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L’isolamento tecnologico della Russia è un errore strategico? Pro e contro

Sfruttando la sospensione dei servizi digitali a vantaggio della propria narrazione, la Russia potrebbe raggiungere, in una prospettiva di isolamento autarchico, la supremazia tecnologica, economica e industriale come finale epilogo della “Runet”. Ecco perché la strategia Big Tech potrebbe essere un boomerang

Pubblicato il 07 Mar 2022

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

Economia russa: ecco l'effetto delle sanzioni

Di fronte a uno scenario sempre più complesso e dagli incerti esiti evolutivi, il tentativo di isolamento tecnologico della Russia – auspicato “in primis” dall’Ucraina, che avrebbe chiesto all’Icann di revocare anche in via permanente i domini russi assegnati al Dns primario – potrebbe rivelarsi nel lungo termine non solo vano, ma persino un rilevante errore strategico anche decisivo per la definitiva conquista del dominio digitale a livello globale.

La decisione di molte Big Tech di sospendere i servizi in Russia, potrebbe dunque trasformarsi in un boomerang?

Guerra in Ucraina, Big tech Usa in prima fila nel conflitto ibrido: strategie e incognite

Esaminiamo la questione partendo da un approfondimento a cura del MIT – Technology Review. Secondo questo articolo, gli attivisti stanno massivamente ricorrendo online all’uso di annunci mirati, anche mediante notifiche push, con l’intento di diffondere ai russi notizie reali su cosa sta realmente accadendo durante l’invasione in Ucraina. Una strategia volta a superare il sistema di censura predisposto dal Cremlino come strumento di controllo delle informazioni sul conflitto, a seguito della chiusura di emittenti nazionali indipendenti e alla sospensione dei servizi giornalistici resi dalla stampa internazionale.

Recensioni e pubblicità mirate per una strategia comunicativa antiregime

In particolare, sta proliferando un crescente numero di recensioni, pubblicate sia sul motore di ricerca Yandex (come piattaforma alternativa utilizzata dalla generalità degli utenti di lingua russa), sia sul browser web “occidentale” di Google, per colmare il deficit informativo esistente, nell’ottica di veicolare in tempo reale gli aggiornamenti sugli sviluppi del conflitto resi disponibili ai lettori russi da fonti indipendenti sponsorizzate mediante annunci mirati.

Come riporta l’articolo citato, in realtà si tratta di una strategia non del tutto nuova, poiché già testata per la prima volta nel 2014 quando, in occasione dell’invasione della Crimea da parte della Russia, è stato sperimentato il peculiare sistema del targeting geolocalizzato per località al fine di inviare, secondo specifici parametri demografici offerti dal servizio di advertising online, annunci “ad hoc” alle persone coinvolte ivi residenti, mostrando loro le notizie sull’invasione russa.

Sfruttando quindi le potenzialità delle campagne di pubblicità online a tal fine realizzate – di recente peraltro anche al vaglio dell’autorità di regolamentazione statale russa dei media (“Roskomnadzor”) – risultano in esecuzione su Facebook e Instagram più di 1.300 annunci che menzionano la parola chiave “Ucraina” rivolti agli utenti con sede in Russia, mentre altri 1.100 annunci sono stati elaborati utilizzando la parola chiave “Украина” corrispondente alla versione cirillica di “Ucraina”.

Gran parte di tali contenuti incentivano peraltro la pubblicazione di video emotivi ove sono ripresi soldati russi catturati che chiamano in lacrime i loro genitori per rivelare le reali dinamiche della guerra, fungendo da strumenti di catalizzazione mediatica volta a sensibilizzare l’opinione pubblica russa per cercare di stimolare una presa di posizione della società civile ostile alle scelte belliche aggressive attuate dal Cremlino.

Proprio per tale ragione, il governo russo, in un clima di crescente escalation da vera e propria “cyberwar”, ha iniziato a bloccare alcuni siti di notizie e social network, come reazione alle sanzioni imposte dal blocco atlantista-occidentale che ha limitato l’accesso alle agenzie giornalistiche ritenute “vicine” al Cremlino, per cercare di contenere gli effetti incontrollati della dilagante propaganda di Mosca sulla guerra e, per ultimo, isolare la Russia entro i propri confini.

Ciò nonostante, anche grazie al supporto di società private e organizzazioni internazionali, la raccolta di ingenti somme di denaro, mediante il crescente incremento di donazioni e sponsor, sembra stia intensificando la strategia comunicativa “antiregime” associata allo sfruttamento delle campagne pubblicitarie, al punto che l’articolo del MIT stima il superamento della soglia di 10 milioni di euro come complessivo budget utilizzato soltanto nell’ultima settimana per la sponsorizzazione di annunci online mirati ad accentuare il livello di dissenso interno come auspicabile fattore di destabilizzazione del governo russo.

Gli influencer diventano reporter di guerra

Lo “scacchiere” bellico non registra quindi soltanto le consuete manovre militari di posizionamento delle truppe armate nello scontro diretto tra gli opposti eserciti schierati: scendono in campo anche gli influencer come possibile arma in più per manifestare esplicitamente la propria contrarietà alla guerra, oppure per solidarizzare apertamente con la causa ucraina, mediante la condivisione di foto recanti la bandiera ucraina. Circolano inoltre video di ostilità alla guerra voluta da Putin, descrivendo nei dettagli le proteste organizzate dalle persone “normali” che vivono in Russia, pur correndo il rischio di possibili arresti per aver contestato la linea governativa o per aver partecipato alle manifestazioni promosse in strada.

Talvolta, peraltro, ben oltre la promozione di messaggi pacifistici volti ad auspicare l’immediata cessazione delle ostilità in atto, le “Star” del web assumono anche la veste di inediti reporter di frontiera in grado di documentare in tempo reale gli attacchi militari mediante la pubblicazione di filmati di missili, integrati dalla condivisione di consigli su come trovare aiuto e dove nascondersi, nonché su come preparare molotov.

Milioni di persone stanno quindi utilizzando prevalentemente i social media per pubblicare aggiornamenti 24 ore su 24 sull’invasione bellica dell’Ucraina, per cercare di rendere vulnerabile la resistenza tecnologica degli apparati russi nella sofisticata configurazione di un centralizzato “Great Firewall” autonomo e indipendente dalla Rete globale. Risulta perciò ancora più critica, problematica e insidiosa, come paradosso della vicenda che potrebbe anche costituire un clamoroso effetto “boomerang”, la necessità di distinguere dalla notevole mole di informazioni diffuse l’inevitabile flusso di disinformazione intenzionalmente pubblicato per finalità artatamente propagandistiche, con l’obiettivo ingannevole di “inquinare” la pertinenza e veridicità dei contenuti che circolano in Rete.

Tutte le big tech che hanno sospeso i loro servizi in Russua

Di fronte a tali implicazioni, ad esempio, Google, dopo aver già sospeso gli account di advertising collegati ai contenuti prodotti dai media statali russi, ha bloccato integralmente, con un approccio decisamente cauto, tutta la pubblicità in Russia, non solo per non incorrere in addebiti di responsabilità formalizzati dall’autorità russa Roskomnadzor a causa di ritenute false informazioni diffuse sul conflitto, ma presumibilmente per evitare di compromettere definitivamente la propria permanenza nel territorio russo, anche in ragione delle inevitabili ripercussioni disposte dal governo russo nei confronti dei singoli dipendenti dell’azienda californiana, rei di violare le regole del Paese.

Le piattaforme social dovrebbero pertanto costantemente monitorare le informazioni condivise, con il risultato – ancora una volta – di delegare ai colossi del web compiti e responsabilità che, sebbene estranei alla propria natura di imprese commerciali, sarebbero sostanzialmente percepiti come decisivi nell’evoluzione del conflitto, fungendo da veri e propri apparati di intelligence da coinvolgere nel conflitto rispetto alle azioni intraprese dagli Stati.

Si pone il problema di valutare se i social media siano tenuti a sospendere tempestivamente gli account responsabili di diffondere contenuti falsi e manipolatori e di bloccare contestualmente “in toto” l’attivazione di annunci pubblicitari riferibili ai mass media statali russi per evitare in radice il pericolo di disinformazione e fermare la pubblicazione di fake news.

Senza nessuna pretesa di esaustività e, in via meramente esemplificativa, tra le aziende che hanno interrotto i propri servizi in Russia, Apple ha smesso di vendere i suoi prodotti, bloccando le relative transazioni online, inclusa Apple Pay, oltre ad aver disabilitato alcune funzionalità di Apple Maps in Ucraina per proteggere i civili, così come Microsoft. Google ha bloccato anche alcune funzionalità di Google Maps. Snapchat, così come Intel, ha interrotto tutte le vendite di annunci a organizzazioni russe e bielorusse, sebbene la sua app rimanga attiva in tutta la regione come strumento di comunicazione. Airbnb ha sospeso tutte le operazioni in Russia e Bielorussia, impegnandosi ad offrire alloggi temporanei gratuiti a 100.000 rifugiati ucraini. Disney ha interrotto tutte le uscite cinematografiche in Russia, mentre Electronic Arts ha smesso di vendere i suoi prodotti in Russia e Bielorussia, rimuovendo le squadre nazionali russe da tutte le versioni dei videogiochi di calcio e hockey.

Invero, fino a che punto sarebbe ipotizzabile e giustificabile l’eventuale irrogazione di sanzioni o ritorsioni varie come effetto deterrente a carico delle aziende occidentali laddove tali imprese, senza ottemperare ai divieti prescritti, decidano di non interrompere la fornitura dei propri servizi nei confronti dell’utenza russa?

L’isolamento tecnologico è un errore strategico?

Avallare il massivo abbandono delle principali aziende tecnologiche dalla Russia, al pari dell’addio annunciato dalle più note realtà imprenditoriali operanti nei settori dell’energia, della finanza, dei dispositivi mobili e della generalità dei beni di consumo offerti nel mercato digitale, potrebbe indurre a ritenere che anche le “Big Tech” abbiano l’intenzione, almeno dal punto di vista dell’establishment russo, di schierarsi apertamente nell’agone politico come “braccio armato” dell’Occidente.

Cosa ancor più grave, in una crescente escalation di tensioni a livello globale, come inevitabile conseguenza della “balcanizzazione” di Internet, si potrebbe rafforzare – e persino definitivamente consacrare su scala planetaria – la visione “statalista” a trazione russa, fondata sul potere centralizzato nel controllo dell’infrastruttura tecnica di Internet, per perseguire la prioritaria tutale della sicurezza nazionale.

Conclusioni

Con il passare del tempo, dimostrando la capacità di resistere al “fuoco incrociato” derivante dalle ingenti generali sanzioni subite, la Russia potrebbe anche raggiungere, in una prospettiva di stabile isolamento autarchico, la supremazia tecnologica, economica ed industriale anche mediante forme di “autoritarismo digitale” come definitivo epilogo di affermazione della cd. “Runet” consequenziale alla creazione della Rete Internet cd. “Splinternet” tecnologicamente difforme dall’originaria architettura distribuita e interoperabile della Rete, mediante il perfezionamento di una gestione centralizzata del cyberspazio sempre più autonomo, indipendente e scollegato dal resto del mondo, in grado di fronteggiare anche possibili disconnessioni dalla Rete globale in caso di minacce esterne a presidio dei propri interessi nazionali vitali.

Dal recente raggiungimento della stabilità globale successiva alle drammatiche vicende storiche che hanno caratterizzato le grandi guerre del Novecento, è stato possibile – tutto sommato – assicurare un prolungato periodo di pace e prosperità a livello mondiale grazie alla definizione di duraturi equilibri geopolitici basati su efficaci meccanismi istituzionali di reciproca interdipendenza tra gli Stati. In un contesto di proficua cooperazione multilaterale, si è giunti, infatti, alla formulazione di valori comuni inderogabili in grado di delimitare, attraverso un articolato e sofisticato processo di “check and balance”, pur nel rispetto delle diversità culturali, il rischio di qualsivoglia deriva nazionalistica autoritaria dei pubblici poteri contraria agli obiettivi generali di solidarietà sociale e di uguaglianza fissati convenzionalmente in sede internazionale, nell’ottica di garantire la tenuta degli standard democratici universalmente vigenti a presidio delle libertà fondamentali degli individui riconosciuti con l’avvento dello Stato di diritto.

Agire oggi in controtendenza a tale tradizionale approccio, mediante una pervasiva azione di accerchiamento concertata dal blocco “Occidentale” – sia pure inevitabile a fronte della cruenta aggressione russa – con l’intento di isolare la Russia soprattutto sul piano tecnologico, economico e commerciale, potrebbe a lungo anche paradossalmente rafforzare Putin, come prova di resistenza alle sanzioni subite, a fronte della capacità di mantenere, malgrado tutto, il controllo del proprio potere interno sia pure in condizioni precarie senza però subire un irreversibile tracollo politico.

Inoltre, come ulteriore imprevedibile effetto domino, potrebbe emergere, in tale contesto di crescenti tensioni, anche un inedito regime “tecnocratico” autosufficiente perfettamente rodato e, quindi, del tutto autonomo e indipendente dal resto del mondo, fungendo da ispirazione, con intenti emulativi, per altri Stati pronti ad assumere le sembianze russe sino a destabilizzare definitivamente l’attuale equilibrio geopolitico esistente a livello planetario, fondato sul primato della civiltà occidentale, destinata quindi a collassare definitivamente.

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