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Startup: mercato Usa alle stelle. Italia in ritardo, ma prova a recuperare il gap

La crescita del venture capital è una delle principali sfide da vincere per l’Italia. Al momento siamo fuori dalla top-ten dei principali paesi Ue per investimenti in startup, penalizzati dal numero esiguo di SGR specializzate e nella taglia media dei fondi che gestiscono. Cosa serve per recuperare

Pubblicato il 10 Mar 2022

Amedeo Giurazza

Founder e CEO Vertis, Componente del Consiglio Direttivo e Presidente della Commissione Venture Capital di AIFI

startup Foto di Gerd Altmann da Pixabay

La pandemia da Covid-19 ha generato degli enormi stravolgimenti nell’economia mondiale e ha spinto cittadini e imprese ad affidarsi sempre più alla tecnologia, generando delle grandi opportunità di crescita per le società, molto spesso startup, operative nell’AI (intelligenza artificiale), blockchain, cyber security, health tech e nei servizi di delivery ed eCommerce.

Venture capital in Italia: dal 2021 una nuova fase, ora è il momento della maturazione

Nuovi record nella raccolta di capitali e nelle exit delle startup USA

Questo contesto macroeconomico negli Stati Uniti ha generato una vera e propria “euforia da startup”. Nel 2021, secondo la società di analisi finanziarie PitchBook, le startup statunitensi hanno raccolto 330 miliardi di dollari, il doppio del record del 2020, mentre il valore delle exit (trade sale o IPO) è arrivato a 774 miliardi, quasi il triplo del valore dell’anno precedente. Inoltre, nei giorni scorsi, si è raggiunta la cifra di ben 1.000 unicorni (aziende innovative e tecnologiche valutate più di 1 miliardo di dollari) che, complessivamente, valgono quasi 3,3 trilioni.

Inoltre, gli investitori americani hanno registrato un forte incremento delle loro attività di fundraising. Andreessen Horowitz ha raccolto 9 miliardi di dollari per nuovi fondi, mentre Khosla Ventures e Kleiner Perkins, altre due società di venture capital, hanno raccolto quasi 2 miliardi ciascuna.

Il New York Times, in un recente articolo si è interessato al tema evidenziando che l’ecosistema delle startup americane risulta in fortissima espansione, con lo sviluppo di startup di alto valore e ricche di liquidità che scalano il mercato rapidissimamente. Il quotidiano newyorkese ha riportato anche alcuni aspetti controversi, sottolineando che con l’aumento dei tassi d’interesse, previsto nel secondo semestre dell’anno, e l’incertezza generata sulla variante Omicron del coronavirus, che ha sgonfiato i prezzi delle azioni tecnologiche, la febbre da startup potrebbe trasformarsi ben presto in una bolla.

L’Italia fuori dalla top ten dei principali Paesi Ue per investimenti in startup

In Europa la situazione è totalmente differente, gli investimenti in startup hanno volumi decisamente ridotti rispetto a quelli statunitensi. Nel 2021, secondo PitchBook, gli investimenti in startup in UK sono stati pari a 29,3 miliardi di euro, in Germania 16,5 miliardi, in Francia 9,9 miliardi, in Svezia 6,6 miliardi, in Olanda 5,7 miliardi e in Spagna 3,2 miliardi. L’Italia è fuori dalla top ten europea con circa 1 miliardo investito.

Un altro parametro da analizzare è quello relativo alla quantità di unicorni che, come già detto, negli USA oggi hanno superato la soglia numerica di 1.000. In Italia ne esiste ad oggi solo uno, tuttavia nel nostro Paese ci sono molti “minicorni” in fase di crescita che hanno il potenziale per diventare presto unicorni. Nell’ultimo decennio, alcuni founder italiani si sono trasferiti nel Regno Unito o negli USA per sviluppare le proprie aziende che sono poi diventati unicorni, come Kong, TrueLayer e Depop.

In Italia poche SGR specializzate e fondi di taglia troppo piccola

Il mercato italiano del venture capital, purtroppo, soffre di un forte ritardo rispetto agli altri principali Paesi europei, evidenziato principalmente dai volumi di investimento ancora limitati. Eppure, i dati dicono che nel 2021 in Italia si è investito nelle startup complessivamente 1 miliardo di euro, che è comunque quasi il doppio del 2020 e il triplo del 2019.

Tuttavia, l’industria del venture capital in Italia vanta eccellenze e track record in linea con la media europea, ma è piccola nel numero delle SGR specializzate e nella taglia media dei fondi che gestiscono. Per adeguarla alla dimensione relativa della nostra economia rispetto ai leader d’Europa, è fondamentale l’aumento del numero degli operatori e il rafforzamento dimensionale di quelli già attivi, generando così una moltiplicazione di operazioni di investimento nelle startup tecnologiche e innovative e contribuendo alla creazione della nuova classe imprenditoriale del Paese, delle aziende del futuro e di nuova occupazione qualificata.

Oltralpe investimenti otto volte superiori, grazie alla CDP francese

In Francia, Macron ha da poco annunciato il 25° unicorno francese, raggiungendo con tre anni d’anticipo gli obiettivi prefissati dal piano di trasformazione della Francia in una “startup nation”. L’ecosistema del venture capital francese, nel 2012, era comparabile a quello italiano con investimenti complessivi di circa 200 milioni di euro. La crescita registrata in un decennio è dovuta principalmente all’intervento di matrice pubblica, in particolare dall’attività svolta da Bpifrance (Banque Publique d’Investissement), controllata dalla Caisse des Dèpôts et Consignations (la CDP francese) e da EPIC BPI-Groupe, altro ente governativo transalpino. Bpifrance, con una dotazione inziale di €1,6 miliardi ha avuto la capacità di dare impulso all’intero mondo del venture capital francese e di attrarre gli investimenti di importanti operatori internazionali. La Bpifrance, nel corso di questi 10 anni, ha continuato nella sua azione propulsiva sostenendo le startup francesi con consistenti iniezioni di liquidità nel mercato attraverso investimenti in forma diretta, attraverso fondi di fondi e con possibilità di accesso a garanzie pubbliche e sgravi fiscali.

Il “modello francese” arriva in Italia

In questi ultimi tre anni sono state poste le basi per cercare di recuperare il gap maturato, in particolare grazie all’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, per il tramite della sua controllata CDP Venture Capital, che grazie ai fondi stanziati dal Governo, sulla falsariga di Bpifrance, ha incrementato sensibilmente il volume degli investimenti in startup sia in forma diretta, sia in forma indiretta attraverso fondi di fondi.

Per colmare il ritardo accumulato, sarà necessario che il recente sforzo pubblico di destinare oltre 2,5 miliardi di euro al venture capital italiano sia seguito da altri investitori qualificati di lungo termine, come i Fondi Pensione, le Casse Previdenziali e le Compagnie di Assicurazione, destinando in via continuativa maggiori risorse all’asset class.

La crescita del venture capital è una delle principali sfide da vincere per l’Italia, in quanto rappresenta la principale leva di sviluppo tecnologico che crea le basi per l’attrazione nel mercato domestico di ingenti capitali internazionali.

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