MISE

Sbloccati i fondi su AI, IoT e blockchain, ma è tardi: l’Europa corre lontana

Il Mise ha sbloccato dopo tre anni i 45 milioni per investimenti su AI, blockchain e IoT. Bene ma troppo tardi e troppo poco. Ecco i prossimi passi necessari. Fare in fretta: bisogna tenere il passo con l’Europa

Pubblicato il 10 Dic 2021

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

intelligenza artificiale fondo

Pochi, tardivi e faticosi. Sembra il titolo di un western ma è la foto attuale del sistema di sviluppo economico italiano in ambito innovazione, startup, IA (e non solo).

Sbloccati milioni per blockchain, iot e intelligenza artificiale

È di questi giorni l’annuncio da parte del Mise (ministero sviluppo economico) dello sblocco di 45 milioni di euro, destinati sostenere la crescita di imprese innovative, attraverso specifici finanziamenti per progetti di ricerca e innovazione tecnologica legati al programma Transizione 4.0: su Intelligenza Artificiale, Blockchain e IoT.

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Una buona notizia, certo. Ma prima di esaminare i dettagli, va ricordato che l’idea di istituire il fondo risale al 2018, quando alcuni parlamentari del M5S riuscirono ad appostare le risorse nella legge di Bilancio per il 2019 (comma 226, articolo 1, della legge n. 145/2019). Con una burocrazia che rende lentissimi i passaggi, tanto da far trascorrere 3 anni dall’idea del fondo alla distribuzione delle risorse, non si va da nessuna parte, soprattutto per le tecnologie.

Da allora sembra passata un’era, anche se nel frattempo qualcosa sembra muoversi nel panorama industriale: si pensi a quello che oggi è diventato CDP Venture Capital, alla strategia italiana per l’intelligenza artificiale, solo recentemente pubblicata, alle prime sperimentazioni della blockchain in filiere tradizionali, al riconoscimento del valore giuridico di DLT e Smart contracts.

Fondi per le tecnologie innovative: prossimi passi

I 45 milioni sbloccati dal MiSE potranno essere combinati con fondi e risorse nazionali o comunitarie in modo da favorire l’integrazione con i finanziamenti di ricerca europei e nazionali. Inoltre potranno essere ulteriormente incrementati attraverso contributi volontari di enti, associazioni, imprese e singoli cittadini. Su quest’ultimo aspetto, bisognerà attendere la pubblicazione del decreto, perché le modalità di contribuzione devono ancora essere definite.

Sul sito del Ministero si può leggere che il decreto, firmato anche dal ministro dell’Economia, è stato inviato alla Corte dei Conti per la registrazione. Un passaggio obbligato, che si spera non troppo lungo.

La norma istitutiva precisa che il  Fondo è destinato a finanziare: a) progetti di ricerca  e  innovazione  da realizzare in Italia, a opera di soggetti pubblici e  privati,  anche esteri, nelle aree  strategiche  per  lo  sviluppo  dell’intelligenza artificiale, della blockchain e dell’internet of  things;  b)  iniziative  competitive  per  il raggiungimento di specifici obiettivi tecnologici e  applicativi;  c) il supporto operativo e amministrativo al fine di valorizzarne i risultati  e favorire il loro trasferimento verso il sistema economico produttivo, con  particolare  attenzione  alle  piccole  e  medie  imprese.

Per la presentazione dei progetti e ottenere il finanziamento agevolato, però, bisognerà attendere il provvedimento ministeriale con cui saranno rese note le modalità e i termini di presentazione delle domande. Da alcune anticipazioni, sappiamo che le richieste potranno essere presentate da soggetti pubblici o privati, anche in forma congiunta tra loro. È previsto anche che una quota di finanziamenti sia riservata alle imprese del centro sud (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna); ma se entro sei mesi dall’apertura dei termini per la presentazione delle domande i progetti non saranno stati avviati, anche queste risorse potranno essere utilizzate per le richieste arrivate da tutto il territorio nazionale. Insomma, un termine perentorio per le imprese del Mezzogiorno che rischiano di perdere i contributi se non avviano i progetti in tempo.

Secondo il provvedimento in arrivo, le iniziative ammissibili saranno valutate sulla base di una serie di criteri: si va dalla capacità tecnica, scientifica e organizzativa del proponente, alla fattibilità tecnica della proposta progettuale; dalla rilevanza dei risultati rispetto agli obiettivi tecnologici e applicativi – che il MiSE dovrà dettagliare nel provvedimento – all’impatto del progetto in termini di interesse industriale e di potenzialità di sviluppo. E ancora, contributi diretti alla spesa, contributi in conto capitale di rischio (venture capital)

In alternativa alle agevolazioni, che saranno erogate “sulla base di una procedura valutativa con procedimento a sportello”, il Fondo potrà poi scendere in campo anche attraverso altre strade, come appalti pre-commerciali e appalti pubblici di soluzioni innovative. Il quadro di questi ulteriori strade sarà fissato nel provvedimento con cui il MiSE individuerà i termini e le modalità per accedere alle risorse del Fondo. La scadenza per l’adozione del provvedimento è fissata in 60 giorni (presumibilmente verso marzo-aprile 2022). Stesso termine entro cui andrà sottoscritta la convenzione tra MiSE e Infratel Italia S.p.a.; una convenzione che dovrà regolare i rapporti tra il Ministero e la controllata di Invitalia, incaricata di monitorare lo stato di realizzazione dei progetti.

Bisogna accelerare

L’auspicio è che, in tutti questi passaggi, si riesca ad accelerare con la messa a terra dei provvedimenti. Peraltro, per molti imprenditori, finché un decreto non viene pubblicato in gazzetta o non c’è un modello concreto da compilare, il tutto si presenta come ‹‹aria fritta››. Peraltro, i 45 milioni di euro del fondo, nel panorama dell’innovazione digitale, per molti osservatori sono briciole. Possiamo dire che si tratta comunque di un primo passo, nell’ambito delle risorse disponibili allora (15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021).

Sono tutte iniziative lodevoli che il più delle volte, purtroppo, subiscono rallentamenti. Non c’è mai una sola ragione alla base di questi ritardi, ma ce ne sono alcune più ricorrenti: le vischiosità legate alla separazione tra indirizzo politico (chi prospetta il fondo) e l’apparato amministrativo (chi deve materialmente scrivere i bandi e attuare le misure); l’entropia intrinseca delle macchine ministeriali e i continui cambi dei ministri competenti. Ogni cambio di Governo costa al Paese un minimo di sei mesi di stop per riorganizzarsi, senza contare il fatto che ogni ministro entrante indicherà priorità differenti per il dicastero.

En passant ricordiamo che abbiamo sì finalmente il programma strategico sull’AI, dove sono indicati vari fondi di finanziamento a valere su PNRR e altri fondi; ma senza il dettaglio economico di quanto spetterà ad AI e l’indicazione temporale delle azioni.

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Le norme che frenano l’innovazione

Le norme dovrebbero andare a braccetto con le innovazioni tecnologiche, ma spesso questo non avviene. Basti pensare a concetti come la notarizzazione, che sono obsoleti, visto che la normativa non ne permette un uso legale pieno, ma solo in parte. Purtroppo abbiamo bisogno che il piano delle norme prenda un ritmo più veloce, perché il rischio è che il digitale sia legato a qualcosa di asfittico o che si areni nel più classico dei refrain delle amministrazioni “non si può fare, perché lo dice la legge”. Dobbiamo evitare tutto questo. Occorre avere una forte governance e un più stretto coordinamento tra politica e amministrazione. E in questo momento, come in altri anni, è carente.

I programmi del Piano Europa Digitale

Ne abbiamo bisogno anche per intercettare le risorse che l’Europa mette a disposizione. Sono già disponibili i primi quattro programmi di lavoro che implementano il Piano Europa Digitale.

Questi primi bandi, destinati a investimenti fino alla fine del 2022, riguardano infrastrutture cloud-to-edge, spazi dati, intelligenza artificiale, infrastrutture di comunicazione quantistica, miglioramento delle competenze digitali delle persone e progetti che promuovono un Internet più sicuro, combattono gli abusi sessuali sui minori e disinformazione. Ai nastri di partenza anche la rete degli European Digital Innovation Hub.

Questi hub supporteranno le aziende private, comprese le PMI e le start-up, e il settore pubblico nella loro trasformazione digitale.

Dobbiamo tenere il passo con quanto emerge a livello europeo.

In conclusione

Oggi, con maggiori risorse a disposizione si deve fare molto di più.

Il PNRR sta entrando nella sua realizzativa. Finora l’Italia ha già avuto dall’UE 24,8 miliardi di acconto; verso febbraio 2022 dovrebbe riceverne altri 21. Il presidio dei risultati concreti richiede meno comitati guida o cabine di regia e più responsabilità manageriale diretta, competente e autorevole. Gli apparati amministrativi del nostro Paese sono attesi a dare prova di buona amministrazione. Non si può pensare di gestire le ingenti risorse europee con i tempi ordinari della burocrazia ministeriale. E non solo in termini economici, perché molto si potrà fare, a costo zero, sotto il profilo regolatorio.

Una riflessione quindi per la politica: su questo fronte non si scherza. Ogni giorno perso è un passo indietro per accrescere la competitività e la produttività del sistema economico. Norme su innovazione e digitale rischiano di essere obsolete al momento della loro pubblicazione e questo non può essere accettabile. Serve un impegno serio su questo fronte da parte della politica, del Governo e di tutte le istituzioni coinvolte.

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