salute e digitale

Realtà virtuale e metaverso per curare i disturbi dell’immagine corporea: le prospettive

I disturbi nella percezione della nostra immagine corporea possono contribuire all’insorgere di patologie come i disturbi alimentari o la depressione. Media e social hanno un ruolo sia nelle alterazioni del trattamento del corpo, sia nelle possibilità di curarle. Vediamo come, con la realtà virtuale e metaverso

Pubblicato il 24 Feb 2022

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT

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La realtà virtuale e il metaverso possono essere, per certi versi, un valido aiuto nella cura dei disturbi dell’immagine corporea. Dalle sperimentazioni su Second Life, all’ingresso di quest’ultimo nel metaverso, le prospettive di evoluzione del nostro modo di percepire noi stessi e l’immagine che abbiano del nostro corpo fanno ben sperare.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di percezione del corpo e quali sono gli effetti che su di essa hanno i media e, soprattutto, i social?

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Percezione del corpo, costruzione dell’identità e disturbi alimentari

La percezione che abbiamo del nostro corpo, parte fondamentale della costruzione della nostra identità, è influenzata da molti elementi contemporaneamente: i pensieri e le credenze relative al suo aspetto, la percezione della sua dimensione e della sua forma, la soddisfazione o insoddisfazione nei suoi confronti, le azioni compiute per intervenire nella sua modellazione. Questa percezione non sempre coincide con la realtà o, ancor più, con la percezione che del nostro corpo hanno gli altri. Eppure, è questa percezione e non un suo riscontro oggettivo, a condizionarci totalmente, portandoci talvolta a prendere delle decisioni sbagliate.

I disturbi nella percezione della nostra immagine corporea possono, infatti, contribuire all’insorgere di patologie come i disturbi alimentari (anoressia, bulimia, obesità) o la depressione. Malattie gravi, che colpiscono sempre più adolescenti, di età sempre minore, senza distinzione di genere e che, con la pandemia, hanno subito un aumento preoccupante (si stima che solo nella prima parte del semestre del 2020 ci sia stato un aumento, in Italia, del 30% di casi di anoressia nervosa).

I fattori che contribuiscono alla costruzione della percezione del corpo

Coloro che sono affetti da queste patologie manifestano una preoccupazione eccessiva per il proprio aspetto e adottano comportamenti ossessivi relativi al suo controllo, che vanno dal guardarsi insistentemente allo specchio, all’infliggersi una dieta fortemente restrittiva, alla decisione di isolarsi e evitare situazioni pubbliche. Tali patologie, avendo a che fare con il fenomeno percettivo, multisensoriale per definizione, sebbene apparentemente legate solo ad una distorsione della percezione visiva (mi vedo diverso/a da come sono), si manifestano invece attraverso alterazioni anche della percezione tattile, propriocettiva e interocettiva. In tutta la sua plurisensorialità. Alla costruzione della percezione del corpo contribuiscono, quindi diverse informazioni sensoriali, ognuna delle quali, se disturbata, può causare problematiche non sempre facilmente risolvibili.

Come le dimensioni percettive implicate, anche i fattori che influenzano l’immagine corporea sono i più disparati. Di alcuni si parla di più negli ultimi anni, come i media e soprattutto i social, su quanto abbiano contribuito alla diffusione di una idea poco sana di bellezza e quindi accelerato delle alterazioni nel trattamento del proprio corpo ma non sono i soli e non è possibile definire, se non di caso in caso, per quale percentuale contribuiscano, accanto ad altri, come la famiglia, i coetanei, la cultura, l’età, l’autostima, abitudini al fumo, alcol, e così via.

La nostra idea di bellezza pervertita da social e intelligenza artificiale: i rischi

Essendo un fenomeno che coinvolge il nostro stare al mondo in ogni sua dimensione, non è strano che, da quando le nuove tecnologie ci hanno offerto la possibilità di avere strumenti immersivi, si sia provato ad affrontarle utilizzandoli.

Gli avatar di Second life

I ricercatori del Medical Center dell’Università del Kansas, in collaborazione con altre università europee già nei primi anni del 2000 hanno iniziato ad esplorare la possibilità di usare Second Life – un ambiente tridimensionale, immersivo, dove le persone interagiscono come versioni avatar di sé stessi – per promuovere e mantenere, per esempio, la perdita di peso. I soggetti in sovrappeso, progettando un avatar con una fisicità per loro ideale, vedendo di riuscire ad avere un comportamento sano nei confronti dell’alimentazione nell’ambiente virtuale, hanno dimostrato di avere maggiori probabilità di successo nella vita reale.

Second life, per questo motivo, è stato oggetto di studio, negli anni scorsi, anche come strumento nel trattamento dei disturbi della immagine corporea (anoressia e bulimia), aiutando, la proiezione delle proprie emozioni sull’avatar, a invertire le percezioni errate dell’immagine corporea. Studi di ricerca in Italia, Messico e Spagna hanno dimostrato ormai diversi anni fa, che incorporare la realtà virtuale con la terapia cognitiva del comportamento può aiutare a migliorare l’immagine corporea dei pazienti.

Un avatar in Second Life è scientemente costruito dall’individuo e interagisce in un ambiente per molti versi vicino a quello reale. Gli avatar si muovono all’interno di isole che possono essere appositamente predisposte per agevolare determinati tipi di interazione, immergendosi nei quali, gli utenti possono intervenire e quindi mutare la propria percezione di sé stessi. Il principio funziona e mostra di dare alcuni frutti, ma nel 2003, l’anno in cui Second Life vede la luce, la tecnologia non permetteva di definire in modo avanzato la costruzione e l’interazione con le identità parallele, come invece succede oggi, circa 20 anni dopo, grazie allo sviluppo della realtà aumentata e la sua accessibilità.

Per questo, sebbene i principi siano gli stessi, riflettere sulla percezione che abbiano di noi proiettando le nostre sensazioni su un nostro alter ego, oggi, grazie ad un modo tutto nuovo di concepire la costruzione degli avatar, tutto potrebbe cambiare.

La ricerca su VR e disturbi dell’immagine corporea

Nel 2020 un team di ricercatori italiani, per esempio, ha già iniziato a sperimentare l’efficacia della realtà virtuale su casi di disturbo dell’immagine corporea, combinandola con l’illusione di embodiment, attraverso una stimolazione visuo-tattile sincronizzata. Attraverso l’interazione delle pazienti con 3 avatar disegnati per ognuna (uno vicino alla realtà, uno dimagrito ed uno ingrassato), in un ambiente virtuale del tutto controllato, i medici hanno provato ad indurre l’abitudine a una immagine del corpo sana. Con buoni risultati, sebbene ancora pioneristici. Stando a queste sperimentazioni, forse, dovrebbe allora anche farci ben sperare l’avvento del Metaverso.

Gli avatar del Metaverso

A pensarlo, è lo stesso fondatore di Second Life, Philip Rosedale che – notizia del 2022 – sarà consulente strategico per guidare l’ingresso di Second Life nel Metaverso. Rosendale sta esplorando la possibilità di aggiungere la tecnologia VR a Second Life, in modo da rendere la sua idea primaria di costruzione di un mondo parallelo in cui dare una seconda possibilità a tutti, in qualcosa di integrato alla vita quotidiana, cosa che propone il Metaverso. L’idea di avatar è molto evoluta e questo, di conseguenza, potrebbe far evolvere il nostro stesso modo di percepire noi stessi e l’immagine che abbiano del nostro corpo. E se i social e i media continuano ad avere un ruolo perturbante, nel minare le nostre sicurezze e nel consegnarci un ideale che mette in discussione il nostro posto nel mondo, queste nuove tecnologie immersive sembrano contrastarne gli effetti. Tutto è ancora molto di là da essere compreso. Ma io sento che possiamo essere ottimisti.

*Per approfondire: Vincelli, F., Riva, G. (2007). La realtà Virtuale come supporto alla psicoterapia cognitivo comportamentale, in Vincelli F., Riva G., e Molinari E. (Eds). La realtà virtuale in psicologia clinica. Nuovi percorsi di intervento nel disturbo di panico con agorafobia, pp. 67-92. Milano: McGrawHill.

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