È ormai evidente a tutti i livelli, dalla società civile al mondo produttivo sino alla classe politica, la necessità del disaccoppiamento (decoupling) tra aumento di benessere e impatto sull’ambiente. Per tutelare la natura e proteggere la biodiversità, la struttura e le funzioni degli ecosistemi, occorre necessariamente diminuire le pressioni su questi, arrivando all’eliminazione dell’impatto negativo dei processi di produzione sull’ambiente e la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste).
Dalle plastiche alle sostanze inquinanti, la maggior parte dei rifiuti dell’uomo finisce in acqua. Decenni di inquinamento ed uso spesso indiscriminato delle risorse sommerse, biotiche ed abiotiche, hanno gravemente degradato gli ecosistemi marini.
COP26, basta slogan: serve accordo su come raggiungere gli obiettivi
La maggior parte degli stock ittici appaiono sovrasfruttati. Le reti alimentari che permettono il proliferare della vita marina sono profondamente alterate. A questo si sovrappongono le pressioni del cambiamento globale, che si manifestano attraverso l’acidificazione degli oceani, l’aumento della temperatura e del livello del mare e i cambiamenti nella circolazione termoalina; pressioni che stanno ulteriormente impattando la produttività e la biodiversità degli oceani e la loro capacità di regolare il clima del Pianeta, minando la capacità di resistenza e resilienza degli ecosistemi, oramai prossimi al punto di non ritorno.
La tecnologia in soccorso di flora e fauna marine
La tecnologia con i suoi tanti strumenti innovativi può giocare un ruolo importante in soccorso di flora e fauna marine. L’utilizzo di sensori in grado di quantificare i dati ambientali, l’uso di sistemi di intelligenza artificiale, la possibilità di condividere i dati a livello mondiale sono le basi per un utilizzo fruttuoso delle tecnologie. Promuovere una società dove le nostre azioni sull’ambiente vengano monitorate e quantificate consentirebbe di descrivere la traiettoria del nostro futuro, consentendoci azioni dal punto di vista legislativo e normativo più efficaci e comprensibili. Oggi è possibile accedere agli open data, dati raccolti generalmente dagli enti pubblici capaci di “raccontare” le condizioni e lo stato del nostro ambiente grazie a centraline dislocate su territori molto vasti. Centraline che usano diverse tipologie di sensori e registrano quotidianamente migliaia di dati sulle condizioni dell’aria, dell’acqua e della terra.
Politica e istituzioni: l’economia circolare e gli ecosistemi
La politica ambientale europea degli ultimi decenni ha incentrato la propria azione sulla transizione dal modello economico lineare al modello economico circolare, che mira all’efficienza nell’uso delle risorse e alla riduzione della produzione di rifiuti: accrescere l’efficienza nell’uso delle risorse, insieme al loro mantenimento nel sistema produzione-consumo attraverso riciclo/recupero/riuso delle materie prime vergini. Per comprendere e quantificare come l’implementazione di processi di economia circolare e di aumento di efficienza nell’uso delle risorse possano generare effettive ricadute sulla tutela del capitale naturale e della biodiversità è necessario compiere ulteriori studi ed approfondimenti, anche attraverso la definizione di indicatori per monitorare e validare le relazioni causa-effetto per ora definite solamente a livello qualitativo.
Appare immediato, infatti, che il set di indicatori proposto dalla Commissione Europea nel 2018, per quanto valido per monitorare il progresso verso l’economia circolare nei Paesi membri e permettere comparazioni fra gli stessi, trascuri la componente di impatto sull’ecosistema. Anche nella 26esima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26) appena conclusasi, sono state evidenziate delle mancanze, soprattutto dagli attivisti. Il documento finale impegna i firmatari a contenere sotto gli 1,5 gradi centigradi l’aumento del riscaldamento globale rispetto ai livelli pre-industriali e ad avviare percorsi per ridurre le emissioni di gas serra e arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050. Oltre alla riduzione graduale del ricorso al carbone, è stata affrontata la questione della lotta alla deforestazione e al consumo del suolo ed è prevista anche la progressiva eliminazione delle agevolazioni all’uso dei carburanti fossili.
Eppure, il mare, vero protagonista dei cambiamenti climatici globali, non è stato “invitato” al tavolo. Innalzamento, acidificazione, perdita di biodiversità, pesca industriale senza limiti: i grandi assenti della Conferenza.
Strumenti e buone pratiche
In Europa, secondo quanto previsto dall’art. 11 della Direttiva Habitat, gli Stati Membri sono tenuti a garantire la sorveglianza dello stato di conservazione degli habitat (elencati nell’Allegato I) e delle specie (elencate negli Allegati II, IV e V) di interesse comunitario su tutto il territorio nazionale. I risultati del monitoraggio devono essere trasmessi alla Commissione europea in accordo con l’articolo 17 della Direttiva Habitat, che prevede ogni sei anni l’elaborazione di un Rapporto Nazionale sullo stato di attuazione delle disposizioni della Direttiva stessa. L’ultimo Rapporto Nazionale riferito al periodo 2013-2018, è stato predisposto con il coordinamento della Direzione Protezione della Natura e del Mare, il supporto tecnico di ISPRA e con la collaborazione di altri soggetti che si occupano di gestione di dati sulla biodiversità quali Regioni e Province Autonome e principali Società scientifiche nazionali. Tale collaborazione ha consentito di raccogliere, elaborare, revisionare e validare un’enorme mole di dati e di definire le valutazioni sullo stato di conservazione necessarie alla compilazione dei format predisposti dalla Commissione Europea, consultabili on line sul Central Data Repository dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA).
Il Ministero per la Transizione Ecologica (MiTE) ha reso operativa ed efficiente la preziosa rete di collaborazioni tra soggetti istituzionali e scientifici, mettendo a sistema un processo di gestione e scambio dei dati relativi a specie e habitat, anche attraverso l’utilizzo del Network Nazionale della Biodiversità (NNB), quale strumento strategico per la condivisione dei dati sulla biodiversità. Il NNB è un Sistema condiviso di gestione dei dati costituito da un nodo centrale, che permette di eseguire le operazioni di ricerca e di gestione sui dati, e da nodi periferici (database che possiedono dati primari di biodiversità) finalizzato a garantire la consultazione e l’integrazione efficiente di informazioni sulla biodiversità, il tutto senza che avvenga il trasferimento fisico dei dati stessi (Il network NNB Ispra – isprambiente.it).
Nuove strategie di sostenibilità
Grazie alle nuove tecnologie digitali diventa quindi possibile mettere a punto e monitorare nuove strategie di sostenibilità che possano rivelarsi determinanti anche nel processo di resilienza dell’ambiente marino, ormai segnato da prelievi delle specie ittiche al di sopra dei livelli di salvaguardia abbinati a tecnologie non innovative e pertanto invasive e dal continuo sversamento sempre più rilevante di rifiuti (marine litter). L’acquacoltura potrebbe rappresentare un valido complemento per ridurre le pressioni della pesca tradizionale ma occorre orientare le attività in maniera sostenibile anche attraverso adeguate certificazioni dei processi gestionali e la redazione di criteri di idoneità delle aree da destinare agli impianti.
Questo orientamento deve perciò prevedere la messa a punto di tecnologie per l’automazione ed il monitoraggio degli impianti di allevamento, ricerca e sviluppo per allevare nuove specie per diversificare il prodotto e l’offerta commerciale, l’utilizzo di mangimi eco-friendly e provenienti da economia circolare, lo sviluppo di tecniche colturali innovative e la valorizzazione di scelte varietali sia per il miglioramento genetico delle specie tradizionalmente allevate che per l’allevamento di nuove specie, la certificazione delle produzioni anche attraverso misura dell’impronta ambientale rispetto ad altri sistemi di produzione agroalimentare e la mappatura ed individuazione di aree idonee dove realizzare gli impianti (IV Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale, 2021).
Un progetto che è stato possibile realizzare grazie all’uso di strumenti tecnologici è IMPACT – impatto portuale su aree marine protette. L’iniziativa, promossa nel 2017 e parte del programma di cooperazione Interreg. Italia-Francia Marittimo 2014-2020, ha promosso la tutela dell’ecosistema marittimo delle aree comprese tra Toscana e Liguria e delle regioni costiere francesi della Provenza, delle Alpi e della Costa Azzurra. Il progetto aveva come obiettivo quello di monitorare l’andamento dell’inquinamento del mare a causa della presenza di sostanze nocive, permettendo così attività di prevenzione e conservazione del patrimonio marittimo. Gli studiosi hanno utilizzato in particolare due tecnologie: i radar ad alta frequenza e i cosiddetti drifter.
Grazie ai radar ad alta frequenza, presenti su 200 chilometri di costa, è stato possibile reperire informazioni aggiornate sullo stato del mare e delle correnti. Attraverso la loro identificazione è stato infatti possibile individuare l’andamento delle sostanze inquinanti presenti in mare e cercare così di prevenire e ridurre al minimo il potenziale impatto di questi inquinanti sull’ambiente marittimo. Con l’utilizzo invece dei drifter, boe flottanti che si muovono sulla spinta dalle correnti superficiali e la cui posizione viene telerilevata via satellite, è stato possibile determinare il trasporto di contaminanti chimici tra i porti e le aree marittime protette. Inoltre, lo studio delle correnti marine in relazione al trasporto di fitoplancton e zooplancton, comprese uova e larve di organismi marini, contribuiscono a valutare le proprietà di ritenzione ecologica delle aree marittime protette e la resilienza delle specie marine di adattarsi a cambiamenti.
Il connubio tra tecnologie digitali avanzate e sostenibilità ambientale
Il connubio tra tecnologie digitali avanzate e sostenibilità ambientale ha caratterizzato in maniera essenziale l’esperienza, da poco conclusa, del progetto EU H2020 MERCES (Marine Ecosystem Restoration in Changing European Seas, 2016-2020. Specificamente, in questo caso, l’uso delle tecnologie ha permesso di implementare le conoscenze scientifiche relative alla distribuzione ed estensione degli habitat marini danneggiati grazie alla creazione di un unico database sulla mappatura degli habitat marini europei, sulla tipologia ed estensione degli habitat degradati, sulle pressioni antropiche che agiscono sugli ecosistemi.
Il progetto MERCES ha quindi esplorato il potenziale degli interventi di restauro in differenti ecosistemi costieri, sia su fondi mobili sia su fondi duri, e profondi su scala pan-europea dalla Norvegia alla Turchia. Ciò ha permesso di utilizzare l’approccio ecosistemico (in accordo con la Marine Strategy Framework Directive) per fornire risposte tangibili alle tematiche del Green Deal per il clima (mitigazione, adattamento e riduzione del rischio di catastrofi ambientali), biodiversità, salute e benessere, anche socioeconomico. Finora, il restauro ecosistemico è stato condotto attraverso azioni pilota su habitat fragili e vulnerabili ai cambiamenti climatici globali, come le praterie di fanerogame, foreste di macroalghe e coralligeno. Sono stati avviati anche studi relativi ai coralli di acque profonde, agli habitat di canyon, montagne sottomarine e fiordi danneggiati dalle attività di pesca a strascico.
Questi studi hanno permesso di testare più di 20 protocolli di restauro utilizzando differenti approcci come traslocazione e trapianto di specie, rimozione di pascolatori che possono compromettere la crescita di nuove praterie restaurate, uso di substrati artificiali e biodegradabili per valutare l’efficacia e identificazione di criteri di selezione di specie e di habitat su cui agire prioritariamente. Precedenti studi hanno rilevato che un’attenta selezione dell’habitat ricevente ha una grande importanza per la buona riuscita dell’intervento di restauro ambientale (Fonseca et al., 1998; Van Katwijk et al., 2009). Infatti, la scelta dell’area ricevente in cui realizzare un intervento dovrebbe essere sempre sostenuta dalla buona conoscenza degli aspetti ambientali e geografici locali. In particolare, questi sono importanti al fine di ampliare, alla scala del sito di indagine, lo stato delle conoscenze dell’ecosistema considerato (Short et al., 2002). Nell’ambito di questo progetto, in Italia sono stati effettuati esperimenti pilota di restauro, tra cui quello volto a riforestare gli habitat a Cystoseira s.l. all’interno delle aree marine protette delle Cinque Terre e Miramare, dove questo taxon era presente, come dimostrano i documenti museali e della letteratura scientifica, e poi localmente scomparso.
La perdita di “specie ingegnere”, come le alghe brune, è di primaria importanza, poiché queste sono in grado di modificare l’ambiente, fornendo substrati secondari, e supportano alti livelli di biodiversità e biomassa, mantenendo elevati anche i livelli di produttività degli ecosistemi. Le specie di Cystoseira s.l. sono elencate come “di interesse comunitario” secondo la Direttiva Habitat 56 (92/43/CEE) e sono indicatori di qualità ambientale nelle acque costiere del Mar Mediterraneo secondo la Direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE).
Diverse specie appartenenti a questo genere sono protette dalla Convenzione di Berna, riconosciute come una priorità dalla Convenzione di Barcellona e considerate vulnerabili dalle organizzazioni internazionali (ad esempio, IUCN, RAC/SPA, MedPan). Una condizione cruciale necessaria per selezionare un sito di ripristino idoneo è la presenza storica delle specie target e l’efficace mitigazione dei fattori di stress precedentemente responsabili della scomparsa delle specie target. Lo studio si è basato sulla raccolta di dati storici e sull’identificazione, mappatura e analisi delle pressioni antropiche e dello stato di salute delle praterie.
Il restauro si è perciò concluso con il trapianto di Cystoseira s.l. cresciuta in colture di laboratorio, con vantaggi sia in termini di tempo, sia di costi e di impatto ecologico. Altri interventi di restauro sono stati effettuati in Salento e nelle Marche e sono in corso in Campania.
Un ulteriore esempio è il progetto europeo Life SEPOSSO, coordinato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ha realizzato per la prima volta in Italia e nel Mediterraneo un monitoraggio nazionale dei trapianti effettuati negli ultimi 20 anni di Posidonia oceanica, pianta acquatica endemica e specie protetta che dà origine ad ampie praterie sommerse che costituiscono uno degli ecosistemi più ricchi e produttivi del nostro mare. Tra gli strumenti innovativi scelti da ISPRA per questo progetto troviamo eLegere, prima soluzione italiana di SOP Management (Smart Operational Process Management): una piattaforma su misura con cui è stato possibile gestire i flussi di raccolta e validazione dati tra cui quelli raccolti sul campo, inviati o analizzati dai laboratori; centralizzare i dati delle opere che impattano sulle praterie di Posidonia; pianificare i trapianti; controllare e governare le fasi di lavoro nel tempo e infine rendere pubblici e accessibili i dati di monitoraggio e i risultati. Nell’ambito dello studio è stato possibile lavorare in quattro siti di trapianto: Civitavecchia (Lazio), Augusta (Sicilia), Ischia (Campania) e Piombino (Toscana), monitorati nel corso di due anni, 2018 e 2019, dai partner di progetto.
Conclusioni
Un altro progetto, quello appena illustrato, capace di dimostrare come per una piena transizione verso la sostenibilità sia assolutamente necessario convergere verso una diversa gestione delle risorse biotiche marine. Per far ciò bisogna implementare nuove strategie che adottino un approccio ecosistemico, che promuova lo sviluppo di tecnologie digitali per il raggiungimento della sostenibilità ambientale, valorizzando la conoscenza, protezione e restauro degli habitat marini e favorendo filiere sostenibili, nel rispetto del capitale naturale.
Bibliografia
Fonseca, M.S., Kenworthy, W.J., Thayer, G.W. (1998). Guidelines for the Conservation and Restoration of Seagrasses in the United States and Adjacent Waters. U.S. Department of Commerce, National Oceanic and Atmospheric Administration. Coastal Ocean Office, 1315 East-West Highway, Silver Spring, Maryland 20910. 222 pp. http://www.cop.noaa.gov
Van Katwijk, M.M., Bos, A.R., de Jonge, V.N., Hanssen, L.S.A.M., Hermus, D.C.R., de Jong, D.J. (2009). “Guidelines for seagrass restoration: Importance of habitat selection and donor population, spreading of risks, and ecosystem engineering effects”. Marine Pollution Bulletin 58: 179-188.
Short, F.T., Davis, R.C., Kopp, B.S., Short, C.A., Burdick, D.M. (2002). “Site-selection model for optimal transplantation of eelgrass Zostera marina in the northeastern US”. Marine Ecology Progress Series 227: 253–267.