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Lavoro agile, protocollo e piano operativo: che devono fare aziende e pubbliche amministrazioni

La modalità di lavoro agile e la filosofia dello smart working/lavoro agile resisteranno anche dopo la pandemia o prevarranno le forze “rientriste”? Facciamo il punto sullo scenario odierno, in attesa degli sviluppi di una disciplina ancora sottoposta alle deroghe dettate dall’emergenza

Pubblicato il 17 Gen 2022

Victoria Parise

Avvocato giuslavorista in Firenze, DPO e Consigliere ASSODATA, Partner dello studio The Legal Match

bonus smart working

Con l’avvicinarsi della fine dell’emergenza e sulla base degli studi degli effetti del fenomeno lavorativo (anche sul piano internazionale) molti prevedono che la modalità di Lavoro Agile e la filosofia dello smart working resteranno prevalenti e che, quindi, questa sarà la tendenza dell’era del “dopo covid-19” per molte e diverse ragioni fra cui: impatto sull’ambiente, sui costi di gestione, sull’approccio per obiettivi, conciliazione esigenze vita-lavoro, etc.).

In questo scenario le parti sociali sia del pubblico che del privato hanno iniziato a chiedersi come sarebbe opportuno integrare il quadro normativo del 2017, anche attraverso direttive e accordi collettivi al fine di tutelare i lavoratori che sottoscrivano un accordo di lavoro agile al termine del periodo emergenziale con il proprio datore di lavoro; tutto questo mentre per il 2022 nel Pubblico Impiego ogni Amministrazione dovrà presentare il cosiddetto «Pola»[1], Piano Organizzativo del Lavoro Agile e lo scorso 7 dicembre 2021 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e numerose parti sociali sia datoriali che sindacali hanno siglato un nuovo protocollo in materia di lavoro agile nel settore privato (il “Protocollo”).

Lavoro agile, le norme da conoscere: come si attua, le tutele, diritti e doveri del lavoratore

Lavoro agile, il quadro normativo del 2017

Partiamo da una doverosa premessa. In Italia la disciplina del cosiddetto Lavoro Agile era stata introdotta per la prima volta con la L. 22 maggio 2017, n. 81, le legge è rimasta un contenitore vuoto fino all’arrivo pandemia (in altre parole: la norma rinviava la regolamentazione di dettaglio – luoghi e tempi della prestazione – sostanzialmente alle determinazioni delle parti contrattuali che dovevano stabilire, caso per caso, l’atteggiarsi della flessibilità della prestazione (Agile) con un loro accordo).

Inoltre, si può affermare che, sino ad oggi, erano pochissimi i Contratti Collettivi che disciplinavano l’applicazione del Lavoro Agile. Forse per la cultura manageriale accentratrice del piccolo-medio imprenditore italiano e per l’arretratezza tecnologica delle infrastrutture del paese l’Italia non era pronta alla rivoluzione proposta dalla filosofia di oltreoceano chiamata smart working.

Infatti, smart working e Lavoro Agile – per quanto nel nostro paese siano utilizzati quali sinonimi – sono in realtà due concetti distinti:

  • Lo smart working è una filosofia manageriale improntata alla riorganizzazione del lavoro partendo dalla tecnologia, dagli spazi di lavoro e dalla tutela dell’Ambiente (intesa sia in termini di tempi di percorrenza del tragitto casa-lavoro nelle grandi città, sia in termini di inquinamento).
  • Il Lavoro Agile è una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa (che rientra nella filosofia manageriale smart working) e che in Italia è stata introdotta con il proposito di rispondere alle esigenze di conciliazione fra vita privata e lavoro per determinate categorie di soggetti (ad esempio lavoratori dipendenti che più hanno difficoltà sotto questo profilo, quali ad esempio le lavoratrici madri).

Fatta questa premessa introduttiva su quanto accaduto prima della pandemia, ora possiamo soffermarci sullo scenario odierno nel quale appare evidente che – in conseguenza del Covid -19 – l’Italia (ma in realtà tutti i paesi industriali) siano stati travolti da una rivoluzione del mondo del lavoro, e che nel nostro paese tale rivoluzione sia stata di fatto traghettata dalla normativa sul Lavoro Agile del 2017. L’impianto normativo è stato (per quanto si presenti come molto scarno) il salvagente che ha permesso di far “lavorare da casa” sia i lavoratori pubblici che privati durante i giorni dell’emergenza. Inoltre, l’esenzione dall’obbligo di siglare un accordo ad hoc per la sua attivazione (una deroga alla norma originale che è stata stabilita con la normativa d’emergenza) ha permesso una massiva diffusione del lavoro da remoto su tutto il territorio.

Il “rientro” dei lavoratori pubblici

A fine 2021 però le sorti dei lavoratori del pubblico e del privato sono sembrate dividersi, soprattutto in conseguenza delle determinazioni del Ministero della Pubblica Amministrazione e in particolare del Ministro Brunetta che ha ritenuto necessario il rientro massivo in presenza dei lavoratori della Pubblica Amministrazione al fine di assicurare l’efficienza dei servizi e la corretta realizzazione degli obiettivi del PNRR. Il Ministro ha, del tutto evidentemente, valutato in chiave negativa la filosofia dello smart working considerando l’attività lavorativa da casa, presupposto di un potenziale aumento dei cosiddetti “furbetti del pubblico” e di una, secondo lui annunciata, scarsa efficienza nella prestazione dei servizi.

Il Piano Organizzativo del Lavoro Agile

Inoltre, è stato previsto che per il 2022 nel Pubblico Impiego ogni Amministrazione dovrà presentare il cosiddetto «Pola»[1], Piano Organizzativo del Lavoro Agile per fissarne le modalità di attuazione e sviluppo con una percentuale fissa rispetto alla totalità dei lavoratori. In altre parole, solo una limitata percentuale di forza lavoro potrà svolgere le attività da remoto.

Tali determinazioni sono avvenute prima dell’ultima ripresa dei contagi – causati dalla variante Omicron – ne è conseguito che il Ministro ha, in questo mese di gennaio 2022, emanato una Circolare relativa alle modalità di lavoro da adottarsi prossimamente e alla necessità di affrontare la nuova ondata, precisando che:

  • Come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2021, a decorrere dal 15 ottobre 2021 la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni pubbliche è stata quella svolta in presenza, fermo restando l’obbligo, per ciascuna di esse, di assicurare il rispetto delle misure sanitarie di contenimento del rischio di contagio da Covid- 19.
  • Il rientro “in presenza” del personale delle pubbliche amministrazioni è stato disciplinato da subito con il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione 8 ottobre 2021, che ha individuato le condizionalità ed i requisiti necessari (organizzativi ed individuali) per utilizzare il lavoro agile in un quadro di efficienza e di tutela dei diritti dei cittadini ad una adeguata qualità dei servizi; e dalle “linee guida” adottate previo confronto con le organizzazioni sindacali e sulle quali è stata acquisita l’intesa della Conferenza unificata lo scorso 16 dicembre.
  • Il quadro regolatorio è stato infine completato, per la prima volta, come concordato con i sindacati nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato a Palazzo Chigi il 10 marzo 2021, dal Contratto collettivo sottoscritto tra Aran e parti sociali il 21 dicembre 2021, che del lavoro agile nel pubblico impiego ha individuato caratteristiche, modalità, limiti e tutele.
  • Ogni Pubblica Amministrazione, pertanto, può programmare il lavoro agile con una rotazione del personale settimanale, mensile o plurimensile con ampia flessibilità, anche modulandolo, come necessario in questo particolare momento, sulla base dell’andamento dei contagi, tenuto conto che la prevalenza del lavoro in presenza indicata nelle linee guida potrà essere raggiunta anche nella media della programmazione plurimensile.

In sintesi, ciascuna amministrazione potrà oggi equilibrare il rapporto lavoro in presenza/lavoro agile secondo le modalità organizzative più congeniali alla propria situazione, tenendo conto dell’andamento epidemiologico nel breve e nel medio periodo, e delle contingenze che possono riguardare i propri dipendenti (come nel caso di quarantene brevi da contatti con soggetti postivi al coronavirus).

Per adesso la Pubblica Amministrazione presenta un quadro incerto e non privo di un generale malcontento dei lavoratori e di alcune parti politiche per le ridotte percentuali di lavoratori smart. Certamente terminata questa quarta ondata il Ministro Brunetta delineerà in modo più marcato il suo indirizzo continuando con il ritorno in presenza degli addetti agli uffici pubblici erogatori di servizi al cittadino.

Il lavoro agile in ambito privato

Nell’ambito del lavoro privato invece lo scorso 7 dicembre 2021 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e numerose parti sociali sia datoriali che sindacali (fra cui CGIL, CISL, UIL, USB, Confindustria, ANIA, ABI, Confcommercio, CNA, Federdistribuzione, Confservizi, ecc.) hanno siglato un nuovo protocollo in materia di lavoro agile nel settore privato (il “Protocollo”), all’esito di un approfondito confronto promosso dal medesimo Ministero del Lavoro. Sotto il profilo generale, il Protocollo sottoscritto va ad integrare la disciplina di legge sul Lavoro Agile, ponendo allo stesso tempo anche un quadro contrattuale più ampio come base per la contrattazione collettiva, anche secondaria. Il Protocollo ribadisce la necessità di un apposito accordo scritto[2] tra datore di lavoro e lavoratore, che definisca i termini del lavoro agile che dovrà contenere una serie di informazioni, tra cui: durata dell’accordo, alternanza periodi di lavoro in sede e periodi di lavoro da remoto, luoghi eventualmente non idonei al lavoro da remoto, modalità di prestazione dell’attività lavorativa da remoto, tempi di riposo e misure tecniche/organizzative per assicurare la disconnessione ecc.

Smart working, una nuova normalità? Le sfide per il post-pandemia

Viene poi ribadito che, l’eventuale rifiuto di aderire all’accordo da parte del lavoratore non può rilevare in alcun modo sul piano disciplinare, né avere alcuna ulteriore ripercussione sull’esistenza del rapporto.[3]

Gli aspetti principali del protocollo

  • Orario: la prestazione in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e preclude, in linea generale, prestazioni di lavoro straordinario, salvo espressa previsione da parte della contrattazione collettiva (anche aziendale). Tuttavia, viene sancita la possibilità di prevedere nell’accordo individuale delle fasce orarie di reperibilità e la necessità di specificare un’apposita fascia oraria in cui viene garantita al dipendente la possibilità di disconnettere i propri dispositivi, così come peraltro già previsto dal D.L. 13 marzo 2021, n. 30, convertito con L. 6 maggio 2021 n. 61.
  • Luogo di lavoro: il lavoratore rimane libero di scegliere il luogo da cui svolgere la prestazione da remoto, purché quest’ultima sia tenuta nel rispetto delle necessarie condizioni di sicurezza[4] e riservatezza. La contrattazione collettiva potrà inoltre definire i luoghi reputati inidonei allo svolgimento della prestazione in smartworking.
  • Strumenti di lavoro e sicurezza: il Protocollo prevede che, salvo diversi accordi tra le parti, la strumentazione tecnologica ed informatica necessaria al lavoro agile debba essere fornita dal datore di lavoro, che è anche tenuto ad assicurare la loro idoneità e sicurezza, così come sono a carico di quest’ultimo i costi relativi alla loro manutenzione e sostituzione. Specifici obblighi sono poi previsti nei confronti dei lavoratori in materia di gestione dei malfunzionamenti delle apparecchiature e per il caso di data breach. Inoltre, si conferma che – durante il lavoro svolto in modalità agile – il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche derivanti dall’uso dei videoterminali e per infortuni in itinere.
  • Dati personali: Il Protocollo dedica anche un importante articolo alla protezione dei dati personali stabilendo le prassi a tutela dei dati personali c.d. best practice, a cui i datori di lavoro dovranno adeguarsi per essere compliance[5].
  1. Formazione: le parti sociali hanno sancito altresì un obbligo da parte dei datori di lavoro a formare tutti i dipendenti, finalizzato a migliorare le competenze tecniche ed informatiche dei lavoratori.

Seppur ancora con qualche lacuna e difficoltà il quadro normativo si sta riempiendo di contenuti che certamente dovranno essere rivisti e aggiornati per restare al passo con i tempi e la rivoluzione ancora in corso.

La Circolare del Ministro fornisce alcune indicazioni anche per il lavoro agile nel privato – confermando la diversità di approccio – in particolare afferma “Visto il protrarsi dello stato di emergenza, si raccomanda, pertanto, il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o a modalità a distanza, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause).

Conclusioni

Restiamo dunque in attesa della fine di queste ultima ondata e degli sviluppi sulla disciplina ancora sottoposta alle deroghe dettate dall’emergenza.

Note

  1. Ai sensi dell’art. 263 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2020, le amministrazioni pubbliche, entro il 31 gennaio di ciascun anno (a partire dal 2021), redigono, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA), quale sezione del Piano della performance. Il POLA individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte da remoto, che almeno il 60 per cento dei dipendenti possa avvalersene, garantendo che gli stessi non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Al fine di promuovere l’attuazione del lavoro agile, il POLA definisce le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative. In caso di mancata adozione del POLA, il lavoro agile si applica almeno al 30 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano.
  2. Per il momento vige ancora la sua deroga.
  3. https://www.inpratica.leggiditalia.it/#id=10DT0000029773ART13,highlight=1,__m=document, avv. Salazar
  4. Il Protocollo continua, inoltre, a prevedere la responsabilità del datore di lavoro per l’adempimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza (ivi incluso l’obbligo di fornire adeguate informazioni riguardanti i rischi correlati allo svolgimento della prestazione in smart working).
  5. Si rammenta: In particolare, il Protocollo raccomanda l’aggiornamento del proprio registro delle attività di trattamento, nonché la redazione di specifiche DPIA (valutazioni di impatto) sui trattamenti di dati effettuati dai lavoratori in remoto, oltre che l’adozione di policy aziendali fondate su un ulteriore principio cardine del GDPR, la security by design, che prevedano altresì la gestione di data breach e l’implementazione di misure di sicurezza adeguate. Da ultimo, si prevede altresì l’adozione di un codice deontologico e di buona condotta – da sottoporre al previo parere dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali – sul trattamento dei dati dei lavoratori in modalità agile.( https://www.inpratica.leggiditalia.it/#id=10DT0000029773ART13,highlight=1,__m=document, avv. Salazar)

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