l'analisi

L’industria dei podcast in Italia: i numeri del fenomeno e il profilo dei creatori

L’evoluzione del fenomeno dei podcasting e dei loro autori è in rapida ascesa. Ma come devono essere inquadrati i podcaster, ossia coloro che progettano, realizzano e distribuiscono una serie audio? I profili giuslavoristici e le principali criticità

Pubblicato il 27 Dic 2021

Sofia Cortesi

Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Influencer

Lorenzo Di Luzio

Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Influencer

Photo by Firmbee.com on Unsplash

Un nuovo modello di comunicazione si sta radicando sempre di più nel vivere comune, caratterizzato dalla fruibilità dei contenuti, godibili contemporaneamente allo svolgimento di ulteriori attività che siamo soliti compiere durante la giornata in una società in cui il concetto di multitasking è diventato essenziale: si tratta del podcast.

Proveremo a esaminare il fenomeno, soffermandoci anche sui creatori dei podcast, i cosiddetti “Podcaster”, ossia coloro che generalmente, progettano, realizzano e distribuiscono una serie audio curandone tutto il processo: dalla sua ideazione, scrittura ed editing, fino al pre/post-produzione, pubblicazione e lancio.

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Cos’è il podcast

Partiamo dalle basi: il termine “Podcast” è composto da due parole: “pod” e “cast”. La traduzione di “Pod” fa direttamente riferimento agli iPod che hanno contribuito alla diffusione del “podcasting”, diversamente “cast” significa trasmettere[1].

In via generale, i podcast sono dei contenuti audio che trattano tematiche come business, società e cultura, news e simili, che possono essere ascoltati attraverso l’utilizzo di dispositivi digitali ed accessibili mediante piattaforme online o applicazioni a ciò dedicate, la cui peculiarità è la possibilità, per l’utente, di poterne ascoltare il contenuto quando e dove lo ritiene più opportuno.

Entità del fenomeno

Tra il 2014 ed il 2020 notiamo un forte incremento nell’ascolto di podcast (così come dello streaming audio, audiolibri, etc.) i quali prendono spazio a discapito del più tradizionale metodo di comunicazione, quale la radio. Nello specifico, il numero di persone che ascoltano podcast è più che raddoppiato passando da 8% nel 2014 a 19% nel 2020[2].

[3]

Nel 2020 il 52% degli italiani tra 18 anni e 34 anni hanno risposto di aver ascoltato dei podcast negli ultimi 12 mesi, mentre è possibile notare nel seguente grafico come la percentuale degli ascoltatori tende a diminuire al crescere dell’età dei soggetti. Questa trend decrescente legato all’età può derivare dalla propensione delle generazioni più giovani all’utilizzo degli strumenti digitali.

[4]

Inoltre, il 23% degli italiani, circa una persona su quattro, non ha mai sentito parlare di podcast ed il 65% dichiara di non conoscere i servizi o di non sapere dove reperire i podcast di loro interesse[5].

Dopo la nascita del The Daily del New York Times, un case practice da portare all’attenzione è l’avvio da parte dell’ANSA, agenzia di stampa in Italia, del podcast “Ansa Voice Daily”, che racconta gli approfondimenti delle principali notizie del giorno, dimostrando che anche i tradizionali player di mercato si stanno adeguando al cambiamento, seguendo, anche se lentamente, i ritmi degli Stati Uniti. Questo copycat degli USA è fondato sul fatto che i nostri connazionali prediligono per il 17.6% tematiche di Business, seguite da Società e Cultura (14.6%) e News (9.9%). È perciò opportuno evidenziare che gli italiani cercano nei podcast una nuova fonte attraverso la quale reperire notizie di attualità ed informazioni utili in ambito aziendale e relative a società e cultura.

[6]

I podcast sono trasmessi attraverso piattaforme di streaming, delle quali Shopify è la più usata tra gli ascoltatori di podcast, oltre essere una delle più popolari piattaforme di streaming musicale, ed il suo utilizzo ammonta al 62% superando di gran lunga Audible (25%) e Apple Podcast (19%).

[7]

Podcaster: profili giuslavoristici

I Podcaster, a parere di chi scrive, potrebbero essere inquadrati come lavoratori dello spettacolo/artisti o autori.

In primo luogo, è opportuno chiarire che lo “spettacolo”, diversamente da quanto affermato da alcuni interpreti della materia, può configurarsi anche in assenza del pubblico[8].

Di questo avviso è anche la Corte di Cassazione[9] la quale ha chiarito che “gli appartenenti a talune delle categorie elencate nell’art. 3 del DLCPS (…) devono sicuramente essere considerati “lavoratori dello spettacolo”, svolgono un’attività in cui è esclusa la presenza del pubblico. Si tratta dei tecnici del montaggio e del suono, dello sviluppo e della stampa; costoro, non operano alla presenza del pubblico, ma su pellicole cinematografiche e colonne sonore ecc. e cioè su supporti che riproducono lo spettacolo: costoro sono lavoratori dello spettacolo, perché tali sono considerati dalla legge, eppure non operano in presenza del pubblico. Ma la presenza del pubblico va esclusa anche per le attività di altri soggetti appartenenti ad ulteriori categorie professionali previste nell’elenco (che sono pertanto sicuramente “lavoratori dello spettacolo”): si tratta dei doppiatori, degli operatori di ripresa cinematografica e degli stessi attori e generici cinematografici, poiché quando si gira un film non è presente il pubblico dei fruitori, e d’altra parte sarebbe indubbiamente contrario al senso comune escludere gli attori cinematografici dalla categoria dei lavoratori dello spettacolo. Pertanto, non si ravvisa alcun elemento atto a dimostrare che per “spettacolo” secondo la legge del 1947 si debba intendere solo quello fatto dal vivo, ma si ravvisano anzi elementi di segno contrario, giacché la legge medesima definisce come lavoratori dello spettacolo categorie professionali che non svolgono la loro attività alla presenza del pubblico”.

Alla luce di quanto precede, possono essere annoverati tra i lavoratori dello spettacolo tutti coloro i quali “contribuiscono alla creazione di un prodotto di carattere artistico o ricreativo, destinato ad una pluralità di persone, passibile di essere fruito dal vivo, ovvero di essere riprodotto per la commercializzazione[10]” e, pertanto, anche i podcaster.

Ciò posto, l’art. 80 della Legge n. 633 del 1941 (c.d. Legge sul Diritto di Autore) annovera nella categoria degli “artisti interpreti ed artisti esecutori gli attori, i cantanti, i musicisti, i ballerini e le altre persone che rappresentano, cantano, recitano, declamano o eseguono in qualunque modo opere dell’ingegno, siano esse tutelate o di dominio pubblico”.

In particolare, la formulazione “e le altre persone” utilizzata dal Legislatore, essendo ampia e generica, può fungere, soprattutto nel contesto in esame, da contenitore di altre figure che, seppur non espressamente ricomprese nella formulazione del Legislatore, possono esservi agevolmente ricondotte. Sicchè la qualifica di artista interprete ed esecutore, stando alla lettura della norma, è subordinata alla sola condizione che l’esecuzione o l’interpretazione abbiano ad oggetto un’opera dell’ingegno[11].

Diversa è l’attività profusa dall’autore che invece è configurabile come vera e propria creazione di un’opera dell’ingegno e non già come mera interpretazione/esecuzione/rielaborazione della stessa[12].

Di talché il podcaster ben potrebbe essere assimilato ad un artista interprete od esecutore di un’opera dell’ingegno (contratto di lavoro artistico) quando, ad esempio, realizza un contenuto (o podcast) finalizzato ad interpretare un testo/libro già esistente oppure, come Autore, qualora realizzi un’opera dell’ingegno dotata di un certo grado di originalità e di novità obiettiva (i.e. scrittura e narrazione di un testo o una storia).

Autonomia o subordinazione?

L’attività dei podcaster, come sopra descritta, ben potrebbe essere ricondotta alla fattispecie del lavoro subordinato o autonomo in presenza dei relativi presupposti.

La disciplina della subordinazione, come noto, è caratterizzata da elementi essenziali quali: potere direttivo, inserimento nell’organizzazione imprenditoriale, collaborazione, cadenza regolare del corrispettivo.

Diversamente, il prestatore d’opera svolge una prestazione personalmente, senza alcun vincolo di subordinazione né obbligo di orario, in piena autonomia tecnica ed organizzativa per la realizzazione del cosiddetto opus perfectum.

Relativamente all’attività dei podcaster, ad avviso di chi scrive, sarebbe superfluo cercare di individuare un’unica tipologia di rapporto poiché, con particolare riferimento al contesto in esame, potrebbero venire in rilievo situazioni del tutto eterogenee.

Per completezza espositiva, la difficoltà di ricondurre il rapporto di lavoro ad un’unica fattispecie contrattuale si registra anche con riferimento a lavoratori non appartenenti alle professioni puramente digitali, quali, a mero titolo esemplificativo, i registi cinematografici, teatrali, radiofonici e televisivi.

Ed invero, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20 del 1982 ha evidenziato che “il rapporto tra produttore-regista può variare in relazione a vari fattori, primi fra questi la personalità e la notorietà del regista. Onde sembra, forse, difficile, poter enunciare un principio generale valido per ogni ipotesi. Ciò cui bisogna aver riguardo, tuttavia, non è tanto l’intervento del regista sull’opera…, ma la sua condizione contrattuale e di fatto al fine di accertare se sussista o meno una sua inserzione in posizione subordinata entro l’organizzazione dell’impresa datrice di lavoro”[13].

Nel caso oggetto della sopra citata pronuncia, la Suprema Corte ha sostenuto che il rapporto tra produttore e regista incaricato di assumere la direzione artistica di un film e di dare la sua collaborazione per la preparazione, elaborazione e sceneggiatura dei programmi, andava ricondotto nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo. Tuttavia, in un altro caso, il regista è stato considerato come un lavoratore subordinato in virtù del fatto che era tenuto a muoversi entro un contesto organizzativo ben predefinito. Diverso, invece, è il caso dei presentatori di spettacoli radio-televisivi la cui individualità attività assume forme di collaborazione le cui caratteristiche sono riconducibili a quelle proprie del rapporto di lavoro autonomo[14].

In definitiva, conformemente ai più risalenti insegnamenti della giurisprudenza giuslavoristica, l’attività del podcaster, pertanto, potrebbe essere ricondotta al concetto di subordinazione ex art. 2094[15] c.c. qualora questo venga inserito stabilmente all’interno dell’organizzazione aziendale e sia soggetto al potere direttivo del datore di lavoro ma, nella maggior parte delle ipotesi, sembra essere piuttosto configurabile una prestazione ex art. 2222 c.c. in cui il c.d. opus perfectum è rappresentato dalla creazione di un contenuto attraverso libertà decisionali finalizzate a far emergere l’impronta personale del singolo professionista.

Ciò non toglie il fatto che, ad oggi, il Legislatore non si sia interessato direttamente di questa professione così come tuttora avviene per altre categorie di lavoratori di origine più recente quali, a titolo esemplificativo, gli influencer e, in particolare, i creatori di contenuti digitali.

L’alveo dei content creator, tra l’altro, ben potrebbe ricomprendere la figura dei podcaster e non è un caso che noti Youtuber come Barbascura X abbiano realizzato i propri podcast e li abbiano diffusi tramite la Rete o piattaforme specializzate in questo tipo di contenuti audio.

L’assenza di una contrattazione collettiva di riferimento, al contempo, non ha permesso che le clausole aperte stabilite dal Legislatore in favore delle Parti Sociali possano essere applicate a questa categoria professionale favorendone la crescita e lo sviluppo sul piano quantitativo, qualitativo ed economico.

Si prenda in considerazione un istituto contrattuale alquanto invalso nel settore dello spettacolo, anch’esso qui preso a riferimento: il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (cd. Co.Co.Co.).

Come noto, il Decreto Legislativo n. 81/2015 (facente parte della riforma del lavoro cd. “Jobs Act”), da ultimo modificato dal Decreto Legge n. 101/2019 (convertito con modificazioni in L. n. 128/2019), dispone che, a partire dal 1^ gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretizzino in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente.

Ciò vale anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme, comprese quelle digitali. L’estensione della disciplina propria del rapporto di lavoro subordinato non opera, tuttavia, “per le collaborazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, siglata dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, anche per venire incontro a particolari esigenze produttive ed organizzative del settore di riferimento”. In pratica, alle Parti Sociali viene data la possibilità di stabilire in quali settori non opera la suddetta previsione di legge che potrebbe comportare la conversione di un rapporto di lavoro instaurato come Co.Co.Co. in uno di lavoro subordinato con tutte le conseguenze (pregiudizievoli) del caso per il committente.

Vien da sé che, in assenza di una specifica previsione in tal senso all’interno di un CCNL di settore, la parte datoriale/committente opta ed opterà presumibilmente per schemi contrattuali in grado di garantire una maggiore stabilità e con meno rischi, siano essi quelli del lavoro subordinato (2094 c.c.) o del lavoro autonomo (2222 c.c.).

Conclusioni

Dalla nostra analisi e dai dati in nostro possesso è emerso che le tematiche più seguite in Italia sono quelle legate al business, alla cultura e all’informazione generale e come i maggiori fruitori sono le nuove generazioni alla continua ricerca di nuovi stimoli digitali.

Non vi è dubbio che l’evoluzione del fenomeno dei podcasting e dei loro autori sia in rapida ascesa e che, pertanto, gli interpreti si troveranno nel breve periodo, volenti o nolenti, a doversi confrontare con le peculiarità di questa professione al pari di quanto sta avvenendo per quelle parimenti native digitali.

Note

  1. Sull’origine del termine podcast e l’evoluzione del fenomeno: “La parola podcast non ha in effetti un’origine così chiara; l’ipotesi più accreditata è che sia un’unione tra i termini ipod, l’mp3 player più utilizzato degli anni 2000, e broadcast, ovvero la trasmissione attraverso il mezzo audio. I podcast sono contenuti audio originali che possono essere ascoltati on demand digitalmente, ed esistono da tantissimo tempo; mentre però all’inizio erano intesi solo come possibilità di riascoltare programmi radiofonici attraverso internet, oggi si è capito che i podcast possono avere vita propria, quindi non essere necessariamente derivanti dalla radio ma avere una loro dignità, anche narrativa. Oggi stiamo infatti vivendo una rinascita, una golden age di questo formato, e quello che sta succedendo alla radio con i podcast ultimamente è paragonabile alla rivoluzione che ci fu all’epoca del passaggio dalla tv lineare a Netflix e gli altri servizi di streaming” (tratto da https://blog.audible.it/podcast-significato-caratteristiche).
  2. Il campione comprende 4318 intervistati di età dai 13 anni in su. “The 2020 Spoken Word Audio Report”, Ottobre 2020, Edison Research, cfr. https://www.nationalpublicmedia.com/insights/reports/the-spoken-word-audio-report/.
  3. Ut supra.
  4. “Have you listened to podcasts in the last 12 months?” cfr. https://www.statista.com/statistics/1088083/podcasts-users-by-age-italy/.
  5. “United states of podcast Italia – market research”, Novembre 2018, realizzato da Nielsen.
  6. Analisi effettuata sull’Audience Network di Voxnest relativa ai generi ascoltati in Italia. “The State of the Podcast Universe – Report Italia” 2019, Voxnest.
  7. Ut supra.
  8. Cfr. G. Scoz, in Il lavoro nello spettacolo, 2012.
  9. Cass. Sez. Lav., 3 settembre 2002, n. 12824.
  10. Cfr. ult. op. cit.
  11. A ciò si aggiunga che l’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 708/1947 in materia di soggetti obbligati all’iscrizione presso l’ENPALS, considera lavoratori dello spettacolo, tra gli altri, anche i vocalisti, presentatori, registi ed aiuto-registi audiovisivi, compositori, tecnici del montaggio e del suono, tecnici di sviluppo, stampa, luci scena ed altri tecnici della produzione cinematografica del teatro di audio-visivi e di fotoromanzi, ovvero anche tutti coloro che prestano la loro attività “dietro le quinte”. Cfr. Scoz G., in Il lavoro nello spettacolo, 2012.
  12. Cfr. Messaggio ENPALS n. 8 del 4 dicembre 2008 con il quale viene chiarito che tali soggetti non rientrano nell’elenco dell’art. 3 del D.Lgs. n. 708/1947 e, quindi, non sono da assicurare presso il suddetto Ente. Al contrario, si legge nel messaggio, si riscontrano i presupposti per la sussistenza dell’obbligo assicurativo presso l’Enpals, laddove, dall’esame dell’attività posta concretamente in essere dalle figure in oggetto, risulti che sebbene i lavoratori siano stati inquadrati come autori televisivi/autori testi, le prestazioni rese dagli stessi coincidano con quelle peculiari di altre figure professionali obbligatoriamente iscritte all’Enpals (es. soggettista, sceneggiatore, etc.). Ciò anche in applicazione del più generale principio secondo cui “il criterio del nomen iuris adottato dalle parti non ha valore prevalente, dovendo la qualificazione medesima desumersi, oltre che dal dato formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto”.
  13. Cfr. La Rosa Alfio Cesare, in Teoria e pratica del Diritto, Il rapporto di lavoro nello spettacolo, V edizione, 1998.
  14. Cfr. ult. op. cit.
  15. La Corte di Cassazione non ha mancato di osservare come “nelle ipotesi in cui si riscontri una accentuata flessibilità dei confini tra lavoro subordinato ed altre specifiche tipologie di rapporti lavorativi, il criterio fondamentale per l’accertamento della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro è costituita dall’esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione, abbia un’ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre in maniera piena, della stessa nell’ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva” (cfr. Cass. 3/3/2019, n. 5079).

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