Il piano strategico banda ultralarga del Governo è un Piano complesso, che per essere attuato interamente ha bisogno di una serie di decreti che inevitabilmente vincoleranno il cronoprogramma.
Non poteva essere altrimenti, in un piano che prevede l’impiego di sei miliardi pubblici e che mette in gioco una serie di misure dalla portata rivoluzionaria. La strategia governativa è infatti interessante non solo per i suoi obiettivi che mirano a superare il 50 per cento della popolazione coperta dal servizio a 100 mbps, ma anche per gli strumenti con cui ipotizza raggiungere il target comunitario.
Mi riferisco in particolare 1) alla sperimentazione di defiscalizzazione su scala nazionale degli interventi per la banda ultralarga 2) all’innalzamento dei limiti elettromagnetici e 3) al polo di attrazione degli investimenti. Per la defiscalizzazione, per come è concepita ora, gli operatori dovranno giocare a carte scoperte con il Governo, dichiarando le loro reali capacità di spesa, preferenze tecnologiche e delimitazioni territoriali.
Il vantaggio di poter sfruttare la defiscalizzazione anche per investimenti ridotti è una grande opportunità per gli operatori più piccoli, anche locali, che non riescono a partecipare ai bandi del “vecchio” piano banda ultralarga in corso, perché interessano aree troppo vaste: un intervento a tappeto in particolare, ma non solo, nell’Italia del Sud (regioni meno sviluppate e in transizione) che permette in due anni a quei territori non solo di superare drasticamente il nord del Paese, ma anche di allinearsi alle best practice europee.
La defiscalizzazione, invece, è uno strumento che si adatta alla capacità di spesa del singolo operatore, dando quindi la possibilità a tutti di esprimersi, con lo svantaggio, però, di accentuare la copertura del territorio a macchia di leopardo. Comuni, anche limitrofi, potranno essere oggetto di soluzioni di copertura con robustezza e prestazioni molto diverse e il pubblico avrà più difficoltà per equilibrare questa situazione, essendo negata la possibilità di intervenire due volte nello stesso territorio con incentivi pubblici di qualsiasi natura, se non garantendo un salto di qualità importante.
La soluzione in entrambi i piani – quello in corso e quello approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo scorso – sarebbe l’aggregazione, per esempio in un consorzio, degli operatori al fine di maturare una capacità di investimento tale da garantire un’infrastruttura capillare. Questo discorso vale sia nel caso in cui si riconfermi una sperimentazione aperta a tutto il territorio italiano, sia nel caso, invece, in cui si limiti a una porzione di territorio, dati i tempi (la sperimentazione vale solo per il 2015) e l’elevata variabilità della copertura pubblica necessaria.
Limitarla ai cluster A e B per l’upgrade a 100 Mbps sarebbe l’opzione tecnicamente forse più interessante, ma anche la più complessa sotto il profilo della compatibilità con gli aiuti di Stato.
Il secondo strumento, l’innalzamento dei limiti elettromagnetici, è un sogno che gli operatori mobili stanno perseguendo da anni con il supporto del Ministero dello sviluppo economico, ma senza mai riuscire a convincere il Ministero dell’Ambiente, il Parlamento e soprattutto le arpa regionali. Anche in questo caso, in nome di un mercato unico europeo, sarebbe fondamentale non auto discriminare gli operatori nazionali allineando i limiti a quelli degli altri Stati membri e del resto del mondo intero. La conseguenza sarebbe, senza alcuna incertezza, un rapido e drastico sviluppo della copertura mobile senza attingere a risorse pubbliche. Sarebbe il provvedimento più urgente e oggi, con la firma del Presidente del Consiglio al nuovo piano, potrebbe essere #lavoltabuona.
I primi due strumenti sono stati particolarmente apprezzati e sostenuti dal mercato nella consultazione pubblica, la forza dell’ultimo- il polo di attrazione dei fondi– è stato sottolineato meno, ma in realtà è proprio su questo strumento che dipende una rapida e coordinata attuazione di tutta la strategia.
Uno strumento capace di superare la mancanza di un programma operativo nazionale sull’agenda digitale, o in altre parole è grazie a questo fondo che possiamo superare la sommatoria di POR per farne un piano nazionale, centralizzandone per l’appunto la spesa, senza però ledere le autonomie regionali. Su modello del Piano Junker, questo fondo – che non per forza deve essere esclusivamente dedicato all’agenda digitale – non è un mero capitolo di spesa pubblica, bensì il luogo dove interesse pubblico e privato si incontrano per generare quell’effetto leva sulla scia del Piano del nuovo Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker.
Il polo di attrazione dei fondi, analogamente al Piano europeo, potrebbe gestire e promuovere, infatti, i finanziamenti per gli investimenti strategici, incrementando l’accesso alle risorse per tutte le imprese utilizzando in modo strategico e più efficiente le risorse strutturali di cui l’Italia dispone, migliorandone quindi la qualità della spesa. Il polo di attrazione dei fondi avrebbe, seguendo sempre la logica di Juncker applicata alla strategia nazionale, un compito molto complesso e articolato: quello di preparare e selezionare la riserva dei progetti, fornire assistenza tecnica a tutti i livelli e probabilmente potrebbe essere opportuno prevedere anche un coordinamento stretto con la società che tecnicamente attuerà la strategia governativa per la banda ultralarga, poiché ne vincolerebbe fortemente l’attuazione di ogni modello di intervento.