Si dice che l’avanzare della tecnologia e il perfezionamento dei prodotti scalzino via via prodotti e tecnologie precedenti mettendoli nel dimenticatoio. Se questo è vero per molti settori dell’elettronica di consumo, è certamente falso per il settore dei videogame e dei computer, come dimostra un ritorno alla ribalta di computer e console 8 e 16 bit degli anni 80 e 90.
Sarà che i ragazzini di quegli anni sono i quasi-cinquantenni di oggi, sarà magari l’impulso di serie TV nostalgiche come “I giocattoli e i film della nostra infanzia” e di film di animazione come “Ralph spaccatutto”, ma il retrocomputing e il retrogaming sono ben vivi e negli ultimi tempi hanno preso un grandissimo slancio.
There is no game: il “non gioco” che ci insegna a “pensare altrimenti”
In verità, la voglia di aggiustare, utilizzare, smanettare, modificare, potenziare queste vecchie glorie dell’informatica, non è mai morta. Oltre ai veri e propri appassionati di retrocomputing, che collezionano i “pezzi storici” come i vari PDP-11, PET, DEC workstations, il cui collezionismo si avvicina più all’antiquariato che all’hobbistica, grande, grandissimo successo continuano ad avere home computer come i Sinclair e i Commodore, o le console vere e proprie, dai vari Atari ai NES e ai Sega Megadrive.
Se investigare sul perché è forse più mestiere da sociologi e psicologi, è interessante addentrarsi sul folto universo degli appassionati, cercando di capire quanto è diffuso e cosa offre.
Nel mondo del retrogaming e retrocomputing
Entrare nel mondo del retrogaming e retrocomputing assomiglia molto, a fare un parallelo un po’ fantasioso, ad entrare nella tana del Bianconiglio del film Matrix.
Un numero imprecisato di forum e blog è specificatamente dedicato al tema. Sinclair e Commodore fanno da padrone assoluto, forse con una lieve prevalenza per il primo forse perché, si racconta, molti hanno iniziato proprio con gli ZX Spectrum.
Ma anche Atari 800 e 1600 ed MSX hanno un discreto seguito, nonché TI-99/4A ed Apple, per non parlare di Amiga, per il quale l’amore non è mai diminuito.
E poi le console. Dalle classiche di seconda generazione, Atari 2600, Intellivision, Colecovision a quelle di grandissimo successo come NES e Sega, nonostante il divario in termini di complessità dei giochi con quelli odierni, sembrano non mollare la presa sul cuore e sulla testa di milioni di appassionati.
Di cosa parliamo quando parliamo di retrocomputing
È complesso definire il retrocomputing e retrogaming. Certamente per molti il gioco in sé è un aspetto importante, altrimenti non si spiegherebbe il successo dell’emulazione dell’hardware di allora con progetti software come Stella, MAME e mille altri, né di prodotti hardware espressamente progettati per riprodurre, spesso utilizzando sistemi Raspberry, l’emozione di utilizzare uno strumento specifico per il gioco a 8 o 16 bit.
Ma nei forum non si parla solo di emulazione e ROM. La riparazione e il restauro di pezzi originali dell’epoca è un’attività che riunisce tantissimi appassionati, e su YouTube non è difficile trovare video fantastici di imprese di restauro davvero sorprendenti. Molto rappresentativa su tutte è la storia di quel fortunato appassionato che ha trovato una NES a bordo autostrada ed è riuscito con relativa semplicità a ripristinarne integralmente le funzionalità.
Ma ancora più sorprendente è apprendere che sono attivi anche moltissimi progetti di sviluppo su tali piattaforme. Dallo sviluppo di software e giochi nuovi su piattaforme originali, i cosiddetti “homebrew” ad esempio per l’Atari 2600[1] o per lo Spectrum[2], allo sviluppo di nuovo hardware ed hack vari al fine di colmare il gap tecnologico di oggi (ormai i televisori sono privi di sintonizzatore analogico) o di superare i limiti di ieri[3].
I problemi che affliggono il retrocomputing e come si stanno risolvendo
L’esempio più ovvio è, appunto, il problema dell’interfacciamento con i televisori moderni, e dunque sono nati piccoli circuiti per dotare le console di uscita HDMI o almeno video composito; ma per caricare il software? Un tempo il software era fornito su cartuccia ROM o su supporto magnetico. Se nel primo caso è possibile acquistare esemplari originali su ebay o su marketplace specifici sul retrogaming, nel secondo il problema è molteplice: i supporti sono poco affidabili, tendono a danneggiarsi, ma nel contempo scarseggiano i lettori di floppy o di microcartucce a nastro. Ed ecco nascere progetti per interfacciare i vari Sinclair, Commodore o Atari con le modernissime sdcard, colmando anche il problema dell’approvvigionamento del software su cartuccia.
Il caso
La dedizione di questi appassionati è impressionante. Nella mia ricerca in questo sottobosco mi ha molto colpito la storia che segue, perché essendo io un ingegnere elettronico ne colgo le difficoltà incredibili.
Con lo sviluppo negli anni ‘70 della tecnologia di produzione dei circuiti integrati iniziò ad essere disponibile sul mercato un vastissimo catalogo di componenti in grado di realizzare funzioni mediamente complesse, come ad esempio le memorie dinamiche. Tuttavia, la mancanza di uno standard di fatto e la necessità di interfacciare chip di varia natura richiedeva l’utilizzo di reti logiche a volte piuttosto complesse.
L’estrema concorrenza nel settore dell’elettronica di consumo imponeva ai produttori di abbattere all’osso il costo dei circuiti integrati e il costo di lavorazione. Le prime linee di produzione robotizzate erano ancora agli albori e avevano un costo importante, e spesso si ricorreva a operatori umani anche per la saldatura dei componenti sulle schede.
Dunque, era importante per contenere i costi anche ridurre il numero di componenti stessi, a scapito del costo iniziale di progettazione e ingegnerizzazione, specie su prodotti di grande successo. Atari, Sinclair Spectrum vendettero nel giro di pochi anni milioni di pezzi.
Per questo l’industria dei componenti elettronici giunse abbastanza presto a sperimentare prima e commercializzare poi dei circuiti facilmente customizzabili dai clienti, quelli che anni dopo presero il nome di “logiche programmabili”, le odierne CPLD (Complex Programmable Logic Device) ed FPGA (Field Programmable Gate Arrays).
All’epoca uno dei principali player in questo mercato era la Ferranti Semiconductors, azienda britannica all’avanguardia nel settore dei circuiti integrati ad alta densità di integrazione, che aveva a catalogo dei componenti customizzabili dette ULA (Uncommitted Logic Arrays). Si trattava di speciali chip i cui transistor nascevano “isolati” e non ancora connessi e il cliente poteva fornire alla fonderia i disegni dei layer di collegamento realizzando le funzioni digitali e, più limitatamente analogiche, secondo le proprie necessità. Ferranti oltre al servizio vendeva il proprio software di customizzazione.
Il Sinclair ZX Spectrum conteneva al suo interno una ULA realizzata proprio dalla Ferranti Semiconductors. L’ULA[4] si occupava di gestire la tastiera e altre periferiche, adattava i segnali di indirizzo all’interfaccia delle RAM dinamiche e si occupava anche di prelevare i dati dalla RAM video e di inviarli opportunamente trattati al circuito di generazione del segnale Video Composito[5].
Tali ULA avevano un tasso di mortalità piuttosto alta. Non è infrequente, infatti, trovare esemplari di Spectrum o ZX81 con ULA difettosa.
Trattandosi di un componente custom, la sostituzione poteva avvenire soltanto prelevando un esemplare di ULA da un modello analogo non funzionante. Con il passare del tempo ovviamente il numero di ULA disponibili si stava riducendo.
Per questo Chris Smith con altri appassionati ha retro-ingegnerizzato il chip di Sir Sinclair e ha realizzato un clone della ULA implementabile su logica programmabile moderna, realizzando così dei componenti sostitutivi perfettamente compatibili e facilmente reperibili. Nacquero NebULA e ULAv82, moduli sostitutivi per le ULA difettose dei sinclair spectrum e successivi.
Per capire la complessità del compito, si può dare una occhiata al libro che ne è scaturito, “The ZX Spectrum ULA – how to design a microcomputer[6]”.
Perché il retrogaming non è un fenomeno di consumo
È dunque evidente che definire il retrogaming come un fenomeno di consumo di un prodotto, il “videogioco a 8 bit”, è molto limitativo.
Non è un caso se esso è divenuto un fenomeno diffuso soprattutto con la disponibilità “off the bench” di elettronica e di componenti complessi utilizzabili anche da hobbisti.
È mio parere che il fenomeno sia perfettamente incastrato in un altro, ossia quello dell’home-brewing che per poco meno di due decenni, tra il 1995 e il 2010, si era apparentemente assopito, o piuttosto, si era trasferito nel software. Con Arduino, Raspberry, la stampa 3D, è tornata la voglia di “farsi le cose da sé”, come negli anni 70 e 80 succedeva con i kit di nuova elettronica. Il Retrocomputing e retrogaming è uno dei tanti aspetti, ma è l’unico che probabilmente sintetizza la voglia di innovare, l’inventiva innata in ogni informatico, con la nostalgia di quegli anni, dove noi che allora eravamo poco più che ragazzini, iniziavamo a sporcarci le mani e a passare le nottate dietro assembly e pixel art ante litteram.
Erano anni favolosi, che hanno innescato qualcosa di importante sia a livello sociale che a livello di innovazione. La tentazione di attribuire alla chiusura della rete Fidonet e alla popolarizzazione di Internet la responsabilità di aver “ucciso” la creatività è forte, ma sbagliata. La creatività si è trasferita altrove, internet ha consegnato a noi tutti un potente mezzo di comunicazione che ciascuno può sfruttare secondo le proprie inclinazioni, sfociando in complottismi sui social o, più proficuamente, costruendo nuovi software da far girare su questi vecchi compagni di nottate.
Figura 4 – Una immagine di The Hobbit, famosa avventura grafica del 1982 per Spectrum. Il gioco fu il primo gioco per spectrum a raggiungere il milione di vendite. – https://spectrumcomputing.co.uk/index.php?cat=96&id=6440
- https://vsrecommendedgames.fandom.com/wiki/Atari_2600/Homebrew ↑
- https://github.com/retrobrews/zxspectrum-games ↑
- Proprio mentre scrivo scopro che qualcuno il 13 novembre scorso ha risolto con un annoso bug dello spectrum +2, con una CPLD e una manciata di codice VHDL. https://www.youtube.com/watch?v=5wGjaD_IVkk ↑
- https://sinclair.wiki.zxnet.co.uk/wiki/ZX_Spectrum_ULA ↑
- In realtà parlare “dello” spectrum riferendosi all’elettronica è improprio. Esistono sul mercato quasi una decina di diverse “Issue” ossia varianti dello spectrum originale, numerate da 1 a 6 con alcune sottovarianti (4A e 4B per esempio), e varianti diverse contengono varianti della ULA, frutto dei miglioramenti e dell’esperienza maturata con l’immissione sul mercato dei modelli precedenti. Si veda, per esempio, https://spectrumforeveryone.com/technical/zx-spectrum-ula-types/ ↑
- http://www.zxdesign.info/book/ ↑