Abituati a celebrare invenzioni nate in Nord America, a noi europei piace ricordarne una creata in un istituto europeo (il CERN): il World Wide Web. Trent’anni fa, l’inglese Tim Berners-Lee metteva a punto il linguaggio con il quale scrivere le nuove pagine ipertestuali.
Il codice per creare pagine web è semplice: ogni file HTML non è altro che un file di puro testo, contenente le parole che compariranno sullo schermo. L’impaginazione e le caratteristiche tipografiche sono determinate da “tag”, comandi racchiusi tra < e >.
HTML: il codice semplice per fare pagine web
Per esempio, la frase
“E’ questo il fatto rilevante di oggi.”
in HTML si scrive:
“E’ questo il <i>fatto<i/> rilevante di <b>oggi</b>.”.
Il browser (Chrome, Safari, Edge etc.) interpreta poi le tag inserendo nella pagina a video corsivo, grassetto, impaginazione, link, immagini (richiamate da file separati) etc.
Con l’evoluzione dei siti web sorse ben presto l’esigenza della “usabilità”, concetto che comprende tutte le caratteristiche che permettono a chi consulta un sito di trovare facilmente ciò che cerca. Un ostacolo all’usabilità è costituito dalla lentezza di risposta: dopo il clic, anche un paio di secondi di attesa per vedere il risultato è fastidioso.
L’attesa può essere dovuta a diversi fattori, uno dei quali è la “pesantezza” della pagina web, con i contenuti di immagini, video, collegamenti ai social e alla pubblicità etc. Proprio per rimediare alla lentezza, si tende a dotarsi di una connessione più veloce. Ma una maggiore velocità incoraggia i proprietari di siti ad appesantire ulteriormente le sue pagine, col rischio di riproporre il fastidio della lentezza. Insomma, si verifica nella connessione, come in tutti gli aspetti dell’informatica, il circolo infernale della continua rincorsa all’upgrade.
Strumenti per il web designer
Oggi non si parla più di “usabilità” ma di “User Experience” (abbreviazione: UX), per indicare l’insieme degli elementi utili a orientare il visitatore verso il risultato prefissato (normalmente, l’acquisto).
Ma questi trent’anni hanno marcato sempre un progresso nell’utilizzo del mezzo? Un modo veloce per avere un’idea della pesantezza, spesso ridondante, del codice sottostante una pagina è richiamare dal browser la visione del sorgente (CTRL+U).
Per ciò che riguarda gli strumenti del web designer, si è diffusa la convinzione che per creare un sito sia indispensabile un apposito software, per esempio Wordpress, oppure Joomla (software residente sul server). In realtà per disegnare un sito semplice è sufficiente l’HTML, che si può scrivere con un banalissimo editor di puro testo, già presente in ogni computer. Le specifiche HTML si sono evolute negli anni, ma il vecchio HTML 2 è sufficiente per creare siti semplici ma efficaci.
Colla diffusione di tablet e smartphone è sorta anche la necessità di produrre siti “responsive”, cioè con pagine che adattano le proprie dimensioni a quelle dello schermo del dispositivo, il che può far dimenticare che l’HTML è già nativamente responsive, grazie alle linee che vanno a capo automaticamente.
Tutte le invenzioni che compiono trent’anni
In questi mesi si celebra il trentennale di diverse invenzioni importanti per il mondo digitale.
Innanzitutto, il CD-ROM scrivibile: per la prima volta è stato possibile registrare individualmente, su disco ottico, ben 700 MB di dati. Questa risorsa era molto utile in un periodo in cui il mezzo normalmente usato era il floppy disc da 1,2 MB.
Nello stesso periodo venne realizzato il primo prototipo di disco a stato solido (SSD), che a differenza del CD-ROM era destinato a un grande avvenire (anche se non è ancora vantaggioso sotto tutti gli aspetti rispetto agli hard disk).
E proprio la limitata capienza (limitata per allora) delle memorie stimolò l’invenzione di un formato digitale mirato a risparmiare spazio nella riproduzione di immagini. Nacque così trent’anni fa il formato ancor oggi il più utilizzato: JPEG. Le GIF, già in uso, risparmiano spazio descrivendo le immagini non per singoli punti bensì per rettangoli di colore. La JPEG sfrutta invece le transizioni di colore fra zone adiacenti dell’immagine per risparmiarsi di descrivere ogni singolo punto della sfumatura. A fronte di un ingente risparmio di dati riproduce l’immagine con una impercettibile perdita di fedeltà all’originale (compressione “lossy”).
Siti aziendali poco user friendly
A parte gli aspetti strettamente tecnici, è l’impostazione della comunicazione che non facilita sempre il visitatore. La maggior parte delle home page si apre con immagini a tutta giustezza, o con video che si attivano in automatico provocando un’indisponente attesa per la lentezza del caricamento.
Altri elementi ritardanti sembrano siano stati inseriti seguendo consigli di marketing digitale superficiali o male interpretati. In particolare, la proposta di notifiche o di abbonamenti a newsletter potrebbe rappresentare il primo passo di una strategia di fidelizzazione, ma inserita intempestivamente risulta solo fastidiosa, e si aggiunge alla solita richiesta di acritico OK imposta dal GDPR a chi somministra cookies. In definitiva, alla ricchezza di mezzi non corrisponde migliore creatività ed efficacia.
Il menù iniziale non è sempre esauriente. In particolare, non manca mai la pagina “Chi siamo”, voce certamente necessaria, peccato che quasi sempre vi si trovi solo un “bla-bla”, un discorso fotocopia del tipo: “… un gruppo di professionisti riuniti per fornire un servizio ad alto livello di…” oppure “… nati per offrire articoli di qualità garantita a un prezzo accessibile...”. Molte pagine dei “contatti” invece contengono solo un form di domande pignole che il potenziale cliente dovrebbe perdere tempo a compilare.
Insomma, la domanda “Ma chi siete in concreto, e dove siete?” rischia di restare senza risposta e perfino il numero di partita IVA, che va dichiarato per legge in home page, è talvolta ignorato.
Certo, come sempre l’importante è che la comunicazione appaia bella agli occhi di chi la paga; ma chi avrebbe il coraggio di definire “bello” il sito di Amazon? Ebbene, un elemento importante del successo di Amazon è stato, fin dal suo inizio, un lungo e attento studio, certamente non solo automatico, del comportamento dei visitatori. Risultato: bello no, ma certamente usabile ed efficiente, grazie anche a una calibrata collocazione di link ridondanti.
Ma, per passare dai giganti alle piccole imprese, se queste fossero coscienti di quanto è facile creare un sito web semplice ed efficace forse alcune preferirebbero delineare la propria comunicazione originale sul proprio spazio, piuttosto che affidarsi ai format messi a disposizione dai social.
PDF: il caro, vecchio foglio di carta
E compie trent’anni anche il formato PDF (Portable Document Format), sviluppato da Adobe e accettato in seguito come standard. La sua caratteristica è di racchiudere un documento perfettamente impaginato, pronto da stampare.
Ciò lo rende il formato ideale quando occorra inviare digitalmente una pubblicazione destinata appunto alla stampa. Viene allora da chiedersi: come mai è tanto usato anche per mandare documenti destinati solo a essere visualizzati? PDF è nato apposta per funzionare con tutti i sistemi operativi, ma non è certo adatto a tutti gli schermi: obbligare a leggere un PDF su telefonino è un vero dispetto, tanto più che la maggior parte degli smartphone non include neppure una app dedicata ad aprirlo. Di solito è anche possibile estrarre il puro testo di un PDF per incollarlo altrove, ma non sempre.
Ciò fa pensare che la fortuna del formato, prima che ai vantaggi pratici, sia dovuta a un fatto psicologico. Il PDF si presenta infatti come la versione digitale del vecchio foglio di carta, e la nostra mentalità novecentesca concepisce la comunicazione a partire dalla carta. Così arriviamo ad allegare il nostro comunicato a un’email, dimenticando che l’email è stata inventata per scriverci direttamente dentro ciò che vogliamo comunicare.
Per richiedere la compilazione di un modulo da firmare, lo mandiamo in bianco in formato PDF. Il destinatario dovrà stamparlo, compilarlo, firmarlo, scansirlo e restituirlo. Procedura macchinosa ma, certo, la fotografia di una firma costituisce una garanzia di autenticità di un gradino superiore a quello di una semplice email scritta. Però molti oramai, per risparmiare tempo e toner, se la sbrigano riprendendo da schermo la foto del modulo e appiccicandoci la foto della propria firma. In tal modo il modulo in PDF contraddice i principi della comunicazione digitale e apre la strada a furti di identità perché, ottenuta o raccolta in qualsiasi modo la firma di un estraneo, sarà facile riprenderla per firmare ogni genere di documenti.
Buon compleanno, PDF, ma non “cento di questi giorni”!