L'analisi

Acquisti PA, tempo di bilanci: quali sfide attendono il procurement alla luce del PNRR

Le risorse del PNRR rappresentano una grande occasione di crescita, ma la capacità di spendere bene e rapidamente le risorse è una sfida prioritaria da affrontare: i dati rilevano che la spesa PA è in crescita da anni, trend confermato anche in periodo di pandemia

Pubblicato il 07 Gen 2022

Federico Morando

CEO and co-founder at Synapta, independent researcher

procurement concept with money and graph chart analysis

L’Italia ha fatto un buon lavoro nell’aggiudicarsi i fondi del PNRR (in gran parte, a debito, come noto), ma questi fondi sono un mezzo, non un fine. Prima di arrivare al fine, cioè i servizi per cittadini e imprese e l’investimento per il Paese in generale, ci sono altri mezzi da mettere in campo: uno è la capacità di spendere le risorse bene e relativamente in fretta.

A quasi due anni di distanza dall’inizio della pandemia, possiamo considerare definitivi i dati delle aggiudicazioni di procedure di affidamento iniziate nel 2020, e possiamo anche provare a cogliere qualche spunto di riflessione per il 2022 ed in generale per l’implementazione del PNRR (che presumibilmente vedrà il suo picco nel 2023/2024). Vediamo cosa è successo agli acquisti della pubblica amministrazione durante il primo anno dell’emergenza sanitaria, quali segnali di discontinuità abbiamo e soprattutto quali sono le sfide principali per il nuovo anno.

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Prima di entrare nel vivo dei numeri, due premesse. In primo luogo, quella che segue è una piccola riflessione a cavallo tra il 2021 ed il 2022, fatta su basi quantitative, non è invece la sintesi di una ricerca compiuta: chi volesse approfondire è il benvenuto e sarò felice di dare accesso agli strumenti che ho utilizzato per svolgerla. In secondo luogo, è d’obbligo una piccola introduzione metodologica. I dati riportati in questo lavoro vengono dall’attività di data integration svolta sulla piattaforma ContrattiPubblici.org a partire dai dati aperti messi a disposizione dalle singole pubbliche amministrazioni e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Si tratta quindi del frutto di un lavoro di integrazione dati, che ricomprende i dati aperti di ANAC, ma anche quelli pubblicati da ognuna di quasi 40.000 stazioni appaltanti attive nel nostro paese.

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Quando si parla di un contratto “del 2020” si intende che quella procedura è stata aggiudicata nell’anno in questione, anche quando parte dell’effettiva spesa sarà erogata negli anni successivi. In altre parole, rileva l’anno di aggiudicazione del contratto, non quello di effettivo versamento dei compensi ai fornitori. Inoltre, una procedura si considera effettivamente aggiudicata solo quando è noto il soggetto aggiudicatario: in caso di aggiudicatario ignoto, la procedura è considerata avviata/bandita, ma di aggiudicazione ancora incerta.

Infine, nel prosieguo i dati complessivi riguardano tutte le stazioni appaltanti soggette al codice degli appalti ed alle regole sulla trasparenza amministrativa e l’anticorruzione, il che comprende non solo la pubblica amministrazione in senso stretto (a livello locale e centrale), ma anche le imprese pubbliche – dalle aziende in-house alla grandi controllate e partecipate (almeno per quella parte del loro business in cui gestiscono servizi pubblici).

Cresce la spesa della PA

Un punto di partenza per l’analisi è il seguente: la spesa della PA (in senso lato, come accennato sopra) per l’acquisto di beni, servizi e lavori è in forte crescita, all’incirca del 10% all’anno negli ultimi 7 anni. Ciò è ben visibile nel grafico seguente, che riguarda le procedure di affidamento avviate dalle PA negli anni:

Per quanto il trend fosse già di crescita, si nota che il 2020 ha fatto registrare la crescita maggiore nel periodo in esame, attorno al 35% (in valore; parleremo dopo del numero di procedure). Questo trend va però confrontato con un trend analogo, ma più moderato nei suoi “salti”, che riguarda il valore delle procedure di cui risulta una effettiva aggiudicazione:

Dunque, a fronte della crescita del 35% delle procedure avviate nel 2020, a quasi un anno di distanza (poiché stiamo parlando dei dati noti a fine 2021), quelle effettivamente aggiudicate sono cresciute “solo” dell’8%. In effetti, si tratta di un tasso in linea con la crescita “organica” della spesa pubblica in acquisto di beni, servizi e lavori sul mercato (ovvero, non tramite salari, trasferimenti, etc.) degli ultimi 7-8 anni. Questo tipo di spesa è infatti raddoppiato dal 2013 al 2020, con un trend largamente indipendente dalla pandemia Covid-19.

L’impatto della pandemia

Possibile che la pandemia abbia portato ad un qualche peggioramento della qualità dei dati riguardanti l’aggiudicazione delle procedure, ma – se così fosse – si tratterebbe di una pessima notizia. Infatti, a causa dell’emergenza, sono state date alle stazioni appaltanti molte più opportunità di snellire le procedure di affidamento ed una corretta pubblicazione ex post degli esiti sarebbe il minimo da fare per non aumentare troppo il rischio di cattive pratiche amministrative o, peggio, di corruzione.

Ipotizziamo che i dati esistenti siano di qualità analoga a quelli passati e che la percentuale di dati mancanti riguardanti le aggiudicazioni sia analogo a quello storico. Se è così, possiamo notare che il numero di gare che la nostra pubblica amministrazione è in grado di aggiudicare, per trimestre, si mantiene sostanzialmente costante nel tempo, con oscillazioni sui diversi trimestri dell’anno. In sostanza, quando si apre il nuovo esercizio finanziario, la PA aggiudica un picco di nuove procedure, per poi avere un progressivo calo durante l’anno ed uno sprint finale in vista della fine dell’anno.

A parte una decrescita più marcata nel secondo trimestre 2020 – coerentemente coi problemi causati dal lavoro da remoto inevitabilmente “in emergenza” durante il primo lock-down – l’anno 2020 non ha dunque fatto eccezione alla dinamica standard degli affidamenti pubblici. Anzi, se una differenza c’è stata, è stata in diminuzione: per numero di procedure di affidamento, nel complesso, nel 2020 la PA ha aggiudicato circa il 9% di procedure in meno rispetto al 2019.

Il trend della centralizzazione della spesa

Dunque, +8% in valore, ma -9% in numero di procedure. In media, meno contratti di dimensione media maggiore. E questo suggerirebbe una maggiore centralizzazione della spesa. È così? Secondo i dati di ContrattiPubblici.org, è proprio questo il caso. Infatti, la pubblica amministrazione locale (PAL) non è stata in grado di far crescere il volume dei contratti gestiti:

Nel 2020 la PAC ha erogato quasi esattamente lo stesso valore di contratti pubblici che è stata in grado di affidare nel 2019. Considerando il trend in corso dal 2017, tuttavia, possiamo dire che la pandemia ha probabilmente arrestato un trend di netta diminuzione (la diminuzione è stata intorno al 9% annuo dal 2017 al 2019).

Una parte dell’aumento (sempre in valore) dei contratti pubblici è stato gestito direttamente dalla sanità a livello locale (ASL, grandi ospedali, etc.). In effetti, questi soggetti hanno visto un aumento delle spese significativo (circa +17%) nel 2020, ma a fronte di una riduzione delle spese tra il 2018 ed il 2019 (-11%), tale per cui il trend di crescita rispetto al 2018 risulta moderato (meno del 4%). (L’osservazione è banale, ma è facile dimenticarsene: una dinamica del tipo -10% seguito da +10%, anno su anno, non riporta al punto di partenza, ma ad un -1% rispetto al primo anno.)

I soggetti coinvolti

Quali sono dunque i soggetti che hanno gestito la parte più significativa della crescita dei contratti pubblici nel 2020? Non è stata la pubblica amministrazione centrale in senso stretto (ministeri, etc.), che ha gestito una quantità di contratti pubblici addirittura in diminuzione (da 5,4 Miliardi nel 2019 a 3,3 Miliardi nel 2020), ma questa diminuzione è stata sostanzialmente compensata dalla spesa delle strutture commissariali (2,4 Miliardi nel 2020, limitandosi alle procedure con aggiudicatario noto; più di 10 Miliardi, considerando tutte le procedure avviate).

La maggior parte della crescita del volume economico dei contratti pubblici nel 2020 è stato effettivamente gestito da società per azioni ed altre imprese a controllo pubblico e/o dalle centrali di committenza (che spesso, dal punto di vista societario, sono a loro volta società per azioni, a partire da Consip stessa, anche se totalmente in-house). In generale, non si tratta di un fenomeno straordinario, poiché le imprese pubbliche sono un canale di spesa in crescita costante nell’ultimo decennio, come mostrato dal grafico seguente:

Se escludiamo dalle imprese pubbliche le centrali di committenza che hanno forma societaria, troviamo comunque una forte e costante crescita:

Nell’ultimo anno, le grandi centrali di acquisto hanno avuto una dinamica ancora più sostenuta: +40%, da 35,7 a 50,3 miliardi di euro di aggiudicato. Il ruolo da protagonista è stato giocato da Consip, con un sostanziale raddoppio dell’aggiudicato (da 8,2 a 15,2 Miliardi).

Procurement pubblico, le sfide per il 2022

In attesa di poter analizzare compiutamente i dati del 2021 (in questo articolo mi sono volutamente astenuto da commenti su questi dati, al momento parziali, ma sarà possibile farlo presumibilmente a partire da aprile 2022), quali sono dunque le sfide principali per il prossimo futuro? A mio avviso, una delle più importanti è il coinvolgimento degli enti locali. Una recente analisi effettuata da OpenPolis rispetto alla stima delle risorse del PNRR che saranno gestite dagli enti locali parla di una proporzione attorno al 35% di spesa che prenderà questa via. In particolare, per il biennio 2024-2025 si prevede che le risorse aggiuntive da gestire siano nell’ordine dei 32 miliardi di euro.

Come abbiamo visto, la PAL ha gestito poco meno di 37 miliardi di euro all’anno negli ultimi due anni, in termini di contratti pubblici aggiudicati. Se tutte queste risorse dovessero essere allocate tramite procedure di affidamento (e non sarà così, ma è ragionevole supporre che una parte consistente possa esserlo), saremmo di fronte alla necessità di aumentare la capacità della PAL di gestire risorse ben superiore al 40%.

Non si tratta di una crescita ingestibile – ad esempio, tra il 2016 ed il 2017 la spesa in contratti gestiti dalla PAL è già salita del 30% circa – ma si tratta senz’altro di una dinamica impegnativa, che va accompagnata con opportuni investimenti e competenze. Inoltre, il ruolo degli enti locali non è solo importante per ragioni di sussidiarietà (ovvero, perché sono quelli più “vicini” al singolo cittadino ed alle sue specifiche necessità), ma anche perché tendono ad essere i soggetti che possono spendere risorse anche tramite il canale delle PMI.

Il ruolo delle PMI

In altre parole, gli enti locali sono in grado di trasmettere risorse economiche al sistema paese anche utilizzando le PMI. Ciò ha dei pro, ma non è sempre una buona idea, naturalmente: non discuterò qui se sia preferibile acquistare beni, servizi e lavori tramite le PMI o le grandi imprese. Ciò che posso dire per certo è che il tipo di imprese e di concentrazione di mercato che si ha quando una procedura di affidamento passa per una centrale di committenza di grandi dimensioni è di un ordine di grandezza diverso rispetto a ciò che accade con gli enti locali. Per esempio, i primi 10 fornitori (per volume dei contratti aggiudicati storicamente) delle principali centrali di committenza a livello nazionale cubano quasi il 20% del volume aggiudicato dalle stesse; lo stesso indicatore, calcolato per comuni e città metropolitane, non raggiunge il 2%.

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