Sta per arrivare all’Italia una valanga di soldi sul capitale umano grazie al PNRR e il rischio è, nella migliore delle ipotesi, non riuscire nemmeno a spenderli, nella peggiore spenderli male e caricare i nostri figli di un peso del debito Paese insostenibile. È ora di stimolare la domanda di digitale e di servizi digitali, dopo che per anni è stata stimolata quasi esclusivamente l’offerta.
Per fare questo urge la formazione digitale di base per gli adulti italiani: la cosiddetta alfabetizzazione digitale, ovviamente estesa anche alla formazione continua per i lavoratori.
Sviluppo sostenibile e transizione digitale: il ruolo della Scuola
Perché investire in formazione
Queste le priorità Paese sul tema del capitale umano. Non basta aumentare le risorse, come sta avvenendo grazie al Pnrr, ma serve intervenire sull’intero comparto dell’istruzione, ovvero adeguare le strutture della formazione, a cominciare dalla loro organizzazione, le modalità dell’apprendimento, nonché la preparazione e la cultura stessa dei docenti (formare i formatori).
Poi va detto che da noi mancano le basse e medie qualifiche, con l’aggiunta del persistere di popolazione in età da lavoro senza appropriati titoli di studio. Un’emergenza che sottolinea la necessità di investimenti in formazione, con una attenzione particolare alla formazione continua. Ecco che strategica diventa la partita degli ITS se ben giocata, specie in sintonia con l’Università. Ma sappiamo bene che non basta la formazione, ma diventa strategica per il Paese un’azione funzionale alla formazione periodica e ricorrente dei lavoratori già occupati, che possa garantire un upskilling e un reskilling utili alla maggiore competitività delle Pmi.
PNRR e formazione, il contesto
Qualche utile dato: siamo a fondo classifica europea per il numero di quindicenni in possesso di competenze considerate indispensabili per un solido percorso di vita nel XXI secolo, oltre a una delle più basse incidenze di laureati e una delle più elevate quote di cittadini fra i 18 e i 24 anni privi di titolo di scuola secondaria superiore. Da qui il rapporto del CNEL – Consiglio nazionale economia e lavoro sottolinea la necessità di rafforzare e aggiornare il programma garanzia giovani anche alla luce delle indicazioni europee, di far funzionare i nuovi strumenti di politica attiva predisposti dal Pnrr e dalla legge di bilancio.
Purtroppo sono diffuse ed elevate, sottolinea il CNEL, “le forme di lavoro precario, come il part-time involontario e i contratti a termine. Qui i caratteri negativi non consistono solo nella quantità di lavori temporanei, ma nella loro spesso brevissima durata che impedisce ogni prospettiva di sviluppo.
PNRR, le sfide da affrontare
Ma c’è dell’altro. Con onestà intellettuale molti dirigenti e amministratori pubblici si stanno chiedendo come potranno mai spendere (e bene) tante risorse, se la performance registrata negli ultimi decenni, per somme minori, è stata poco brillante e a tratti disastrosa. La preoccupazione è ben fondata se si considera che ai circa 220 miliardi del Pnrr vanno sommate: le risorse dei fondi strutturali “tradizionali” ( ancora quote importanti della 2014-2020 e della nuova 2021-2027) e quelle del React Eu, per un totale potenziale che si aggira intorno ai 340 miliardi di euro da spendere entro il 2029, di cui circa 300 stimabili entro il 2026.
Sappiamo anche che nell’attuazione dei Fondi strutturali, il “sistema pubblico italiano” ha trovato nel tempo scappatoie e alchimie amministrative e finanziarie, come l’innalzamento del tasso di cofinanziamento nazionale per abbassare i target della quota comunitaria e le continue riprogrammazioni, con il ricorso ai Programmi complementari (Poc e Pac) che fanno da contenitore a risorse non spese e soprattutto meno monitorate. Dal 2016 a oggi, la pubblica amministrazione centrale e le Regioni coinvolte nell’attuazione dei Fondi strutturali 2014-2020 (Pon e Por), hanno consentito di realizzare interventi, con molta fatica, mediamente per non più di 5 miliardi l’anno. Nei prossimi 5 anni stiamo invece scommettendo su una capacità di spesa di circa 300 miliardi.
Qui nasce la prima grande sfida: come farà il sistema pubblico a creare le condizioni necessarie ad assicurare una spesa di circa 60 miliardi l’anno? Uno sforzo pari a oltre 10 volte la spesa raggiunta nell’ultimo quinquennio. Ce la faremo? Tutto dipenderà dalla politica, da Draghi garante in Europa, al Quirinale, a Palazzo Chigi o addirittura a casa? Ovvio che queste scelte peseranno molto, così come peserà come sarà attrezzata la Pa, in termini di organizzazione, processi, informatizzazione e competenze.
Il caso del bando per specialisti in supporto alla PA
Intanto, un esempio é rappresentato dal recente tentativo di reclutamento a bando delle prime risorse specialistiche di supporto alla Pa per il Pnrr, che non ha sortito gli effetti desiderati. A fronte di una richiesta di alte professionalità e competenze specialistiche avanzate, sono stati offerti inquadramenti e stipendi non proporzionati, non competitivi rispetto a competenze non facilmente rinvenibili sul mercato.
Conclusione
E infine non dimentichiamoci che il mercato del lavoro italiano soffre della mancanza di capitale umano con competenze Stem, fattore che si sta rilevando un collo di bottiglia per il rilancio dell’economia. Questo richiede un investimento di risorse da parte della Pa sulla formazione universitaria e specialistica (formare i formatori, ITS, upskilling, reskilling). Per questo, il percorso dovrebbe essere quello di avere più scuole specialistiche nella Pa per formare i profili tecnici. Un errore averle soppresse. Fondamentali le collaborazioni con Fondazioni, Accademy e ogni altro soggetto che sia a stretto contatto con l’impresa. Ma tutto questo non si realizza in un giorno; speriamo per il meglio.