Se il 2020 è stato l’anno della “resilienza” e, forse con un pizzico di ottimismo, possiamo definire il 2021 come l’anno della “ripresa”, ci auguriamo che il 2022 possa essere per la Sanità l’anno della “trasformazione”. La pandemia da Covid-19 è tutt’altro che esaurita, ma il sistema sanitario sta dimostrando di saper reagire ed essere in grado di passare da uno stato di risposta in emergenza ad uno più consapevole e strutturato di “nuova normalità”, rafforzandosi per mettere in campo servizi più adeguati ai bisogni di cittadini, pazienti e professionisti sanitari e capaci di evolvere alla luce delle nuove sfide.
Di questa volontà di trasformazione il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è al tempo stesso premessa e banco di prova: la Missione 6 si focalizza interamente sulla Salute, dedicando in particolare 8,63 miliardi di Euro a “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)” e 7 miliardi a “Reti di prossimità, strutture e Telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”, andando così ad affrontare due dei principali punti di debolezza del nostro sistema. Dopo anni di scarsi investimenti, sembra ormai convinzione di tutti che l’evoluzione del Sistema Sanitario verso un modello di cura innovativo, sostenibile e universale, debba necessariamente passare da un percorso profondo di innovazione digitale.
PNRR, cosa bisogna fare nella sanità territoriale: focus sulle case della comunità
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Le barriere alla trasformazione digitale della Sanità
Ad oggi, però, come messo in luce anche dalle ricerche dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, gli attori del Sistema Sanitario percepiscono ancora diverse barriere alla trasformazione digitale:
- Risorse economiche: la limitatezza di risorse è stata la causa (o spesso l’alibi) per non fare innovazione in questi anni. Grazie al già citato PNRR, però, oggi sono disponibili risorse ingenti e dedicate che, se non adeguatamente indirizzate con capacità di progettazione e esecuzione, finirebbero per essere perse con grave danno economico e di immagine per il Sistema Paese. Almeno nel medio periodo, dunque, la disponibilità di risorse economiche sembra destinata da barriera a trasformarsi in stimolo per la digitalizzazione.
- Integrazione: per effetto delle profonde differenze socioeconomiche a livello nazionale e delle scelte di regionalizzazione e aziendalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale fatte nel passato, i sistemi informativi sanitari italiani sono storicamente frammentati a livello di governance, architetture e dati. Un rilancio digitale della Sanità passa dunque innanzitutto dalla definizione di un percorso di omogeneizzazione degli standard e di costruzione di architetture organizzative e di dati coerenti, che consentano di andare verso una piena integrazione e interoperabilità. Da questo punto di vista il nostro Paese non parte da zero, perché da anni si è investito nello sviluppo di Fascicoli Sanitari Elettronici (regionali) e nella loro progressiva convergenza verso una infrastruttura a livello nazionale, percorso ancora largamente incompiuto, ma che può costituire l’architrave dello sviluppo della nuova sanità digitale.
- Cultura e competenze: la sfida oggi è innanzitutto quella della alfabetizzazione di una larga fetta degli operatori sanitari e dei pazienti stessi che, a causa della mancanza di competenze digitali di base, rischiano di vedersi esclusi dai nuovi modelli di cura. In secondo luogo, occorrerà diffondere tra gli operatori sanitari quelle competenze avanzate nell’utilizzo di canali di comunicazione, strumenti e dati indispensabili per una corretta valorizzazione delle nuove tecnologie. Ad opporsi a questa naturale evoluzione sono oggi un’età piuttosto avanzata del personale sanitario e una sostanziale miopia e gelosia corporativa, che ha fino ad oggi impedito l’evoluzione dei curricula di formazione e aggiornamento nelle professioni sanitarie.
- Risultati: in questi anni è spesso mancata la capacità di analizzare e valutare con metodo scientifico i risultati e gli effetti delle iniziative di Sanità digitale. Il diffondersi di approcci di Evidence Based Medicine e Value Based Healthcare, oltre allo sviluppo delle prime iniziative di ricerca clinica strutturata su percorsi di Telemedicina e Terapie Digitali, può consentire di superare questa fragilità e orientarsi più decisamente verso una evoluzione digitale dei metodi e dei percorsi di cura.
Il 2022, quindi, si presenta con tutte le premesse per essere un anno chiave per lo switch-off digitale del nostro Sistema Sanitario, a patto che si lavori fin da subito per attuare il programma di trasformazione digitale tracciato dal PNRR e superare le barriere che rischiano di bloccarne lo sviluppo. In questo senso, 3 sono a nostro avviso le priorità che le strutture sanitarie e tutti gli attori della filiera della Sanità devono affrontare: Connected care e Telemedicina; Service Design; One Health.
Connected Care e Telemedicina
La Connected Care, di cui abbiamo più volte parlato, è il paradigma che integra nuovi modelli organizzativi e soluzioni tecnologiche interoperabili al fine di abilitare la condivisione delle informazioni cliniche dei pazienti tra tutti gli attori coinvolti nel processo di cura. In questa visione il cittadino, opportunamente formato e ingaggiato, è al centro del suo percorso che non si limita alla cura, ma include la prevenzione, l’accesso ai servizi e il monitoraggio (della terapia, dello stile di vita, ecc.) a seguito delle prestazioni ricevute.
Il digitale in questo percorso fa sì che i processi non strettamente clinici, quindi quelli di relazione con il cittadino/paziente e quelli di backoffice, siano orientati il più possibile alle necessità dell’utente finale in termini sia di efficacia che di efficienza dei servizi erogati. In questo senso, gli sforzi devono essere indirizzati verso la progettazione e realizzazione di servizi digitali a supporto dei processi di accoglienza del cittadino/paziente (prenotazione, pagamento, refertazione, scambio documentale) e dell’erogazione dei servizi di cura e assistenza (televisita, teleconsulto, telemonitoraggio, ecc.). La Telemedicina, quindi, è un tassello di questo paradigma, che ridisegna fortemente l’esperienza del paziente e dei professionisti impegnati nell’atto medico ma che, al tempo stesso, risponde all’esigenza di maggior flessibilità e adattabilità dei servizi in funzione dello specifico profilo del paziente.
Nella visione della Connected Care, il cittadino/paziente deve essere ingaggiato e partecipare attivamente al percorso di cura, essendo però accompagnato e assistito in modo personalizzato, predittivo e preventivo. Oggi i cittadini si aspettano servizi integrati, interoperabili e fluidi, per i quali non devono essere percepite barriere tra i diversi setting assistenziali. Per tale motivo, uno dei prerequisiti alla realizzazione della Connected care estesa (e quindi non limitata alla singola azienda sanitaria), è la piena interoperabilità dei dati sanitari per superare i silos tra ospedale e territorio, tra pubblico e privato.
Service Design
Se le risorse (economiche) ci sono (o ci saranno, attraverso il PNRR), ciò che farà la differenza tra il successo e il fallimento delle iniziative di innovazione sarà la capacità progettuale: quella di pensare, progettare e realizzare (e poi misurarne i risultati) progetti di digitalizzazione.
Elemento fondamentale in questo contesto, fino ad oggi troppo spesso sottovalutato, è il Service Design, cioè l’approccio multidisciplinare e collaborativo che, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti nella progettazione ed erogazione di un nuovo servizio, consente di orientarne lo sviluppo ponendo maggiore enfasi alla user experience.
È evidente che iniziative come quella della Connected Care e della Telemedicina presentano una complessità di fondo nel progettare, realizzare e comunicare i servizi sanitari e socio-sanitari ai cittadini/pazienti, in risposta alle loro nuove esigenze e bisogni. Finora abbiamo assistito alla coesistenza di esperienze di eccellenza con altre in cui la sostanziale assenza di un approccio progettuale orientato ai servizi ha portato allo sviluppo di soluzioni e applicazioni largamente inutilizzate. Requisito fondamentale per utilizzare efficacemente le tecnologie, e sfruttare al meglio le risorse economiche, sarà quindi lo sviluppo di cultura e competenze di design dei servizi. Tale approccio potrà garantire un reale orientamento all’utente, sia cittadino/paziente che professionista sanitario, esplicitando tutti i punti di contatto dei nuovi servizi digitali e la loro integrazione all’interno di un sistema informativo preesistente. La leva digitale, infatti, offre la possibilità di connettere attori e ridefinire i ruoli, ma questo accade solo se le piattaforme digitali vengono sviluppate affinché favoriscano l’empowerment degli utenti e, viceversa, se questi ultimi sono accompagnati con attenzione e metodo al loro utilizzo. Dal punto di vista manageriale, occorre che vengano sviluppate e potenziate non solo le competenze di service design, ma anche quelle di gestione di progetti di innovazione complessi e di change management.
One Health
La salute dell’uomo non può più prescindere dal benessere dell’ecosistema; le soluzioni per una salute realmente globale sono, quindi, quelle che ci consentono di porre al centro il cittadino, sapendo che le parole chiave sono “digitalizzazione” e “green”. Ci possiamo immaginare la salute come un sistema di vasi comunicanti: ambiente e salute sono un binomio inscindibile e la digitalizzazione oggi ci offre una possibilità in più per gestire in maniera efficace le interazioni tra uomo e ambiente e garantire la sostenibilità del nostro sistema sanitario. Ancora una volta la prima azione concreta nella direzione della One Health è la disponibilità trasversale di dati e l’interoperabilità tra sistemi e soprattutto saperi e discipline che, fino a oggi, sono stati trattati come silos. La data-driven One Health è uno dei fattori abilitanti della Connected Care e, più in generale, di un approccio globale alla salute che ne definisca le priorità e ne favorisca la valutazione dei risultati.
I principi della One Health si applicano anche alle inevitabili interconnessioni di natura sociale, scientifica e istituzionale. Ciò significa che le scelte di salute globale devono vedere attivata una stretta collaborazione tra policy makers, ricerca e decision makers. Un patto per la salute globale deve essere stretto a partire dalle politiche e tradotto ai livelli decisionali e operativi.
Conclusioni
In conclusione, il nostro auspicio è che il 2022 sia davvero l’anno in cui – grazie anche alle risorse del PNRR – si aprano ampie opportunità per avviare progetti di trasformazione digitale profonda. Progetti che possono davvero contribuire al ridisegno di una Sanità più giusta, sostenibile e personalizzata, a patto che tutti gli attori coinvolti ai diversi livelli sappiano sfruttare al massimo le opportunità di collaborazione intersettoriale e siano disposti ad attuare le riforme prospettate all’interno di una cornice di governance chiara e di una normativa snella, che consenta di spendere al meglio le risorse previste.
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