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Mega-sanzione Amazon, Quintarelli: “La definizione del mercato è il nocciolo del problema”

Esiste un mercato dei servizi di intermediazione di ecommerce? Non si può prescindere da questa domanda se si vuole comprendere il perché della maxi-sanzione comminata dall’Antitrust italiano ad Aamazon. In ogni caso, c’è la conferma che – nonostante la dottrina di Chicago – la concorrenza è un bene in sé, che va preservato

Pubblicato il 20 Gen 2022

Stefano Quintarelli

Imprenditore digitale, già parlamentare e ideatore di Spid nel 2012

amazon roomba irobot

Ora che si è posata un po’ la polvere nell’acceso confronto tra tifoserie riguardo la mega-sanzione ad Amazon che l’Antitrust ha comminato il mese scorso, vale la pena fare una riflessione a bocce ferme.

La prima considerazione è che la sanzione è certamente ingente. Per la percezione comune, una multa da 1,13 miliardi si potrebbe definire astronomica. Ma dobbiamo considerare che nell’ultimo anno Amazon ha fatturato oltre 400 miliardi di euro. È come se una persona che guadagna 30mila euro l’anno ricevesse una multa da 82 euro. Con appelli e ricorsi si può ragionevolmente ritenere che la sanzione possa essere ridotta e che ci vorrà qualche anno prima che debba essere pagata. Considerando che i ricavi di Amazon crescono del 30% all’anno, la sanzione inciderà ancora in misura minore.

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Entrando nel merito, il nocciolo della questione pare essere la definizione del mercato: esiste un mercato dei servizi di intermediazione di ecommerce?
In antitrust i mercati sono definiti ex post, quando si valutano i casi. In genere si pratica il “test del monopolista ipotetico”: si simula l’effetto di un ipotetico monopolista che pratica un piccolo ma significativo aumento non transitorio del prezzo (SSNIP: small but significant non-transitory increase in price). Se i clienti reagiscono a questo ipotetico aumento di prezzo, poniamo delle mele, non comprandole ma pagando altre alternative come le pere, allora non esiste un “mercato delle mele”, e tutte le alternative sono incluse nel perimetro del mercato (pere, arance, kiwi, ecc).

Nessuno può fare a meno di Amazon?

Se Amazon fa un piccolo ma significativo aumento non transitorio del prezzo che pratica ai merchant, questi faranno a meno di comprare i suoi servizi e si rivolgeranno ad altri?
Secondo me la risposta ovvia è no. I dati sembrano confermarlo: un report pubblicato il primo dicembre negli USA analizza l’andamento di Amazon nel mercato statunitense. Nel 2014 i commercianti sul marketplace pagavano ad Amazon il 19% dei propri ricavi. Nel 2021 i commercianti versavano ad Amazon il 34% dei propri ricavi. Nel frattempo, l’incidenza dei ricavi da merchant passava dal 14% dei ricavi totali di Amazon nel 2014 al 25% nel 2021.
L’Italia non è l’America ma questi numeri sembrano dimostrare che, anche se Amazon aumenta i prezzi in modo tutt’altro che piccolo (quasi il doppio in 7 anni), i commercianti non se ne vanno.
Se questo, come appare ragionevole, accade anche in Italia, il mercato dei servizi di intermediazione di ecommerce esiste, come ha stabilito l’Autorità.

Ci sono troppi effetti lock in, effetti rete, economie di scala e di scopo perché commercianti e clienti possano fare a meno di Amazon. Tutti siamo legati ad Amazon a doppio filo. Ho approfondito il funzionamento dei mercati digitali ed in particolare quelli dei servizi di intermediazione nel mio libro divulgativo “Capitalismo Immateriale” (giudizio 4,6 su 5, per l’appunto su Amazon).

Il comportamento abusivo di Amazon

Veniamo al possibile abuso. Non basta avere un Significativo Potere di Mercato (SMP) per essere sanzionati, bisogna che ci siano degli abusi. Ad esempio, compiere pratiche nel mercato in cui si è dominanti per favorire le proprie attività in un mercato adiacente.
In teoria, sul marketplace di Amazon i commercianti possono usare servizi di logistica di Amazon o di terzi. L’Autorità non contesta il servizio Prime, sul quale comunque ci possono essere opinioni contrastanti circa la correttezza competitiva. L’Autorità contesta che, affinché un commerciante possa partecipare ad iniziative commerciali quali Black Friday, Cyber Monday, eccetera, (ovvero, per apparire nelle posizioni del sito di ecommerce riservate a queste iniziative) i commercianti siano forzati a usare i servizi di logistica di Amazon. Amazon userebbe la propria dominanza nel mercato dell’ecommerce per conquistare vantaggi nel mercato della logistica. Questo sarebbe un comportamento abusivo e, come tale, da sanzionare.

La scuola di Chicago

Negli ultimi decenni si è imposta una lettura delle pratiche Antitrust vicina alle posizioni della scuola di Chicago, in cui si valutava comunque l’effetto sui consumatori: se vi è un beneficio per il consumatore, sostanzialmente va bene (quasi) tutto. Estremizzando, va bene che un intermediario strangoli i fornitori, basta determinare dei vantaggi per il consumatore. È una posizione criticabile: i mercati sono strutture articolate che non vanno valutate in modo statico, guardando un fotogramma, ma in modo dinamico, leggendo come si dipana la trama e considerando anche le molte esternalità.

In ogni caso, anche in questo procedimento l’Autorità riscontra svantaggi per i consumatori: nel suo esame non riscontra alcuna evidenza che la logistica di Amazon sia così più efficiente di altri possibili fornitori. Questi altri fornitori vengono invece penalizzati, riducendo le opzioni dei consumatori che non possono accedere ai loro servizi. Lo stesso vale per i venditori: dato che non possono avere tutto duplicato, non possono sfruttare in pari modo servizi di marketplace alternativi e noi consumatori abbiamo meno effetti benefici della concorrenza tra piattaforme.

Infine, se anche si dissentisse nel merito, bisogna ricordare che quella della scuola di Chicago è una visione diversa da quella originaria della dottrina antitrust, in cui si contrastava la “maledizione della grandezza” (“curse of bigness”): troppo spesso i regolatori sono catturati dai soggetti regolati, quando questi hanno un così grande potere economico, tale persino da influenzare in modo non trasparente (come si è scoperto in molti casi) informazione, accademia, politica e regolatori.

Conclusioni

Ormai, in un mondo che guarda alla sostenibilità, in cui gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sono il quadro di riferimento delle politiche sociali ed economiche, il pendolo ha invertito la corsa e dalla dottrina della scuola di Chicago si sta tornando verso l’interpretazione originaria: la concorrenza è un bene in sé, che va preservato.

Infine, non dobbiamo trascurare il quadro internazionale: sono anni che si sta parlando di under-enforcement nel digitale; sono state scritte migliaia di pagine con ampia evidenza dei problemi e sono stati avviati decine di casi antitrust contro Amazon e contro gli altri monopolisti digitali, non solo in Europa, ma ne stanno spuntando come funghi ovunque nel mondo: persino nella minuscola regione del distretto federale di Washington c’è una causa antitrust contro Amazon.

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