l'analisi

Giornalismo e post-verità: effetti del digitale sulla qualità dell’informazione

Nell’era del giornalismo digitale, troppo spazio è stato lasciato ai professionisti della disinformazione. Gli effetti delle tecnologie digitali e dei social network sui processi dell’informazione nella società sono già in atto con molti risvolti problematici. I rischi del caos informativo

Pubblicato il 22 Feb 2022

Francesca Rizzuto

Docente di Sociologia del giornalismo dell’Università di Palermo

News

Nell’ecosistema mediale contemporaneo il tratto distintivo del giornalismo è un processo di “ibridazione sistemica”, in cui convergono non solo le recenti trasformazioni tecnologiche dei processi di newsmaking, ma anche le nuove modalità di interazione con i destinatari, che mettono in discussione alcune questioni fondanti della professione informativa, come il rapporto tra vero e falso o l’autorevolezza dei giornalisti.

Giornalismo digitale, così cambia il concetto di notizia

Nel recente convegno internazionale dal titolo “Giornalismo e Disinformazione”, svoltosi presso l’Università di Palermo (16 e 17 Dicembre 2021), numerosi studiosi e giornalisti hanno proposto ipotesi interpretative delle connessioni tra la logica del digitale e le criticità contemporanee del giornalismo, anche rispetto ai modelli interpretativi tradizionali, individuando i principali nodi teorici del dibattito sulla narrazione della realtà nel contesto della post-verità.

Pur senza tralasciare le differenti declinazioni nazionali dei news-system, è stato condiviso l’assunto di base che nella platform society (Van Dijck, Poell, de Waal, 2018) nuove logiche di produzione e fruizione delle notizie stanno ridefinendo non solo i news values tradizionali (Splendore 2017) ma anche i concetti stessi di autorialità e audience. L’emergere di forme narrative inedite, caratterizzate da una sostanziale opacità tra vero, falso e verosimile (Albright 2017; Maddalena, Gili 2017; Solito, Sorrentino 2019) impone, a nostro avviso, una riflessione riguardo alla qualità delle possibili influenze sui contenuti e sui formati dell’informazione, palesemente declinabili come “sfide” non solo per i professionisti del giornalismo ma anche per gli studiosi di discipline differenti, dalla sociologia del giornalismo, alla teoria politica o al diritto.

La pervasività dei social media nella ricerca delle news nell’esperienza quotidiana dell’onlife (Floridi 2017) e la significatività dei dati nelle pratiche di newsmaking (Antenore, Splendore 2017) hanno aperto nuove possibilità per l’accesso e per la diffusione delle notizie, dando, però, spazio a un mix problematico di contenuti fattuali e totalmente (o parzialmente) falsi o errati, creati con livelli diversi di intenzionalità (disinformation, misinformation, malinformation). Pur non essendo nuovo l’uso di notizie false a fini propagandistici, l’inquinamento contemporaneo dell’informazione presenta caratteri peculiari ed inediti: nell’ecosistema digitale, infatti, i newsmedia offrono una pioggia di risorse simboliche, utili per le pratiche di costruzione di senso, e creano ambienti di relazione nei quali i soggetti sono immersi in un regime plurimo, in cui molte “verità” convivono (Lorusso, 2018, 14), spesso senza gerarchie, e nel quale sono evidenti sia gli effetti disinibitori dell’interazione online sia marcate tendenze alla polarizzazione (Sorice 2020).

Il rischio di caos informativo

In altri termini, l’ampliamento delle possibilità di accedere al reale si traduce, spesso, in un vero e proprio caos informativo, dominato dalle strategie di disinformazione (Bracciale, Grisolia 2020) e dai processi di viralizzazione delle fake news con i loro rischiosi “effetti di realtà” (Ireton, Posetti 2018; Edson, Tandoc, Lim, Ling 2018) in grado di inquinare le dinamiche democratiche. Nella prospettiva proposta da Bentivegna e Boccia Artieri (2021) lo stato attuale di disordine informativo può essere letto, infatti, anche come uno dei fattori più problematici della crisi di legittimità delle istituzioni e di autorevolezza della comunicazione pubblica: in un contesto in cui le piattaforme sono diventate lo strumento privilegiato per la diffusione di contenuti informativi falsi o addirittura veicoli di campagne di disinformazione costruite e usate come armi politiche, è fondata la preoccupazione sui rischi di manipolazione mediale dei singoli e di “trasformazione tossica del dibattito pubblico che rischierebbe di inquinare la democrazia” (Bentivegna, Boccia Artieri, 2021, 97). La circolazione planetaria di fake news sta contribuendo ad avviare intorno a pseudo-fatti un confronto sempre più spesso caratterizzato da retoriche del consenso e dall’affermazione di posizioni categoriche a cui aderire “emozionalmente”, delineando i contorni di una vera e propria “trappola informativa”, nella quale i singoli diventano anche complici involontari di flussi disinformativi dal ritmo incessante (Riva 2018). Le news verosimili costituiscono, del resto, un serio e concreto pericolo anche per le dinamiche relazionali tra gli individui (Ciracì 2021) così come per la credibilità del giornalismo: accanto alla logica dell’emotainment (Santos, 2009), impegnato in un racconto eccessivamente drammatizzante ed iperbolico della realtà, al fine di attrarre ed emozionare più ampie fasce di audience (Zelizer, 2004), l’alluvione informativa odierna pregiudica la capacità di riconoscere informazioni vere nell’oceano di notizie on line, nel quale non di rado manca un serio controllo professionale sul contenuto. Le piattaforme, inoltre, limitano fortemente le possibilità di azione degli utenti, i quali non solo non decidono la logica del filtraggio delle informazioni, ma si rendono anche attori del contagio emotivo, condividendo notizie false, che innescano cortocircuiti in un contesto di totale assenza di trasparenza nel processo di ricerca delle news.

Le trasformazioni innescate da digitale sull’informazione

Comprendere le peculiarità delle trasformazioni che la rivoluzione digitale sta producendo sui confini, sugli attori e sui prodotti dell’informazione è un passo indispensabile perché i modelli teorici tradizionali si rivelano inadeguati per il contesto attuale: ad esempio, la concezione normativa dei newsmedia, intesi come arena e motore della sfera pubblica habermasiana (dal filosofo Jürgen Habermas, ndr), si fondava su una rigida separazione tra vero e falso, tra informazione e intrattenimento, che non esiste più. Più recentemente, nella prospettiva del citizen journalism, partecipare dal basso all’informazione era un segnale di maturazione della cittadinanza nei sistemi democratici, ma si fondava sull’assunto che il circuito comunicativo fosse popolato da “attori razionali e benintenzionati, orientati alla ricerca della verità e dell’autenticità” (Bentivegna, Boccia Artieri, op. cit., 116), oggi smentito da alcune dinamiche proprie della rete.

Nell’ambiente informativo contemporaneo, infatti, viene favorita la tendenza alla supremazia del proprio punto di vista: in questa ottica, le fake news contribuiscono ad attivare forme di “partecipazione oscura” (Quandt, 2018), che producono interventi malevoli, trolling, campagne di hate speech, a causa dei quali si crea un clima di tensione, che delegittima gli attori istituzionali, favorisce lo scontro, disprezza la realtà, anche quella dei fatti scientifici ridotti a opinioni alternative in argomentazioni pubbliche, nelle quali ogni punto di vista può avere spazio e consensi. Questo modello orientato alla legittimità di tutte le opinioni si impone sempre più anche nella logica editoriale dell’informazione: trasformando la realtà in una controversia, rispetto alla quale occorre elaborare scelte di posizionamento nel caos delle verità plurime, il giornalismo tende a dare spazio a tutte le versioni di una storia con il rischio di “dare visibilità a contro-narrazioni che sono false, ma che comunque competono in un agone, che finisce per essere più narrativo che informativo” (Bentivegna, Boccia Artieri, op.cit. 118).

Prima le emozioni, poi i fatti nel panorama contemporaneo delle news

Il panorama contemporaneo delle news vede, allora, la compresenza di tendenze derivanti da processi avviatisi già da qualche decennio (come la spettacolarizzazione delle notizie o la messa in discussione della tradizionale funzione di gatekeeping del giornalista, basata sui criteri di aderenza al reale e imparzialità) (Thussu 2007) e l’affermazione di nuove pratiche informative, coerenti con il contesto culturale della post-verità e legate alla pervasività dello smartphone (García-Orosa, López-García, Vázquez-Herrero 2020). Il modo in cui le notizie vengono prodotte e consumate nell’era digitale ha reso più opaco anche il confine tra producer e consumer, con la conseguenza che il linguaggio dell’informazione sta diventando sempre più multicanale, all’interno di una narrativa con testualità iper-frammentate, nelle quali la perfetta aderenza ai fatti, viene relegata in posizione secondaria rispetto alla dimensione emozionale e la verità diventa un ambito di scontro tra diverse visioni del mondo, presentate in narrazioni parcellizzate e incessantemente moltiplicate nelle dinamiche virali.

In tale prospettiva, la logica della post-verità, che riconosce a tutte le ricostruzioni individuali spazio e visibilità, si coniuga perfettamente con il predominio degli imperativi commerciali nelle news e con la loro spinta decisa verso eccessi intrattenitivi, emozionanti e spettacolari, che attingono al valore della narrazione tipico dello story model (Rizzuto 2019). Tuttavia, secondo Kormelink e Meijer (2015), proprio lo storytelling, che è solitamente ritenuto solo una strategia utile per attrarre audience per la sua potenziale capacità di coinvolgere emotivamente i fruitori, rappresenta un fattore cruciale di criticità per il giornalismo, in quanto mette l’accento sullo iato tra quello che la professione informativa è stata tradizionalmente (cioè racconto di fatti, basato su veridicità e obiettività) e il modo in cui questa logica è oggi minacciata dal coinvolgimento-partecipazione dei nuovi attori-autori dei messaggi informativi, e da pratiche interattive, grazie alle quali la notizia può essere smontata e rimontata per venire approfondita da molteplici punti di vista.

Il predominio della logica narrativa nel giornalismo digitale

In altri termini, proprio le tendenze alla narrazione estesa e alla multiautorialità, tipiche della transmedialità (McErlean 2018), ripropongono, pur con accenti diversi, la tradizionale tensione del giornalismo moderno tra le sue due esigenze contraddittorie: da un lato, la necessità di imparzialità e distacco del reporter, dall’altro la scelta di una narrazione iperbolica e incentrata sulle emozioni, intesa come strumento indispensabile sia per vendere copie che, in un’ottica opposta, per suscitare impegno e azione nei destinatari (Rizzuto 2018; Marinov 2020). Anche per Lorusso (2018) il predominio della logica narrativa, è evidente nel giornalismo dell’ecosistema digitale: in un contesto in cui si diffondono grumi concettuali in cui vero e falso convivono, il sistema granulare, tipico dell’informazione in rete, “racconta”, nella forma della plausibilità, del verosimile, verità plurime che diventano oggetto di storytelling (Groot Komerlink, Costera Meijer 2015): il gusto per la narrazione prevale ed ecco che “tutti i testi d’informazione sono intessuti da una logica narrativa: la notizia è sempre meno pensata come documento e sempre più come racconto. Alcune notizie false attecchiscono poiché si basano su un frame di riferimento culturale nel quale ci si riconosce collettivamente. Le narrazioni contemporanee dell’informazione puntano molto sulla proiezione individuale, sull’identificazione e sull’appassionamento “(Lorusso, op.cit., 111-116.)

Il potenziale collasso della funzione di gatekeeping da parte dei news professionals è, quindi, strettamente connesso alla fluidità contemporanea del confine tra vero e verosimile (Corner 2017; Riva 2018), a cui è riconducibile una nuova declinazione della compenetrazione tra logiche di intrattenimento e di partecipazione, che dando maggiore rilevanza alla componente emotiva, contribuisce alla perdita di credibilità degli attori tradizionali della mediazione informativa e della scienza, come fonti autorevoli e affidabili di verità (Quattrociocchi, Vicini 2016). Del resto, oltre alle false informazioni, diffuse involontariamente o intenzionalmente, l’infosfera è condizionata anche da vere e proprie lacune informative e da serbatoi di credenze: proprio in questi ultimi mesi, l’emergenza pandemica sta palesemente dimostrando come la divergenza tra diversi punti di vista può essere manipolata a favore di false costruzioni di realtà, nelle quali si fanno prevalere verità condizionate da interessi di parte. Al riguardo, anche Ciracì (2021) rileva che esiste il rischio concreto che certe informazioni vengano bloccate per difendere business e profitti: “l’ignoranza non è solo il vuoto che precede la conoscenza o la privazione che risulta da un’attenzione parziale. È anche – anzi e soprattutto – qualcosa che può essere costruito, realizzato socialmente costruito e attivo: ne sono un esempio la confusione prodotta quando interessi particolari bloccano l’accesso alle informazioni o addirittura creano disinformazione su di un tema di rilievo pubblico o globale” (Ciracì 2021, 59).

Il business delle fake news

Le fake news, quindi, possono essere ideologiche ma spesso diventano grandi macchine per accumulare denaro o consensi, in quanto, seguendo la logica di monetizzazione dell’attenzione, le piattaforme privilegiano i contenuti che fanno lievitare like e commenti. Nel 2021, coinvolgendo Facebook, le inchieste giornalistiche del Wall Street Journal hanno fornito un esempio eclatante dell’influenza che gli interessi economici hanno nella gestione, privata e aziendale, dei contenuti e delle interazioni delle piattaforme: una ex dirigente dell’azienda, Frances Haugen, in una intervista al programma 60 Minutes della CBS, ha denunciato alcune clamorose e gravi distorsioni nella gestione del colosso americano. Dalle sue rivelazioni è nata The Facebook Files, un’importante inchiesta del Wall Street Journal, basata quasi esclusivamente su documenti interni dell’azienda, trafugati e divulgati dalla stessa Haugen, che hanno denunciato la consapevolezza da parte della società degli effetti negativi di Instagram sugli adolescenti, la presenza di un algoritmo che premia i contenuti più divisivi così come l’esistenza di regole di moderazione meno severe per i vip, grazie ad un programma d’immunità (XCheck), che in passato ha lasciato impuniti i comportamenti discutibili di diverse celebrità.

Conclusioni

L’ascesa delle tecnologie digitali e dei social network così come i loro effetti sui processi dell’informazione nella società contemporanea non sono più una prospettiva riguardante il futuro del giornalismo: i fenomeni sono già in atto con tutti i risvolti problematici connessi agli entusiasmi tecnologici e alla diffusa assenza di regole nel far west della rete.

Troppo spazio è stato lasciato ai professionisti della disinformazione, agli haters, ai businessmen attenti solo ai loro profitti. Tuttavia, il dibattito scientifico lascia intravedere la possibilità di produrre un’informazione di qualità, che sia in grado di soddisfare i più elevati standard etici, intercettando i cambiamenti delle tecnologie e del mercato per intersecarli con i valori professionali.

Riteniamo, in altri termini, che l’allargamento del campo giornalistico possa essere vissuto non solo come pericolo ma anche come aumento delle possibilità rappresentative della realtà: più pubblico, più formati ma anche più fatti e più interpretazioni, vale a dire maggiore capacità di decentrare lo sguardo.

Bibliografia

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