Nell’era digitale, la vera moneta di scambio per usufruire dei servizi forniti dalle aziende tecnologiche è rappresentata dai dati degli utenti. La varietà e moltitudine degli stessi consente, infatti, di fornire prestazioni e servizi estremamente personalizzate, ad altissimo valore aggiunto. Allo stesso tempo, tuttavia, vi è una scarsa consapevolezza in merito alle finalità per le quali i dati degli utenti sono utilizzati, con la sensazione che vi sia una perdita di controllo degli stessi.
In tale contesto, dominato da un clima di “sfiducia” nei confronti dei servizi digitali, dovuto principalmente alla poca trasparenza e chiarezza nei confronti degli utenti finali, sempre maggiori realtà stanno cercando di restituire il controllo dei dati agli utenti, per esempio attraverso la social blockchain.
Il modello social di Project Liberty
Fra i soggetti che portano avanti l’idea di “riprendere il controllo dei propri dati” troviamo Frank McCourt, magnate immobiliare miliardario che ha recentemente investito in un social basato sulla blockchain, il cui obiettivo è quello di permettere agli utenti di controllare lo spostamento dei record delle connessioni social tra le app che intendono utilizzare, nel momento in cui intendono utilizzarle.
Il modello pensato da Project Liberty (così il nome della nuova impresa) si distingue dal modello di social tradizionale. Oggi, infatti, i social media, i motori di ricerca e le società di vendita al dettaglio online basano gran parte dei propri ricavi – se non la quasi totalità – sulle informazioni dei consumatori e sulla profilazione dei gusti degli stessi: in detto modello, il consumatore finisce per perdere il possesso dei propri dati, assistendo ad un ritorno molto esiguo (in termini di servizi) rispetto al valore che creano tramite la fornitura dei propri dati.
Il valore stimato degli annunci digitali, in particolare, ammonta oggi a circa 455 miliardi di dollari. Nel modello sostenuto da McCourt, invece, si assiste ad una decentralizzazione della fase di raccolta dei dati. Il consumatore, infatti, mediante la blockchain, non perde il possesso dei propri dati ma decide in libertà ed autonomia dove destinare gli stessi, controllando il modo in cui i dati medesimi vengono venduti e utilizzati dalle aziende tecnologici.
Come funziona il protocollo Project Liberty
Nel protocollo di Project Liberty, al pari di quanto già avviene per Bitcoin e le criptovalute, i dati degli utenti dei social media sarebbero archiviati in una sorta di “portafoglio digitale” costituito da informazioni indelebili, dal quale poter decidere quali dati trasferire alle app ed alle piattaforme che si decide di utilizzare. Dopo aver ottenuto il permesso dagli utenti, le società di social media attingerebbero, dunque, da questo pool di dati sulle connessioni e le interazioni degli utenti per poter fornire i propri servizi di profilazione. Mediante l’utilizzo di un protocollo decentralizzato, gli utenti potranno altresì decidere, in qualsiasi momento e con maggiore semplicità, di revocare il permesso per l’utilizzo dei propri dati, precedentemente conferito. Inoltre, agli utenti potrebbe essere corrisposto un pagamento in criptovaluta corrispondente alla “controprestazione” per l’utilizzo dei loro dati. A titolo esemplificativo, un utente potrebbe scegliere di condividere dei post all’interno di una piccola comunità, la quale potrebbe creare le proprie regole sulla monetizzazione dei dati, sulla moderazione dei contenuti e su altri fattori.
Scetticismo e fronti critici
Tuttavia, non tutti sono convinti del successo di detto protocollo, il cui esatto funzionamento non appare ancora chiaro. I social media attuali ottimizzano i propri sistemi per riuscire a mantenere l’utente all’interno della piattaforma e ottenere maggiori informazioni sullo stesso, da cui poter creare un valore. Un social media basato sul protocollo decentralizzato potrebbe non riuscire nel medesimo obiettivo, non consentendo di tenere l’utenza connessa sulla piattaforma. Ciò comporterebbe una riduzione della qualità del servizio ed un incremento dei costi, secondo quanto stimato da Ethan Zuckerman.
La social blockchain
A McCourt e al suo Project Liberty si affiancano una serie di aziende, come Brave Software Inc., Reklaim Ltd. e Streamlytics Inc., il cui obiettivo è, pure, quello di consentire ai consumatori digitali di controllare e beneficiare in prima persona dei dati che vengono conferiti alle aziende tecnologiche ogni giorno, ricostruendo il web come un’infrastruttura “di proprietà del pubblico”, ponendo fine allo “sfruttamento degli utenti”.
Anche politici come il governatore della California Gavin Newsom e il già candidato al ruolo di sindaco di New York Andrew Yang hanno lanciato l’idea che i consumatori dovrebbero essere pagati per i loro dati. In un sondaggio condotto da Project Liberty, circa il 60% degli intervistati (su 1.022 adulti statunitensi) ha dichiarato che manterrebbe i propri dati privati se potesse possederli e controllarli, mentre un altro 23% ha dichiarato che scambierebbe gli stessi con qualcosa di valore.
L’interesse delle startup
Alcune startup stanno già mettendo in pratica questo modello di business: il browser Brave paga ai suoi 42 milioni di utenti il 70% delle entrate generate dagli annunci che vedono, compensandoli con la corresponsione di token che possono essere riscattati come valuta o utilizzati come “mancia” da dare ai siti maggiormente graditi. Anche se si tratta di somme irrisorie, gli utenti sembrano apprezzare questo mutamento.
Anche Foursquare Labs Inc. ha lanciato, in agosto, un’app che premia i consumatori mediante la corresponsione di carte regalo, nel caso in cui contribuiscano attivamente a condividere la loro posizione. La Tapestri Inc., a novembre, ha introdotto un’app che corrisponde ai consumatori del contante (fino a 15$ al mese) nel caso in cui gli stessi condividano la cronologia delle posizioni, in forma anonimizzata. I dati raccolti sono, poi, venduti ai marchi. Gli utenti, in questo caso, non possono controllare quali aziende acquistano i loro dati, ma la società auspica, in futuro, di aggiungere questa funzione, secondo quanto affermato dal suo fondatore.
Il caso di Reklaim
La citata Reklaim offre agli utenti una visione delle informazioni che l’industria acquista e vende su di loro. Quando un utente si iscrive a Reklaim e verifica la sua identità, l’azienda utilizza il suo indirizzo e-mail o il suo numero di telefono per interrogare circa 30.000 partner relativamente ai dati dell’utente stesso, e poi mostra i risultati a quest’ultimo. Se gli utenti vogliono consentire a Reklaim di vendere tali dati per loro conto, ricevono assegni settimanali a titolo di compensazione per l’utilizzo dei dati, fino a un massimo di $ 10 al mese. Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato Neil Sweeney, molti dei dati che i consumatori vedono su se stessi sono imprecisi perché spesso sono il risultato di ipotesi fatte sul consumatore, senza che vi sia stata verifica diretta dell’esattezza degli stessi. Ponendo l’utente al centro, Reklaim aumenta di molto il valore dei dati raccolti, rendendoli ancor più coerenti con il modus vivendi e i gusti dell’utente.
L’esempio di Streamlytics
Anche Streamlytics ha pubblicato un’app, chiamata Clture, che paga gli utenti per i dati ottenuti da siti come Netflix, YouTube, Amazon, Uber e Google Maps. Gli utenti possono scaricare i propri dati da questi siti e caricarli su Clture per ottenere, in cambio, una somma in contanti (fino a poche centinaia di dollari al trimestre per gli utenti che massimizzano il servizio). Streamlytics, successivamente, elimina le informazioni di identificazione personale degli utenti e vende i dati ottenuti alle aziende che cercano informazioni maggiormente precise sulle abitudini dei consumatori. Streamlytics calcola il valore dei dati del singolo utente mediante un algoritmo che considera le prestazioni azionarie e la capitalizzazione di mercato dell’azienda da cui provengono i dati.
Alcune startup stanno utilizzando le leggi sulla privacy, che richiedono alle aziende di rendere disponibili ai consumatori tutti i dati che hanno su di loro, per far rientrare gli utenti nel pieno possesso degli stessi, ma si tratta di un processo che, allo stato degli atti, appare estremamente dispendioso – in termini di tempo – per l’utente stesso.
Conclusioni
Sebbene si assista ad un progressivo accentramento dell’utente nella raccolta e nell’elaborazione dei suoi dati, gli sforzi compiuti dalle società digitali appaiono, tuttavia, molto limitati. Anche gli importi corrisposti agli utenti, se comparati al valore dei dati raccolti, appaiono in qualche misura irrisori, ed ancora incapaci di porre il consumatore in una posizione di vero controllo dei propri dati.
Si tratta, ad ogni modo, di un settore fortemente in crescita, i cui sviluppi si vedranno senza dubbio nei prossimi anni, magari con l’avvento di nuove tecnologie che rivoluzionino il mercato digitale, così come è stato con la blockchain.