Nel gennaio 2022 la tecnologia legata al cervello umano ha portato ad una svolta qualitativa: in Cina è stato brevettato un robot che “legge” le intenzioni umane con una precisione quasi del 100%, mentre Elon Musk sta studiando un chip da innestare nel cervello. Si tratterà di capire se queste tecnologie potranno avere ricadute anche sul settore giustizia e in particolare, sul tema delle testimonianze e delle confessioni.
Il robot cinese rilevatore di onde cerebrali
Il Chinese Journal of Mechanical Engineering ha pubblicato uno studio, recensito dal South China Morning Post, su un robot sviluppato dal Center for Smart Manufacturing Innovation Technology della China Three Gorges University. La funzione del robot è la lettura delle onde cerebrali e dei segnali muscolari degli operai per consentirne una decodificazione, finalizzata a velocizzare le operazioni di assemblaggio in fabbrica.
Il robot, praticamente, “capirebbe” le intenzioni dell’operaio e gli fornirebbe l’attrezzo richiesto in modo non espresso dalle onde cerebrali e dai segnali muscolari. Lo studio ha funzionato con precisione quasi totale in laboratorio, mentre ha risultati più imprecisi “sul campo”.
Il chip di Elon Musk
Secondo il Mit Technology Review la Neuralink di Elon Musk sta impostando tutto il necessario per installare un’interfaccia cerebrale ad alta larghezza di banda nel cervello umano. La finalità dichiarata sarebbe consentire a persone affette da gravi disabilità e paralisi di potersi interfacciare direttamente con vari device ed ottenere, in tal modo, una qualità della vita nettamente superiore a quella attuale. Nelle intenzioni del fondatore il chip potrebbe, addirittura, consentire alle persone paraplegiche di camminare nuovamente, tramite la connessione tra l’innesto e il sistema nervoso.
Oltre l’intenzione, c’è la “preoccupazione” che l’intelligenza artificiale possa superare quella umana: nulla quindi meglio di un’interazione efficace dei due sistemi. La Neuralink sta attendendo l’autorizzazione da parte della FDA (Food and Drug Administration), ma le tempistiche potrebbero non essere così lunghe.
La lettura della mente nel processo penale
Nell’ordinamento italiano l’utilizzo di strumenti come il poligrafo (la c.d. “macchina della verità”) è vietato dall’articolo 188 del Codice di procedura penale (Libertà morale della persona nell’assunzione della prova). A norma di Codice, infatti, “Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti” (articolo 188 Codice di procedura penale).
La ragione per cui il Codice di rito del 1988 ha previsto che non si possano utilizzare strumenti che “dicano” se una persona stia o meno mentendo nemmeno col consenso dell’interessato è essenziale, quanto controintuitiva. Se fosse possibile sottoporsi a simili test, tutto il processo si limiterebbe all’analisi dei risultati ottenuti; si dovrebbe quindi analizzare la modalità del test e la “taratura” dell’ipotetico macchinario.
Non solo: da facoltà di impiego a obbligo implicito sarebbe un attimo. In altri termini: chi non si volesse sottoporre ai test sarebbe, implicitamente, gravato da un pregiudizio di colpevolezza o di inattendibilità nella deposizione. Ancora oggi, infatti, in svariate pronunce giudiziali, l’avvalersi della facoltà di non rispondere viene considerata elemento a sfavore per l’indagato/imputato, nonostante per legge tale elemento debba rimanere neutro.
Lo scenario
Se le tecnologie di lettura delle onde cerebrali potessero entrare nelle aule di giustizia e fossero combinate a strumenti di valutazione tramite intelligenza artificiale il processo, per come lo conosciamo, con i suoi difetti e le sue garanzie, sarebbe letteralmente al tramonto. La questione più rilevante, infatti, non è tanto l’impiego – per quanto già problematico – delle singole tecnologie nel processo, quanto piuttosto la combinazione delle stesse.
Se l’impiego dell’AI nel processo penale è già di per sé problematica, e richiede una normativa di riferimento, attualmente in fieri, la lettura delle onde cerebrali deve rimanere assolutamente fuori dalle aule giudiziarie e anche dagli strumenti a disposizione delle Procure della Repubblica.
Queste ultime, infatti, hanno già dato piena dimostrazione di preferire, sul piano statistico, indagini rapide a indagini accurate: basti ricordare lo scandalo dei server utilizzati per le intercettazioni telefoniche e dei trojan hourses. Il tutto a tacere delle problematiche di data retention: chi conserverebbe i tracciati delle onde cerebrali? L’Unione europea, che ha già dato prova, fino ad ora, di voler bloccare l’impiego di tecnologie disumanizzati (vedasi la moratoria sul riconoscimento facciale) dovrà , presto fronteggiare anche questo – serissimo – problema.