Il social media listening è l’ascolto delle conversazioni sui social: dati non strutturati, esterni al perimetro aziendale, che, se opportunamente analizzati, permettono una comprensione profonda dei fenomeni, oltre alla profilazione delle audience di riferimento e delle persone coinvolte nella discussione, inclusi gli opinion leader, in grado di indirizzare contenuti e toni del dibattito pubblico.
Ecco perché le conversazioni sui social media e sul web sono viste sempre più come vere e proprie miniere di informazioni disponibili a tutti e da esplorare con gli strumenti della social media analytics. Nel pieno rispetto delle normative vigenti in tema di sicurezza e privacy, ovviamente.
“Fenomeno” influencer: come usare il potere di ispirare in chiave “educativa”
Gli investimenti in analytics delle imprese italiane continuano a crescere e, nel 2021, hanno superato per la prima volta i 2 miliardi di euro, con investimenti per il 50% destinati alle soluzioni applicative, per il 30% ai servizi, e per il rimanente 20% all’infrastruttura tecnologica (Osservatorio Big Data del Politecnico di Milano).
A fronte di una importante crescita quantitativa, si riscontra anche la maturazione di diversi fenomeni, tra cui proprio l’attenzione verso l’utilizzo di dati non strutturati. Sono sempre più numerose le iniziative volte a monitorare cosa pensano le persone, sfruttando l’ascolto dei dibattiti in rete, sui social e sul web, dove le persone si sentono libere di esprimere senza filtri il proprio pensiero, svelando molto di loro stesse.
Ascolto conversazioni online: le cinque tendenze emergenti
Questa attenzione per le conversazioni online si inserisce in una nuova fase rispetto alla capacità delle imprese di sfruttare dati strutturati e non strutturati, proprietari e open, interni e acquisibili sui social e sul web attraverso web scraping. Una fase caratterizzata da diverse tendenze che stanno andando a maturazione, di cui cinque particolarmente rilevanti.
Advanced Analytics anche per le medie imprese
Anzitutto, anche le medie imprese, complice la sempre più pervasiva digitalizzazione e la conseguente crescita dei dati disponibili ad un costo relativamente limitato, hanno sviluppato soluzioni di advanced analytics, che valorizzano non solo dati strutturati e interni, provenienti dalle proprie anagrafiche e dai sistemi transazionali, ma anche dati esterni e destrutturati, tra cui anche le conversazioni in rete.
Web monitoring in crescita
Non è più un’eccezione, o una pratica confinata nel mondo delle grandi imprese consumer preoccupate per l’immagine del proprio brand, incontrare imprese e pubbliche amministrazioni che hanno sviluppato progetti di social media listening e web monitoring sia per prevenire possibili crisi, in ottica difensiva dunque, sia per comprendere meglio contesti d’uso, audience, clienti e utenti e poter agire meglio e più tempestivamente in maniera proattiva.
Interesse per le customer data platform
Le fonti dati si sono estese per abbracciare le dimensioni dell’esperienza. Un’attenzione cresciuta decisamente, come mostra il crescente interesse verso le customer data platform, piattaforme che hanno l’obiettivo di integrare e mettere a sistema tutti i dati generati dalle interazioni degli utenti con le piattaforme dell’organizzazione e rispondere in maniera tempestiva e adeguata alle circostanze sui diversi canali, applicando davvero e nei fatti politiche integrate, omnicanale, user centric.
Ibridazione dei contesti
I contesti in cui dati interni ed esterni sono raccolti e valorizzati sono sempre più ibridi, caratterizzati da una profonda compenetrazione tra fisico e digitale. I retailer in particolare hanno compreso quale enorme valore assume la capacità di misurare l’esperienza anche offline e soprattutto di integrare per ciascun cliente, offrendone così una vista unica e integrata, quanto avviene online, sull’e-commerce ad esempio, e offline, nei punti di vendita fisici. Ibridazione che sta avvenendo anche negli stabilimenti produttivi, negli uffici, nei luoghi in cui prodotti e servizi sono progettati, realizzati, erogati.
Strategie di lungo periodo
La cultura dei dati è cresciuta e con essa anche la consapevolezza di quali tecnologie e soluzioni siano realmente utili, rendendo le organizzazioni sia più reattive nel cogliere opportunità emergenti, sia più attente e consapevoli nell’adozione di soluzioni, metodologie, tecnologie innovative. La capacità di inserire le diverse tecnologie in una cornice di senso e in una strategia dati e tecnologica di lungo periodo permette di scansare gli inutili hype del momento, focalizzandosi sulle soluzioni davvero utili per l’organizzazione. In particolare, l’attenzione per l’intelligenza artificiale mostra oggi una maturità molto maggiore rispetto al passato, con imprese in grado di identificare le soluzioni più utili al proprio modello e alla propria strategia.
Come si vede, solo una cornice di senso permette di sfruttare al massimo le potenzialità offerte da singole metodologie e tecnologie. Così è anche per le tecniche di social media listening.
Social Media Listening: le cinque categorie di dati utili
“Imprese e pubbliche amministrazioni centrate sul cittadino e sul cliente”: lo si sente talmente tanto frequentemente da farlo sembrare ormai quasi un luogo comune. Nessuna organizzazione oggi manca di definirsi customer (o citizen) centric.
Il punto di partenza, apparentemente ovvio, anche se non sempre realizzato con coerenza, è quello di partire dalla comprensione, dall’ascolto degli utenti. Sono numerosi gli strumenti che le imprese possono utilizzare per capire davvero cosa le persone pensano di un prodotto, di un servizio, di un tema specifico.
I dati generati ogni giorno dai sistemi transazionali e dalle piattaforme sono così tanti e così granulari che ormai poche organizzazioni possono esimersi dall’adottare approcci data-driven nello sviluppo di prodotti e servizi, nell’analisi e nella comprensione di mercati target, delle utenze, dei pubblici di riferimento.
Valorizzare i dati social e open richiede di aver chiaro qual è lo spettro delle fonti a disposizione di un’organizzazione, per inserire questi contributi in un contesto in grado di massimizzarne il valore.
Possiamo per altro riconoscere cinque categorie di dati utili a comprendere clienti, utenti, audience e mercati di riferimento. Tra cui, ovviamente, anche le conversazioni online.
- Dati socio-demografici e transazionali, provenienti dai sistemi informativi dall’organizzazione, integrati dalle anagrafiche dei prodotti e servizi e dal tracciamento delle iniziative promozionali e di comunicazione: ERP, CRM, i sistemi utilizzati per la gestione del programmatic ads (DMP, DSP).
- Dati comportamentali e di interazione, provenienti dalle piattaforme e dalle interfacce gestite dall’organizzazione: sito web, eCommerce, piattaforme di customer care, chat.
- Dati provenienti dal coinvolgimento diretto degli utenti, attraverso ricerche di mercato, ricerca con utenti, focus group, interviste, test d’usabilità.
- Open data: dati messi a disposizione da pubbliche amministrazioni, centri di ricerca, enti di diversa natura che condividono dati strutturati, utili a conoscere meglio un contesto.
- Dati provenienti dalle interazioni e dalle conversazioni sui social e sul web.
Sfruttare questa miniera informativa e comprendere appieno i propri clienti e utenti rende necessario per le organizzazioni sviluppare quattro capacità fondamentali.
Social media listening: le quattro capacità da allenare
Sono quattro le capacità da allenare per il social media listening: saper raccogliere, integrare, analizzare dati provenienti da diversi sistemi; saperli sfruttare per gestire i contesti ibridi; saper coinvolgere l’utente nel co-design; saper comprendere le dinamiche del web e intervenire.
Saper integrare e analizzare dati eterogenei
La prima capacità è quella di individuare le diverse fonti di dati e di abbattere i silos organizzativi che tendono a mantenerli separati, utilizzati magari localmente da singole unità organizzative, ma non messi a fattore comune.
Lo studio e la comprensione del cliente non hanno mai beneficiato nella storia di una tale quantità e varietà di strumenti e fonti quanti quelli oggi a disposizione: CRM e anagrafiche sempre più precise e strutturate, dati transazionali disponibili in tempo reale, tracciamenti dei comportamenti avuti dagli utenti nell’utilizzo delle molteplici piattaforme digitali utilizzate per governare acquisti, ordini, reclami, interazioni, siti web e canali social di comunicazione e interazione con l’utenza.
L’elenco potrebbe essere lunghissimo: le piattaforme proprietarie delle organizzazioni sono sempre di più, sempre più integrate, ricche di dati e informazioni sempre più granulari, anche e soprattutto nominali, permettendo così, nel pieno rispetto della normativa vigente e della sicurezza dei dati, una profilazione molto precisa dei diversi utenti o clienti, classificabili e clusterizzabili secondo molteplici criteri di tipo socio-demografico, psicografico, geografico, comportamentale. Insomma, una varietà e una profondità impressionante. Per cogliere le opportunità occorre però collegare e far parlare i diversi sistemi. E questo in diverse organizzazioni è ancora un ostacolo insormontabile.
Saper sfruttare i dati per gestire i contesti ibridi
Le piattaforme di interazione, comunicazione e transazione costituiscono la ovvia base informativa da cui partire per comprendere chi sono gli utenti e i clienti, cosa desiderano, quali problemi hanno, come usano prodotti e servizi, come interagiscono con campagne, promozioni e comunicazioni di varia natura.
Anche se esistono ancora realtà poco digitalizzate e che non pensano ai dati come a un asset su cui investire, sono sempre più rari i casi di imprese che non hanno ancora sviluppato la propria data strategy, identificando fonti di dati, tecnologie e metodologie per valorizzare in pieno il patrimonio cognitivo racchiuso nei propri sistemi, abilitando così processi decisionali insight-driven.
Da notare che, anche in quadro certamente più sviluppato rispetto al passato, si trovano tuttavia ancora aree di arretratezza relativa, in cui sono state sviluppate soluzioni o realizzati progetti pilota in maniera episodica, ovvero a silos, non valorizzando il pieno potenziale ottenibile solo attraverso una piena integrazione tra le diverse fonti di dati.
Fermandosi alle piattaforme digitali, la situazione è piuttosto consolidata: le soluzioni di data analytics, business e customer intelligence sono ormai mature e l’adozione ha ormai raggiunto un’ampia maggioranza delle organizzazioni. Perlomeno quelle di dimensioni medie e grandi.
Una delle capacità decisive è pertanto la capacità di restituire una vista unitaria del cliente, qualsiasi sia la piattaforma, l’interfaccia, il contesto di azione e interazione.
In questo senso, come si diceva sopra, l’ambiente fisico e la compenetrazione sempre più forte di fisico e digitale, con la creazione di contesti ‘’aumentati’’, ibridi, richiede di sviluppare nuove attitudini e adottare approcci innovativi nella mappatura e nell’orchestrazione di esperienze omnicanale, in ambienti in cui utenti, oggetti, interfacce, strumenti e spazi sono dotati di una propria identità digitale, che li rende riconoscibili, tracciabili, integrabili.
Saper coinvolgere gli utenti nel co-design
L’efficacia delle analisi realizzabili tramite i dati, resi disponibili dai sistemi informativi e dalle piattaforme, è ormai dimostrata nei fatti, anche dalla precisione con cui come utenti siamo tracciati, analizzati, misurati, valutati, contattati. Come detto, la sfida dell’integrazione fisico-digitale è ancora aperta, ma la strada sembra tracciata.
In diversi contesti, a questi dati generati dalle attività operative, si affiancano sempre più spesso ricerche approfondite, analisi in profondità dei contesti d’uso, coinvolgendo gli utenti nell’assessment e nella valutazione della qualità delle esperienze vissute con sistemi e piattaforme. Si sviluppano, in questi casi, laboratori e progetti di ricerca con utente, per approfondire temi quali l’accessibilità, l’usabilità, l’ergonomia, oltre all’efficacia e alla facilità di piattaforme, interfacce di sistemi. Una serie di attività che permettono di conoscere in profondità il contesto d’uso in cui gli utenti interagiscono con un determinato set di strumenti e di sistemi.
A queste campagne di ricerca con utenti, si affiancano ricerche di mercato, focus group, sondaggi, interviste che svolgono ancora, in particolare per servizi e prodotti con vaste clientele – si pensi a retail, telco, utility, moda – un ruolo centrale nell’identificazione di bisogni e desideri e quindi nelle successive attività di posizionamento strategico e di sviluppo prodotto, oltre che di iniziative promozionali e di comunicazione.
Secondo l’Osservatorio Mobile B2C Strategy del Politecnico di Milano, che ha mappato l’approccio delle aziende italiane alla user experience, l’88% delle aziende italiane dedica in maniera strutturata risorse e personale alle fasi di ricerca sul cliente, sfruttando diverse metodologie. Il segnale che anche in questo caso si tratta di una competenza ormai necessaria a chiunque voglia competere sui mercati.
Comprendere cosa succede sul web e saper intervenire
Le metodologie e gli approcci presentati più sopra sono ormai piuttosto consolidati e fanno parte in maniera strutturata e piuttosto pervasiva del set di strumenti che le organizzazioni già sfruttano per comprendere meglio chi sono e cosa desiderano utenti, clienti e prospect.
Sono ormai diverse le organizzazioni in grado di valorizzare pienamente il patrimonio informativo esistente al di fuori del proprio perimetro di controllo. Stiamo parlando dei dati open, messi a disposizione da amministrazioni pubbliche, centri di ricerca ed enti di diverso tipo, e delle conversazioni online, che affollano ogni giorno i social e il web.
Nelle organizzazioni più grandi e avanzate, sono ormai numerosi i progetti di customer intelligence che includono l’ascolto delle conversazioni online, in molti casi anche solo in chiave di gestione del rischio reputazionale. In quest’ottica, le imprese scansionano e filtrano il web alla ricerca di contenuti che nominano i propri brand, i prodotti e i servizi, per intercettare per tempo eventuali thread pericolosi per la propria immagine, e se il caso organizzare interventi volti a mitigare il rischio.
Accanto a questo approccio che potremmo definire difensivo, che è certamente più diffuso, sono presenti anche rilevanti investimenti in progetti che esplorano, senza un obiettivo preciso, il web e i social per comprendere cosa succede, di cosa si parla, come se ne parla e soprattutto chi ne parla e con quale grado di influenza sull’andamento delle discussioni. In questo modo, sono in grado di intercettare trend emergenti, desideri non espressi, bisogni taciti. Potendo misurare il sentiment e i valori, sono in grado di costruire audience caratterizzate da interessi e passioni e conseguentemente di guidare la propria ricerca e sviluppo, le proprie attività promozionali e di comunicazione verso quegli ambiti e con il posizionamento più rilevante per il contesto specifico.
Individuare i nodi, gli hub delle reti, permette di veicolare i propri messaggi connettendosi alle zone più centrali e vivaci della rete.
Come si vede, sono tantissime le implicazioni positive portate da un approccio di questo tipo. Risulta sempre più evidente che, in un mondo che si organizza per incorporare strutturalmente questo tipo di informazioni, ignorarle significa creare un’area di possibile debolezza e di ritardo rispetto ai concorrenti.