La normativa italiana sul diritto d’autore – che allinea la normativa sul copyright italiana alla Direttiva Ue 790/2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (“Direttiva Copyright”) – mette insieme le esperienze internazionali e lo spirito originario della legislazione comunitaria. Ed è considerato benchmark di una riforma bilanciata ed efficace. L’Italia, tra l’altro, è l’unico tra gli Stati membri ad aver recepito il diritto connesso degli editori di giornali, inserendolo in un contesto procedurale dai tempi e le modalità certi.
Proviamo, dunque, a fare il punto sulle esperienze in corso nei principali Paesi europei perché…se Atene (forse) piange, Sparta (ancora) non ride!
Direttiva Copyright, troppi punti oscuri nella “versione” italiana: gli errori del MIC
Il recepimento del diritto connesso degli editori di giornali
Il provvedimento introduce – tra le altre – norme che riconoscono agli editori, sia in forma singola che associata, un diritto connesso per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi delle società di informazione e delle società di monitoraggio media e rassegne stampa.
In particolare, nell’attuare il diritto connesso previsto dalla Direttiva, sono stati previsti due principi essenziali: un meccanismo di “negoziazione assistita” per la remunerazione degli articoli dei giornali e una definizione di ‘estratti brevi’ che non vanifichi lo spirito della Direttiva.
Il testo – frutto di un intenso lavoro di tutte le amministrazioni coinvolte e in particolare del DIE, oltre che del costante dialogo con le associazioni e le rappresentanze di categoria del settore – esprime con chiarezza la ratio sottesa a tutta la normativa di recepimento, ossia garantire l’effettività dei diritti riconosciuti dalla Direttiva europea, la quale demanda ai singoli Stati membri il compito di assicurarne in concreto l’applicazione; normativa che tiene conto delle esperienze internazionali e dello spirito originario della legislazione comunitaria che è quello di favorire il dialogo e la negoziazione tra le Parti, per giungere a un accordo di effettiva valorizzazione del prodotto editoriale.
Anche le associazioni della stampa europea (ENPA, l’Associazione europea degli editori di quotidiani ed EMMA, l’Associazione europea degli editori di periodici) hanno sostenuto, con un comunicato del 6 ottobre scorso, la normativa italiana di recepimento, rilevando come il decreto allora ancora in esame prevedesse “strumenti che rafforzano il diritto connesso degli editori di giornali, tra cui un meccanismo di ‘negoziazione assistita’, ispirato all’Australian News Media Bargaining Code adottato all’inizio di quest’anno, che mira a garantire l’effettivo esercizio del diritto da parte degli editori.”
Tanto che il decreto legislativo italiano è stato trasmesso, dalle rispettive associazioni nazionali di editori, ai governi di Belgio, Repubblica ceca, Portogallo e Spagna, come “benchmark di una riforma bilanciata ed efficace, di certo la più avanzata nel quadro degli ordinamenti europei per quel che riguarda la tutela dei diritti degli editori di giornali.”
Il meccanismo della c.d. “negoziazione assistita” (espressione coniata dagli editori FIEG) è, senza dubbio, uno degli aspetti di maggiore rilevanza della normativa italiana di recepimento, di certo quello su cui si è concentrato il più intenso dibattito tra sostenitori e oppositori del nuovo diritto: se, da un lato, questi ultimi registrano la definitiva entrata in vigore di una riforma a tratti anche aspramente contestata, dall’altro gli editori uniscono alla soddisfazione espressa nei comunicati ufficiali l’attesa di capire come queste previsioni possano concretamente tradursi in nuovi accordi di remunerazione o come possano influenzare quelli già in essere. Una situazione che si rileva in tutti gli Stati membri rispetto a quello che è lo stato del confronto tra titolari dei nuovi diritti e piattaforme digitali, all’indomani dell’attuazione della Direttiva.
La Direttiva Copyright in Italia
L’Italia è l’unico tra gli Stati membri ad aver recepito il diritto connesso degli editori di giornali inserendolo in un contesto procedurale dai tempi e le modalità certi: i meccanismi di negoziazione previsti sono finalizzati a rendere effettivamente esercitabile il diritto connesso, tutelando la parte più debole del rapporto, ossia le imprese editoriali, e in particolare quelle che incontrano maggiori difficoltà ad intavolare una negoziazione equa con i prestatori di servizi della società dell’informazione, tipicamente piccoli e medi editori, che avranno anche la possibilità, ove interessati, di affidarsi ad organismi di gestione collettiva dei diritti, quali loro mandatari.
È previsto, in particolare, che le negoziazioni si svolgano in maniera trasparente e nel rispetto dell’obbligo di buona fede, nel solco di criteri per la determinazione dell’equo compenso, elencati in via di prima esemplificazione dalla legge, che andranno definiti dall’Autorità di settore (AGCOM) con apposito Regolamento da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della disposizione, fissata al 12 dicembre 2021 (quindici giorni dopo la sua pubblicazione in Gazzetta). La stessa Autorità potrebbe essere chiamata a stabilire la misura dell’equo compenso, ma solo in caso di mancato accordo fra le Parti; e anche in tal caso, è fatta salva in ogni momento e per ciascuna delle Parti la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria.
I parametri per la definizione dell’equo compenso – nel decreto indicati esemplificativamente e suscettibili di integrazione, anche sulla base delle osservazioni degli stakeholders che sono già stati tempestivamente coinvolti dall’AGCOM in sede di raccolta preliminare delle informazioni – perseguono il condivisibile obiettivo di valorizzare quelle pubblicazioni che si caratterizzano per la diffusione di una informazione qualificata e attendibile, garantita anche da una presenza adeguata di giornalisti impiegati, e da investimenti e risorse specificamente destinati all’esercizio professionale dell’attività di informazione.
L’obiettivo è di incentivare la concessione delle licenze e la valorizzazione economica delle pubblicazioni di carattere giornalistico nell’ambiente digitale, assicurando ai titolari dei diritti la remunerazione degli investimenti effettuati, al fine di sanare l’enorme squilibrio – rilevato tra gli altri anche dall’AGCOM sin dal 2014 nel Rapporto sui servizi di Internet e la pubblicità online – tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di Internet e i ricavi percepiti dai produttori degli stessi: uno squilibrio che, a detta dell’Autorità di Garanzia, provoca “danni incalcolabili al finanziamento dell’intero sistema dell’informazione e rischia di comprometterne il funzionamento”.
Per il resto, il legislatore italiano ha confermato l’impianto generale della normativa presentata in agosto: una definizione di editori di giornali che insiste sull’elemento oggettivo della pubblicazione e, in quanto tale, ricomprende quotidiani, periodici e agenzie di stampa, senza lasciare spazio a discriminazioni o trattamenti differenziati sanzionabili dalle Autorità di settore (come accaduto in Francia, dove l’accordo quadro siglato all’inizio di quest’anno tra Google e una categoria circoscritta di editori ha portato alla più alta sanzione mai comminata dall’Antitrust francese, pari a 500 milioni di euro); il riconoscimento di una quota spettante ai giornalisti, con l’indicazione espressa del valore che deve essere compreso tra il 2% e il 5%; la conferma della non applicabilità del diritto connesso agli utilizzi privati o non commerciali delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utilizzatori, ai collegamenti ipertestuali e all’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi, dando di questi ultimi una definizione solo qualitativa.
Il tema degli estratti brevi
Anche sul tema degli estratti brevi, le associazioni degli editori europei, nel comunicato sopra richiamato, hanno sottolineato l’importanza che, in linea con il Considerando 58 della Direttiva, l’esclusione degli estratti molto brevi venisse interpretata in modo tale da non pregiudicare l’efficacia dei diritti previsti. In altre parole, nel caso in cui l’uso di estratti molto brevi abbia un effetto di sostituzione della pubblicazione o dispensi i lettori dal farvi riferimento, ciò rappresenta una chiara violazione del diritto degli editori. EMMA ed ENPA hanno sostenuto, pertanto, l’approccio adottato finora da tutti gli Stati membri, nessuno dei quali ha stabilito una nozione quantitativa o un limite specifico di caratteri per definire la nozione di estratto molto breve.
Se, dunque, il percorso italiano è scandito da una precisa e rapida progressione temporale che legittima un senso di fiduciosa, ma pur sempre realistica, aspettativa sui prossimi passi da compiere (emanazione Regolamento AGCOM, avvio negoziazione tra le Parti), più articolata appare la situazione negli altri Paesi europei. Ne approfondiamo tre.
Copyright, il recepimento in Francia
In Francia si sono succeduti, nell’arco di poche settimane, due importanti annunci: da un lato, la conclusione – dopo ben 18 mesi di trattative – di un accordo quinquennale tra Google e l’Agenzia AFP (France Presse), siglato nel quadro della direttiva europea sul diritto connesso; dall’altro, la nascita di una società di gestione collettiva per la negoziazione dei diritti connessi degli editori con le piattaforme digitali, denominata “Société des droits voisins de la presse” (DVP) e che sarà gestita dalla Sacem (Société des auteurs, compositeurs et éditeurs de musique).
L’Associazione francese degli editori di periodici (SEPM) – fino ad oggi esclusi dalle trattative per il riconoscimento dei diritti connessi – aveva annunciato all’inizio di giugno il progetto di creare un organismo incaricato di gestire collettivamente la raccolta e la distribuzione delle somme derivanti dall’esercizio del nuovo diritto connesso, progetto al quale si sono successivamente unite altre organizzazioni professionali. Nel consiglio di amministrazione della DVP, infatti, siedono, tra gli altri, rappresentanti di AFP, Le Point, France Télévisions e L’Equipe.
La società condurrà le trattative nel quadro legale e regolamentare definito dalla legge di attuazione e dall’Antitrust francese: per quanto, infatti, la Francia sia stato il primo Paese a recepire nel proprio ordinamento nazionale il diritto connesso (già nel luglio 2019), la negoziazione tra editori e piattaforme non ha mai avuto un andamento lineare nel corso degli ultimi due anni e mezzo e, soprattutto, non ha prodotto risultati concreti. Una normativa di attuazione scarna e priva di riferimenti procedurali e sanzionatori certi ha trascinato gli editori francesi e Google in un lungo contenzioso, culminato nella pronuncia del luglio 2021 con cui l’Autorità Antitrust, oltre alla sanzione pecuniaria sopra ricordata, ha stabilito l’obbligo di concludere un accordo con tutti gli editori di giornali entro fine anno.
In effetti, l’accordo quadro siglato nel gennaio 2021 tra Google e un gruppo di editori francesi riuniti in APIG (l’Alliance de la Presse d’Information Générale, che rappresenta alcuni editori, nazionali e locali, di giornali francesi) identificava come beneficiarie dell’accordo di remunerazione le sole testate rientranti nella qualifica di “Publications d’information politique et générale” riconosciuta dalla Commission Paritaire des Publications et Agences de Presse (CPPAP), in base ai requisiti di cui al Code des postes et des communications electroniques (CPCE, art. D.19-2).
Un profilo questo che è stato oggetto di rilievo da parte dell’Autorità Antitrust francese che ha, dunque, obbligato il motore di ricerca a negoziare in buona fede alle condizioni previste dall’articolo L. 218-4 del Code de la Propriétè Intellectuelle e secondo criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori con tutti gli editori: in altre parole, anche in Francia, Google non potrà più rifiutarsi di negoziare con gli editori di stampa non certificati per l’informazione politica e generale (“IPG”) e con le agenzie di stampa.
In questo contesto, si inscrive la neonata società di gestione collettiva (DVP), la quale, tuttavia, già in queste prime settimane di lavoro pare stia incontrando serie criticità: da un lato, rispetto al tema della condivisione da parte delle piattaforme dei dati necessari per la determinazione del compenso (ritenuti non soddisfacenti dai rappresentanti degli editori); dall’altro, rispetto al tema della corretta qualificazione dei “ricavi indiretti” che, secondo la legge francese, devono concorrere alla determinazione del compenso ma che le piattaforme digitali non sembrano disposte a voler riconoscere come criterio di quantificazione.
Gli editori di APIG, intanto, hanno annunciato, a fine ottobre, di aver concluso un accordo di remunerazione con Facebook per l’utilizzo delle notizie che circolano sui feed dei suoi utenti, con l’obiettivo di “migliorare la qualità delle informazioni che circolano sulla sua piattaforma”. I termini dell’accordo sono soggetti a riservatezza ma esiste la possibilità – per gli editori che lo desiderano – di partecipare al servizio Facebook News che sarà lanciato in Francia a gennaio 2022 (analoga possibilità, con riferimento a Google News Showcase, era stata prevista nel testo dell’accordo quadro APIG/Google siglato all’inizio di quest’anno). Il riconoscimento del copyright nell’ambito di questi accordi quadro, in altre parole, non sembra poter prescindere dal contestuale riconoscimento, o meglio dalla accettazione, di altri prodotti e servizi “correlati”.
La Direttiva Copyright in Germania
Sta avendo molta risonanza, in Germania, l’iniziativa di Corint Media, una organizzazione di gestione collettiva che rappresenta i diritti connessi degli editori di giornali. Di recente, ha presentato una proposta di accordo a Google per l’uso di contenuti editoriali come titoli, brevi estratti di articoli e immagini di anteprima nel suo motore di ricerca, chiedendo un canone di licenza di 420 milioni di euro per il 2022, in rappresentanza degli editori suoi mandanti.
Il calcolo si basa sul normale tasso di remunerazione applicato al fatturato rilevante dell’azienda utilizzatrice nel mercato di riferimento – in questo caso Google in Germania. Il collegio arbitrale dell’Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi, che è competente nella valutazione delle tariffe e dei criteri di remunerazione, aveva già valutato come sostanzialmente appropriato un tasso di royalty fino all’11% sul fatturato rilevante per l’intero Repertorio (dell’Ufficio). Questa percentuale è stata ridotta di conseguenza, poiché Corint Media amministra attualmente i diritti di circa 200 pubblicazioni sul mercato tedesco. Il fatturato generato da Google per la gestione del suo motore di ricerca in Germania è stato stimato in circa 9 miliardi di euro nel 2020, pertanto l’importo presunto della licenza è stato calcolato in 990 milioni di euro all’anno per tutti gli editori tedeschi di pubblicazioni giornalistiche. Osservando gli accordi o le richieste di remunerazione per l’uso dei contenuti editoriali divenuti noti in altri mercati (ad es. in Australia circa 100 milioni di euro, in Canada circa 400 milioni di euro), la somma richiesta è stata considerata in linea rispetto ai confronti internazionali.
In un suo comunicato ufficiale, Corint Media ha dichiarato: “Il sito web online di un giornale nazionale di medie dimensioni che registra circa 30 milioni di visite al mese genererebbe entrate di circa 15 milioni di euro all’anno dopo questa licenza. Le entrate potrebbero essere ulteriormente aumentate concludendo ulteriori accordi di licenza. Per questo abbiamo invitato anche Facebook, Microsoft ed altre piattaforme digitali ad aprire delle trattative.”
Il provvedimento copyright in Spagna
Un ultimo approfondimento riguarda la Spagna, dove, il 2 novembre scorso, è stato trasmesso dal Governo al Parlamento uno schema di decreto che approva in via preliminare la Direttiva Copyright.
Sul diritto connesso degli editori, lo schema di decreto interviene a modificare una legge nazionale del 2014 che prevedeva una negoziazione obbligatoria, affidata in via esclusiva a un ente di gestione collettiva, CEDRO; più precisamente, l’obbligo di remunerazione riguardava gli aggregatori di notizie ma non i motori di ricerca e si basava sul “diritto inalienabile” degli editori a essere remunerati sulla base del c.d. “Canone AEDE” (dal nome dell’associazione spagnola degli editori che aveva fortemente sostenuto la legge).
La principale novità del testo di legge ora all’esame del Parlamento spagnolo è il passaggio a un modello di negoziazione volontaria, in cui editori e agenzie di stampa possono negoziare il compenso per la diffusione dei loro contenuti online sia autonomamente sia collettivamente. Mentre sembrerebbe confermata l’esclusione dei motori di ricerca, una eccezione giudicata dagli editori spagnoli incompatibile con lo spirito della Direttiva.
È, inoltre, previsto che le piattaforme debbano ottenere l’autorizzazione preventiva dai titolari del diritto circa l’uso delle pubblicazioni e che l’accordo tra le Parti sia fatto in “buona fede contrattuale, due diligence, trasparenza e rispetto delle regole della libera concorrenza, escludendo l’abuso di posizione dominante nella negoziazione”.
Le aziende tecnologiche, inoltre, dovranno riferire “in modo periodico, dettagliato e sufficiente sui principali parametri che regolano la classificazione dei contenuti aggregati (es. algoritmi) e sull’importanza relativa di tali parametri.” In caso di loro modifica, sono tenuti a comunicarlo preventivamente.
Il compenso previsto dalla legge deve riguardare il diritto connesso e non la possibilità/offerta di aderire ad altri prodotti o servizi. Ogni controversia sarà demandata alla competenza di una apposita Commissione sulla proprietà intellettuale, istituita presso il ministero della Cultura.
Per il resto, nella nozione di editori rientrano quotidiani, periodici e agenzie di stampa; nella nozione di estratti molto brevi si fa riferimento alla necessità che essa non pregiudichi i diritti degli editori, senza prevedere alcun criterio quantitativo; nella definizione della quota spettante ai giornalisti, ci si limita al riconoscimento del diritto alla compartecipazione ma senza indicare alcuna percentuale.
Attualmente gli editori spagnoli che hanno in essere accordi con Google sono meno del 20% del mercato e il valore di tali accordi è giudicato, nella valutazione delle associazioni editoriali, come irrisorio (circa 20 milioni di euro). Ma già all’indomani dell’approvazione dello schema di decreto con le nuove previsioni sulla negoziazione volontaria, Google ha annunciato, dopo ben 7 anni di stop, la riapertura in Spagna di Google News, che era stato sospeso proprio nel 2014, come reazione alla legge AEDE. Il re Felipe VI avrebbe accolto la notizia con un semplice ma efficace “Bienvenidos”.