383.
  8. Si veda in questo senso la pronuncia no. 2346/02). della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Pretty v United Kingdom, [29 April 2002], par. 61, secondo la quale il concetto di “private life” “is a broad term not susceptible to exhaustive definition. It covers the physical and psychological integrity of a person”.
  9. Johan Rochel, Connecting the Dots: Digital Integrity as a Human Right, cit., p. 365.
  10. Tafaro L., Oltre gli atti muti: gli atti neuronali. I Brain’s Acts a contenuto non patrimoniale, l’uomo postumano e la sua custodia, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2021, [471-495], p. 476.
  11. Tafaro L., Oltre gli atti muti: gli atti neuronali, cit., p. 477.
  12. Stanzione P., Privacy e neurodiritti. La persona al tempo delle neuroscienze, Atti del Convegno tenutosi il 28 gennaio 2021 in occasione della Giornata europea della privacy, pag. 10.
  13. Pollicino O., Privacy e neurodiritti. La persona al tempo delle neuroscienze, cit.
  14. Enrico Giunta, Il sistema del credito sociale in Cina, in https://geopolitica.info/il-sistema-del-credito-sociale-in-cina/.
  15. Enrico Giunta, Il sistema del credito sociale in Cina, cit.
  16. Enrico Giunta, Il sistema del credito sociale in Cina, cit.
  17. In Cina indagini d’opinione sia cinesi che occidentali mettono in evidenza l’elevato grado di accettazione del progetto da parte dei cittadini cinesi: prevale l’opinione che il Sistema di Credito Sociale possa essere uno strumento positivo per migliorare il comportamento degli individui, la loro affidabilità e, in generale, la coesione sociale e la fiducia dei cinesi nel loro Paese, le sue istituzioni e la sua leadership. Un sondaggio del 2018 effettuato su un campione di 2.209 cittadini cinesi e decine di interviste approfondite su diversi tipi di sistemi di credito sociale in Cina, ha dimostrato che la maggior parte dei cittadini cinesi approva i sistemi di credito sociale sia commerciali che governativi. Al contrario l’opinione largamente prevalente sui media occidentali è che il Sistema di Credito Sociale possa essere un potente strumento di controllo degli individui per ridurre, censurare e reprimere le opinioni e i comportamenti critici e in qualche modo ostili allo Stato, al Partito e all’attuale governo del paese. Cfr. Genia Kostka, What do people in China think about ‘social credit’ monitoring? In https://www.washingtonpost.com/politics/2019/03/21/what-do-people-china-think-about-social-credit-monitoring/; Genia Kostka, China’s social credit systems and public opinion: Explaining high levels of approval, in New media & society 2019, Vol. 21(7) 1565 – 1593 e dello stesso autore Information Control and Public Support for Social Credit Systems in China, in Journal of Politics, 2021.
  18. Bolognini L., Capenelli M. E., La rappresentanza dei diritti in materia di protezione dei dati personali, tra azioni plurisoggettive e azioni collettive, in Azione di classe: la riforma italiana e le prospettive europee, a cura di Barsotti V., Varano V., Pailli G., De Dominicis F. [pp.154-163], p.159.
  19. Ienca M., Privacy e neurodiritti. La persona al tempo delle neuroscienze, Atti del Convegno tenutosi il 28 gennaio 2021 in occasione della Giornata europea della privacy, p. 44.
  20. Note sul “potenziamento cognitivo” Intervento di Pietro Perlingieri, Atti del Convegno tenutosi il 28 gennaio 2021 in occasione della Giornata europea della privacy, p. 86.
  21. Note sul “potenziamento cognitivo” Intervento di Pietro Perlingieri, cit.

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