il quadro

Internet veloce, Italia sempre alla rincorsa del futuro: cosa è stato fatto e cosa manca

Le infrastrutture digitali sono uno dei fattori abilitanti per consentire la trasformazione del sistema economico e generare nuove opportunità di sviluppo. L’Italia sta recuperando terreno, ma sconta ancora troppi gap. Dagli ambiziosi piani del Governo alla loro esecuzione: tutti i temi sul tavolo

Pubblicato il 29 Nov 2021

crisi telco

Non c’è più summit, incontro bilaterale o dibattito pubblico senza trasformazione digitale e transizione ecologica. Le istituzioni si adattano con appositi ministeri e l’attenzione a questi due pilastri del cambiamento attraversa gli schieramenti politici e diventa un obiettivo comune, nonché un’aspettativa dei cittadini. Più che una buona notizia è ormai un dato di fatto che guiderà l’evoluzione del sistema economico nel prossimo decennio.

L’ambizione di ogni Paese diventa quella di creare l’ambiente e l’ambito migliore per poter svolgere le proprie attività professionali, coltivare le proprie passioni, interagire con le altre persone. In altri termini, il miglior luogo dove vivere.

In questo quadro, le infrastrutture digitali sono più che mai uno dei fattori abilitanti chiave per consentire la trasformazione del sistema economico e generare nuove opportunità di sviluppo. D’altra parte, nell’era pandemica, le reti, le loro prestazioni e la loro resilienza sono state sottoposte ad uno stress test senza uguali e le tecnologie digitali hanno definitivamente dimostrato il loro ruolo nell’assicurare il funzionamento del sistema, su una scala e con una tempistica difficilmente immaginabili fino a poco tempo fa.

Banda ultralarga e 5G: l’Italia migliora, ma resta ancora molto da fare

Anche in Italia, al di là delle buone intenzioni, le risorse introdotte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono ingenti e consentono da un lato di generare i tradizionali effetti del moltiplicatore keynesiano degli investimenti, ma dall’altro anche di creare un terreno fertile per scatenare i migliori spiriti imprenditoriali e attrarre competenze e ulteriori risorse per innescare il processo innovativo.

Le pagelle europee: capitale umano e servizi pubblici digitali penalizzano l’Italia

Sebbene in ritardo rispetto al tradizionale appuntamento di metà anno, la Commissione europea ha recentemente pubblicato il benchmarking sull’avanzamento digitale nei paesi dell’Unione, il DESI (Digital Economy and Society Index), che è stato quest’anno ulteriormente arricchito per tenere conto delle due principali iniziative politiche che avranno un impatto strutturale sulla trasformazione digitale dell’Unione Europea: il dispositivo per la ripresa e la resilienza e la “bussola” per il decennio digitale (il Digital Compass). Di conseguenza, gli indicatori sono stati riorganizzati lungo le quattro direttrici cardinali: il capitale umano; la connettività; l’integrazione delle tecnologie digitali; i servizi pubblici digitali.

La classifica generale non è più una novità e l’Italia, anche se sale di cinque posizioni, rimane nel gruppo di coda (20° posto su 27 Paesi, rispetto al 25° posto su 28 dell’anno prima) in compagnia di Romania, Bulgaria, Grecia, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Cipro, che non sono certo i nostri principali concorrenti sui mercati internazionali. Guardando invece alla testa della classifica, consolidano la propria leadership i Paesi del Nord Europa, mentre la Francia, la Germania e la Spagna occupano, rispettivamente, la 15°, 11° e 9° posizione e il Regno Unito era attorno all’ottava posizione prima della Brexit. Da notare, infine, come raggiungere le posizioni di testa della classifica europea significa in realtà allinearsi anche con i principali Paesi avanzati, dalla Corea, al Giappone, fino agli Stati Uniti.

Più che la classifica è comunque importante il differenziale rispetto ai primi della classe, visto che il numero indice dell’Italia è di circa 1/3 peggiore di quello della Danimarca (prima) e di ¼ della Spagna.

D’altra parte, raggiungere i primi richiede di migliorare l’insieme delle dimensioni rilevanti, laddove su capitale umano e servizi pubblici digitali siamo ampiamente sotto la media europea e, rispettivamente, al 25° e 18° posto. Sull’integrazione delle tecnologie digitali, che fa riferimento essenzialmente all’utilizzo degli strumenti digitali da parte delle imprese il quadro è invece decisamente più positivo e l’Italia occupa la decima posizione, con valori significativamente superiori alla media europea e i migliori tra i grandi Paesi europei.

In termini dinamici, al di là di un generale incremento del valore degli indicatori, negli ultimi cinque anni i Paesi più virtuosi sono rimasti quelli di testa, mentre l’Italia si posiziona in una situazione intermedia, su livelli molto simili a Francia e Germania, ma sensibilmente inferiori alla Spagna.

La scalata richiede tempi lunghi.

La rincorsa della banda tra ritardi del passato e reti del futuro

Archiviato il tema del digital divide infrastrutturale di prima generazione (quello dell’accesso a Internet con valori superiori a 2 Mbit/s) e della copertura mobile 4G, la sfida è oggi non solamente sulla copertura dei servizi NGA di rete fissa (Next Generation Access, sopra i 30 Mbit/s), ma ormai definitivamente sugli obiettivi di fine decennio e dell’ulteriore salto di qualità verso le prestazione del Gigabit (1 Gbit/s), che richiedono da un lato l’accelerazione dell’evoluzione verso le reti in fibra ottica fino agli utenti finali (FTTH, Fiber To The Home) e, dall’altro, lo sviluppo delle coperture mobili 5G, con sinergie sempre più importanti tra le coperture radio e via cavo. Il nuovo acronimo “VHCN” (Very High Capacity Network) scelto per le reti ad altissima capacità in grado di raggiungere la soglia del Gbit/s non è certo figlio di brillanti studi di marketing, ma è la nuova frontiera da conquistare.

La posizione in classifica dell’Italia rimane deludente (23° posto), ma in realtà è figlia della tradizionale dicotomia italica: mentre sullo sviluppo della copertura rimaniamo sopra la media europea (per le reti NGA e 4G), dal lato dell’adozione dei servizi scontiamo ancora l’atavico ritardo nell’adozione dei servizi digitali da parte della popolazione.

Guardando però alle reti del futuro prossimo (fisse e mobili) è vero come riguardo le decisioni propedeutiche allo sviluppo del 5G (frequenze) e la pianificazione per gli interventi pubblici a sostegno delle nuove infrastrutture l’Italia rimanga un caso virtuoso, ma il gap infrastrutturale è tuttora sensibile. Per quanto concerne la copertura VHCN di rete fissa il livello di copertura è cresciuto di 10 punti percentuali in due anni, ma rimane ampiamente inferiore alla media europea (34% contro 59%), così come per la copertura 5G, sebbene con un divario inferiore (8% contro 14%).

Riguardo ai prezzi, anche se tendiamo a pensare di beneficiare di livelli di prezzi molto convenienti, in realtà non ci discostiamo molto dalla media europea.

La sfida delle reti Gbit/s è lanciata.

Vision, planning, execution

In materia di connettività va però ricordato come, attraverso l’effetto combinato degli investimenti privati e le diverse misure pubbliche di sostegno all’infrastrutturazione (i vari piani per la banda larga e ultra larga), la rincorsa ha dato i suoi frutti e la qualità della copertura è sicuramente allineata a quella dei principali Paesi europei. Un dato che non traspare pienamente nei dati europei e che è stato tradizionalmente sottovalutato è il contributo che hanno dato, e continuano a dare, le reti FWA (Fixed Wireless Access) nella copertura delle aree più remote del Paese e che fanno dell’Italia un caso di assoluta eccellenza a livello internazionale, con un ruolo chiave di operatori specializzati (come Eolo e Linkem), operanti anche su scala territoriale ridotta.

Il caso della Strategia italiana per la Banda Ultra Larga, fortemente voluta da personaggi visionari come Raffaele Tiscar, rappresenta poi un ottimo esempio della possibilità di lanciare, anche in Italia, un programma ambizioso in materia di infrastrutturazione digitale nei tempi giusti e con la corretta prospettiva. In effetti, il piano, lanciato nel 2015, si è dimostrato a prova di futuro nelle scelte tecnologiche, al punto che rispetto agli obiettivi europei di allora (quelli dell’Agenda Digitale Europea per il 2020) si è dimostrato allineato con gli obiettivi del Digital Compass per il decennio successivo. Di fatto, si ponevano le condizioni per garantire anche in aree remote del Paese le stesse condizioni infrastrutturali del centro di Milano o Roma. Allo stesso tempo, si sono moltiplicati gli interventi normativi a supporto del processo di infrastrutturazione.

Il diavolo sta però nei dettagli e il completamento del piano, inizialmente previsto per il 2020 subirà un ritardo di circa tre anni, con un tasso di adozione dei servizi da parte degli utenti finali che rimane tuttora omeopatico. Le motivazioni sono naturalmente molteplici e meritano una trattazione dedicata, ma sicuramente la complessità di un intervento di tale portata, che riguarda la larghissima maggioranza dei comuni italiani e circa ¼ delle unità immobiliari, la peculiarità del modello di intervento (la concessione), nonché la procedura di allaccio finale, hanno richiesto di affrontare una serie di difficoltà, la cui risoluzione sarà preziosa per i prossimi interventi pubblici. Inoltre, dal lato del rispetto delle normative nazionali, l’Italia della banda ultra larga si conferma ancora come il Paese dei cento campanili, con un’estrema eterogeneità nel comportamento degli enti pubblici locali.

Cantieri aperti e servizi in attivazione, ma ancora troppo lentamente.

Italia Digitale, l’anno che è stato e l’anno che verrà

Il 2021 verrà ricordato come l’anno delle cinque consultazioni. Da un lato, le tre consultazioni, propedeutiche per gli interventi futuri, riguardanti la copertura di rete fissa nelle aree grigie e nere e quella sulla copertura 5G, nonché, successivamente, quella incentrata sulle aree bianche oggetto dei precedenti interventi pubblici. Dall’altro, le due consultazioni sulle misure di intervento pubblico: il “Piano Italia a 1 Giga” e il “Piano Italia 5G”. Entrambe le misure rientrano nell’ambito delle misure previste dal Piano di Ripresa e Resilienza, che destina il 25,1% delle risorse totali di 191,5 miliardi di euro alla trasformazione digitale (circa 48 miliardi), di cui 3,8 miliardi di euro per il Piano 1 Giga e 2 miliardi di euro per il Piano 5G.

Obiettivi ambiziosi

Partendo dal Piano 1 Giga, va innanzitutto ricordato come l’ambizione sia quella di anticipare gli obiettivi europei del Digital Compass di quattro anni, garantendo una copertura pervasiva dei servizi a 1 Gbit/s entro il 2026. Alla base della consultazione traspare chiaramente lo snodo della definizione di un modello e di un processo che faccia tesoro delle precedenti esperienze e inquadra gli snodi chiave per la definizione di un percorso originale al completamento delle reti ad altissima capacità.

Partendo dai tempi, l’ambizione è legittima, così come qualche perplessità. L’ecosistema produttivo ha più volte segnalato come non ci siano le risorse umane sufficienti per realizzare contemporaneamente i due grandi progetti privati (TIM e Open Fiber) e un ulteriore sforzo per l’attuazione del Piano pubblico.

Al di là del richiamo alla neutralità tecnologica, il limite prestazionale (1 Gbit/s in download e 200 Mbit/s in upload, nonché i vincoli sulla continuità del servizio) porta naturalmente a privilegiare la soluzione FTTH, sebbene con possibili sinergie con le tecnologie radio.

La scelta del modello di intervento

La scelta del modello di intervento è anch’esso fondamentale per determinare le condizioni di gara e le probabilità di affermazione dei diversi possibili candidati. A differenza del piano Banda Ultra Larga (BUL), l’orientamento è di rinunciare al modello di intervento diretto e alla concessione, per tornare al modello ad incentivo utilizzato in passato, sebbene confermando l’orientamento (raccomandato dalla Commissione europea) di privilegiare gli attori wholesale only.

La dimensione dei lotti rimane determinante per garantire l’accesso al bando a diverse tipologie di attori, ma nella realtà l’aspetto più critico da superare sarà quello della polverizzazione degli interventi legati all’aggregazione di singoli indirizzi civici da raggiungere, che spesso sono presenti a macchia di leopardo all’interno dei comuni.

Il sostegno alla domanda

Il sostegno alla domanda è sempre stato un punto chiave, ma non ancora affrontato in modo soddisfacente, come dimostrano i tassi di adozione nell’ambito del progetto BUL (Banda Ultra Larga). Le diverse misure adottate in passato, e in particolare i voucher, hanno riscontrato un successo più nominale che reale. Le risorse sono state sicuramente utilizzate, ma è difficile dimostrare che abbiano avuto un effetto sull’incremento netto di utilizzatori, piuttosto che uno spostamento di utenti da un servizio all’altro. In particolare, per l’accesso ai servizi ad altissima capacità, sarà fondamentale sia sincronizzare i voucher con l’effettiva disponibilità dell’infrastruttura, che definire i meccanismi più opportuni per favorire l’ultima fase del processo, vale a dire l’allaccio (“l’ultimo metro”).

Alla luce dell’esperienza passata, la gamma dei servizi all’ingrosso da offrire e i vincoli sui tempi di esecuzione condizioneranno sicuramente la redditività e il livello di rischio che dovranno sostenere i diversi candidati.

Il confronto TIM-Open Fiber

Alla luce di quanto riportato si preannuncia un rinnovato confronto tra i due grandi attori dell’infrastrutturazione fissa (TIM e Open Fiber), con possibili aggregazioni che consentano di fare leva su diverse soluzioni tecnologiche.

Tra gli elementi chiave vi sarà sicuramente la declinazione del vantaggio garantito agli operatori wholesale only (ed al loro livello di autonomia rispetto ai propri azionisti), ma anche le modalità di aggregazione dei civici, visto che i progetti FTTH (e in particolare quello di circa 2.600 comuni presentato da TIM) coprono larga parte del territorio comunale (attorno al 70-80%), lasciando scoperte la restante parte. In questo contesto, è chiaro il vantaggio per un operatore già presente rispetto ad un attore che deve creare un’infrastruttura ex-novo nelle aree di intervento, a maggior ragione se deve rimanere un attore wholesale.

Mentre l’intervento pubblico in materia di reti fisse (banda larga e ultra larga) ha ormai una lunga storia alle spalle, l’intervento dello Stato a favore dell’infrastrutturazione delle reti mobili appare sicuramente più peculiare, visto che, finora, la naturale struttura oligopolistica del settore (legata alla modalità di accesso alle frequenze, con i relativi vincoli di copertura) ha portato a processi di infrastrutturazione privati, che hanno garantito i necessari livelli di copertura. In questo caso, va comunque ricordato il ruolo svolto dalle condizioni regolamentari che, attraverso lo sbilanciamento delle condizioni di terminazione a favore del mobile hanno di fatto rappresentato indirettamente un supporto per la realizzazione delle infrastrutture private.

Per questo motivo, la misura focalizza gli interventi su tre assi di intervento (i corridoi 5G; le strade extra-urbane, le aree mobili a fallimento di mercato) e due linee di intervento più infrastrutturali e abilitanti, strettamente correlate alla definizione di reti mobili ad altissima capacità, vale a dire gli interventi di backhauling in fibra ottica delle stazioni radio base e la realizzazione di nuove infrastrutture per garantire in modo omogeneo sul territorio prestazioni (in condizioni di punta) di almeno 150 Mbit/s in download e 50 Mbit/s in upload.

Modalità di gara e criteri di aggiudicazione

In questo caso, il perimetro di intervento è più facilmente definibile (perlomeno per i siti carenti di backhauling), anche se rimangono da definire nel dettaglio le modalità di gara e i criteri di aggiudicazione, analogamente a quanto accadrà per il Piano 1 Giga. I naturali candidati appaiono essere le TowerCo sorte negli ultimi anni, anche attraverso processi di aggregazione delle risorse degli operatori mobili. Rimane inteso che per salvaguardare la concorrenza tra le diverse reti mobili andranno garantiti gli stessi livelli di copertura per tutte le reti esistenti, favorendo anche la condivisione dei siti.

In entrambi i casi l’ultima parola su modello di intervento finale spetta ovviamente alla Commissione europea, data la natura di aiuto di Stato delle misure. Con il nuovo anno verranno notificati a Bruxelles i due Piani e, dopo le valutazioni della Commissione si aprirà la nuova stagione dei piani pubblici e si delineeranno le strategie dei diversi attori.

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