intelligenza artificiale

Scuola, l’IA contro il “danno formativo”: così compensa la scomparsa di analisi logica e latino

La formazione scolastica e universitaria, oggi abbastanza disastrata, potrebbe ricevere un importante ausilio dall’intelligenza artificiale. Non una panacea, certo, ma un modo per iniziare un percorso alternativo. Ecco come

Pubblicato il 18 Feb 2022

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR - Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione

proctoring - educazione civica digitale - Borsa di studio Inps

In Italia, diversi osservatori di rilievo, attraverso libri, saggi, articoli ripetuti su quotidiani, tentano da qualche tempo – purtroppo, invece, con colpevole distrazione dei media televisivi nazionali, e questo è parte intrinseca del problema – di portare all’attenzione dei cittadini, con preoccupazione, il degrado progressivo della qualità della formazione dei giovani, a tutti i livelli, dai primi anni di Scuola fino ai dottorati conferiti dalle nostre Università.

Ma che c’entra con tutto ciò l’Intelligenza Artificiale, e tutte le tecnologie a essa connesse? La risposta è che essa potrebbe entrare a pieno titolo quale strumento per tentare almeno di invertire la tendenza alla discesa.

Perché Scuola e Università non sono più un ascensore sociale

Cominciamo con il ripercorrere le cause del degrado, che coinvolge nel tempo una molteplicità di attori, è frutto di un atteggiamento culturale superficiale che viene da lontano, più o meno da inizio anni ’60, (avvento della “Scuola media unica”) e si è materializzato attraverso una serie di decisioni politiche e corrispondenti comportamenti sulla Scuola e sull’Università, apparentemente tra loro separati e ispirati a motivazioni anche commendevoli volte all’inclusione (Don Milani in testa), ma che messe in fila sono giunte a recare un vero e proprio “danno scolastico”, come titola, per esempio, il libro di Paolo Mastracola e Luca Ricolfi, danno grave e di difficile riparazione.

Si tratta di una situazione nella quale, singole azioni con in apparenza una finalità valoriale positiva, una volta messe in fila, recano al contrario un risultato valoriale complessivo negativo, comunque di molto inferiore alla semplice sommatoria dei valori delle singole azioni intraprese (per esempio, Scuola media unica, schema 3+2 all’Università) e, quel che è peggio, fortemente lesivo proprio nei confronti di coloro che provengano da situazioni storico-culturali-ambientali disagiate per includere i quali furono invece concepite. In altre parole, la Scuola e l’Università che in passato hanno avuto un importante ruolo di “ascensore sociale” proprio a compensazione dei diversi stati di partenza delle persone, lo hanno perduto e questa perdita ricade principalmente sulle spalle di chi si trovi in condizioni di “povertà” (in senso lato) a tutto vantaggio dei giovani provenienti da contesti familiari con vantaggio già alla partenza.

La Scuola e, a cascata, l’Università, anziché operare per chiudere la forchetta sociale la hanno allargata e – ciò che è ancora più grave – non si intravede segno di inversione di tendenza di questo precipitare verso un progressivo baratro culturale che riveste risvolti sociali spesso inquietanti. Ciò è riconoscibile perfino in autorevoli politici che ormai riconoscono la Scuola come un hub sociale, una sorta di parcheggio apparentemente governato da un’ispirazione di inclusività, di presunta democraticità, ma nella realtà foriero di discriminazioni destinate a proiettarsi sul tempo lungo nella vita degli studenti e, alla fine, sul ruolo dell’Italia nel mondo.

Di chi è la responsabilità del degrado della Scuola

Quattro almeno sono le tipologie di attori ai quali spetta una quota di responsabilità:

  • i genitori,
  • i professori della Scuola e dell’Università (che non a caso ha come ragione sociale “Università degli Studi”: pochi lo ricordano!),
  • i politici
  • e, in qualche misura, le giovani generazioni stesse, incapaci di reagire alla situazione come sarebbe necessario, per cause diverse.

Quanto pesa la scomparsa dell’analisi logica e del latino

Ma che c’entra, dicevamo, l’Intelligenza Artificiale e le tecnologie a essa connesse col degrado della Scuola e dell’Università e in che modo essa potrebbe diventare strumento per tentare almeno di invertire la tendenza?

Al di là delle singole discipline, oggi è identificabile un nucleo comune come radice del problema posto all’inizio: a Scuola, in quella che sarebbe l’età giusta (tipicamente, prima media), lo studente non viene più aiutato a imparare (come scrive Nietzsche a proposito della funzione di un docente: egli non è chiamato a insegnare, ma ad aiutare a imparare i suoi studenti: lo disse per prima cosa nella sua prima lezione da professore) l’analisi logica, essenziale per la costruzione del pensiero, delle associazioni proprie fra concetti e linguaggio, per scrivere, per leggere e comprendere, per argomentare, per collegare informazioni memorizzate. L’analisi logica della lingua italiana è stata la base per tanto tempo per l’apprendimento del latino, la lingua della logica prevedibile (il greco antico è invece la lingua della logica imprevedibile e conoscerlo è un valore aggiunto del liceo classico), con la sua struttura e la sua consecutio temporum, essenziale per mettere insieme frasi in un periodo completo, chiaro e comunicabile.

La Scuola media di un tempo operava con questo metodo e il latino al liceo classico era il modo per creare nella persona un metodo per studiare, per acquisire ricchezza di pensiero che trovava completezza negli studi universitari. Analisi logica della lingua italiana e latino oggi non ci sono quasi più nella Scuola, e se ne avverte la mancanza, all’Università e nella società. Non si intende certo dire che occorra tornare alla Scuola di Casati e di Gentile: già Bertrand Russel notava decenni fa come tale impianto logico potesse essere sostituito da altro impianto, purché di qualità equivalente dal punto di vista formativo. Russel diceva, per esempio, che anziché insegnare matematica secondo l’approccio deduttivo, poteva benissimo essere impiegato il metodo induttivo, ma avvertiva nello stesso tempo come occorresse che qualcuno (docenti) se ne facesse carico e lo introducesse, cioè fosse stato egli stesso formato a farlo e ne fosse divenuto capace.

L’intelligenza artificiale una risposta al degrado della Scuola?

Il problema posto è sotto gli occhi di chiunque sia intellettualmente onesto. Bene, l’Intelligenza Artificiale, potrebbe essere uno strumento utile per formare docenti capaci di usarla proprio per aiutare a imparare ai giovani studenti l’analisi logica, a distinguere un complemento predicativo del soggetto da un complemento predicativo di modo: lo sa il professore di Scuola media o di Università “quadratico medio” dei nostri tempi? Pare ragionevole una risposta negativa a questo quesito. Eppure, la specie umana si distingue proprio dalle altre specie proprio per la sua capacità linguistica.

Le tecnologie che vanno sotto il nome di Intelligenza Artificiale, proprio a livello ontologico, potrebbero facilmente introiettare un sapere metodologico strutturato come quello dell’analisi logica sia per la lingua italiana, sia proponendo uno schema metodologico forse equivalente alla costruzione del pensiero offerto per secoli dalla lingua latina, essenziale per i giovani. Perché proprio questo fa l’Intelligenza Artificiale e lo fa bene, specialmente in contesti noti e proceduralizzati.

E l’analisi logica è certamente alla sua portata. Potrebbe davvero “svecchiare” la Scuola, non per moda ma perché andrebbe a cercare di lenire una gravissima ferita aperta della Scuola stessa a livello culturale, grazie anche a una maggiore sua attrattività tecnologica rispetto al classico metodo del libro di Vittorio Tantucci, punto di riferimento per l’apprendimento dell’analisi logica degli scolari di un tempo, probabilmente incomprensibile e non apprezzabile per la maggior parte dei professori e degli studenti di oggi.

Conclusioni

Certo l’Intelligenza Artificiale non può essere la panacea all’enorme problema sollevato, ma un modo per iniziare un percorso alternativo capace di intaccare il problema forse sì, ove usata con saggezza.

Occorre, però, la vigilanza proattiva di coloro che oggi scrivono sugli aspetti fondazionali dell’Intelligenza Artificiale (per esempio, per il PNRR). Essi sono chiamati a dire in chiaro cosa effettivamente l’Intelligenza Artificiale possa fare in modo efficace ed efficiente per aiutare l’Italia con costanti di tempo ragionevoli e là a orientare il grosso dell’impegno, piuttosto che dibattere fra loro o, peggio, proporre di orientare risorse verso ciò che l’Intelligenza Artificiale non può fare: la gestione dell’incerto, dell’imprevedibile, tentando impossibili paragoni con la complessità evolutiva dei sistemi nervosi del vivente, persona umana in testa, la sua capacità di reazione emotiva e istintiva che non conosciamo forse perché proprio inconoscibile. Sarebbe come se il sistema nervoso umano potesse comprendere sé stesso: tutto ciò pare proprio un problema mal posto che rischia invece di oscurare tutto ciò che di bene si può ottenere dalle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale: a partire dalla formazione dei giovani, oggi così disastrata.

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