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Dichiarazione UE sui diritti digitali: perché è soft, tardiva e inefficace

La proposta di dichiarazione UE sui diritti digitali avanzata dalla Commissione Europea è un documento programmatico di principio, non vincolante e che non incide sulle strategie attuative. Cosa contiene, il precedente italiano, perché sarebbe più funzionale una modifica del Trattato sull’Unione Europea

Pubblicato il 23 Mar 2022

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

dichiarazione UE diritti digitali

Dichiarazione UE sui diritti digitali, o “Declaration on European Digital Rights and Principles”: all’inizio di quest’anno è arrivata la prima proposta ufficiale della Commissione Europea rivolta al Parlamento e al Consiglio Europeo, dopo una prima fase di consultazione pubblica avviata nel 2021.

Una Dichiarazione non vincolante di diritti e principi per stimolare il processo di trasformazione digitale nell’UE e delineare, come linee guida di riferimento, gli orientamenti “politici” europei applicabili al settore tecnologico.

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Il precedente italiano: la Dichiarazione dei Diritti in Internet

Pur auspicandone una maggiore fortuna applicativa, l’iniziativa europea sembra evocare, non solo sul piano terminologico ma anche sistematico, la Dichiarazione dei Diritti in Internet”, adottata in Italia il 28 luglio 2015 dalla “Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet”.

Una dichiarazione nata “per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale”, e composta da un preambolo seguito da 14 articoli:

  • art. 1 – Riconoscimento e garanzia dei diritti;
  • art. 2 – Diritto di accesso;
  • art. 3 – Diritto alla conoscenza e all’educazione in rete;
  • art 4 – Neutralità della rete;
  • art. 5 – Tutela dei dati personali;
  • art. 6 – Diritto all’autodeterminazione informativa;
  • art. 7 – Diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici;
  • art. 8 – Trattamenti automatizzati;
  • art. 9 – Diritto all’identità;
  • art. 10 – Protezione dell’anonimato;
  • art. 11 – Diritto all’oblio;
  • art. 12 – Diritti e garanzia delle persone sulle piattaforme;
  • art. 13 – Sicurezza in rete;
  • art. 14 – Governo della rete.

La Carta italiana dei Diritti di Internet, ispirata al corrispondente modello brasiliano “Marco Civil Law of the Internet”, è stata presentata da subito come testo all’avanguardia.

Infatti, il suo valore innovativo nel riconoscere le implicazioni giuridiche della Rete è stato rilevante, anche se solo simbolico perché privo di efficacia cogente.

L’approvazione unanime della mozione parlamentare impegnava il Governo italiano “ad attivare ogni utile iniziativa per la promozione e l’adozione a livello nazionale, europeo e internazionale dei princìpi contenuti nella Dichiarazione”. Tuttavia, la Carta è stata presto “dimenticata”.

Anche il Preambolo della Carta nostrana, così come l’attuale contenuto della Dichiarazione UE sui diritti digitali, sottolineava che “Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni […] e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza”.

Qualificava quindi la Rete “come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale”.

Cosa contiene la dichiarazione UE sui diritti digitali

La base giuridica della Dichiarazione UE dei diritti digitali è individuabile, come paradigma applicativo riconducibile al pilastro dei diritti sociali  nell’ambito delle fonti primarie, all’interno dei Trattati istitutivi UE, nonché nella Carta dei diritti fondamentali e tra i principi generali elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

La Corte è infatti l’istituzione preposta al rafforzamento degli standard di tutela vigenti grazie alla sua attività interpretativa, a presidio dei diritti fondamentali delle persone.

La Dichiarazione UE ha la forma di un vero e proprio manifesto programmatico che descrive i tratti principali della visione politica europea: un impegno ambizioso a promuovere, anche su scala globale, l’affermazione di un ambiente virtuale sicuro, equo e accessibile.

Un ambiente in cui gli utenti, grazie alla disponibilità di una connettività veloce e al possesso di competenze adeguate, siano in grado di esercitare i propri diritti al riparo da insidie e pericoli configurabili online e suscettibili di pregiudicare la sfera individuale delle persone.

La pandemia da Covid-19 ha provocato una rapida accelerazione della trasformazione digitale, che ha a propria volta accentuato il profondo “gap” esistente tra aree urbane tecnologicamente sviluppate e aree remote in endemico ritardo, a causa di un preoccupante ritardo digitale diffuso a “macchia di leopardo” da cui discendono gravi forme di discriminazione, povertà ed esclusione.

La Commissione europea ne ha preso atto e ha quindi formalizzato, all’interno della Dichiarazione UE, l’impegno a realizzare un ambiente digitale accessibile, interoperabile e sicuro per le persone.

Persone che devono essere messe in condizioni di poter fruire di servizi Internet veloci e affidabili e di acquisire competenze digitali adeguate: condizioni decisive per favorire la coesione sociale nel processo di innovazione digitale a beneficio di tutti.

Per questo, sono stati identificati come criticità una serie di rischi diffusi che giustificano un’attenzione politica delle istituzioni europee a presidio dei valori democratici di legalità, sicurezza e tutela individuale, per evitare la proliferazione di contenuti illeciti e dannosi.

Ne sono esempi la criminalità informatica, la sorveglianza di massa e i pregiudizi algoritmici, considerati fenomeni capaci di determinare effetti destabilizzanti per la collettività.

La Commissione europea ha definito quindi un’enunciazione di principi come catalogo di raccomandazioni “soft” rivolte ai cittadini, alle imprese, alle pubbliche amministrativi e ai decisori politici coinvolti nel processo di costruzione dell’ecosistema digitale.

In attesa del successivo perfezionamento del suo contenuto, sottoposto ai vari passaggi procedurali richiesti dal relativo iter istituzionale, allo stato attuale la bozza della Dichiarazione enuncia, come punti chiave dell’evoluzione digitale, la rilevanza cognitiva e infrastrutturale del divario digitale, destinato a diventare una delle priorità strategiche operative dell’agenda politica UE.

Da questa rilevanza discende la necessità di garantire la tutela degli utenti della Rete, nel rispetto dei canoni di solidarietà e inclusione, auspicando un incremento del livello di partecipazione delle persone nello spazio pubblico digitale in condizioni di sicurezza come requisito indispensabile per assicurare lo sviluppo sostenibile dell’ecosistema di Internet.

Dichiarazione UE sui diritti digitali: come si inserisce nella strategia al 2030

La Dichiarazione UE sui diritti digitali, elaborata sulla falsariga di precedenti analoghe iniziative (ad esempio: Tallinn Declaration on eGovernment, Berlin Declaration on Digital Society and Value-based Digital Government, e Lisbon Declaration – Digital Democracy with a Purpose), costituisce un’implementazione del modello di governance digitale che la Commissione europea ha configurato con la pubblicazione della “Bussola digitale 2030: la via europea per il decennio digitale”.

La Bussola è stata predisposta in combinato con il “Percorso verso il decennio digitale”, in cui sono descritte le ambizioni operative della strategia europea entro al 2030, in cooperazione sinergica tra gli Stati membri.

Obiettivi: la promozione della cultura digitale, lo sviluppo delle infrastrutture ICT, la crescita dell’economia innovativa e il miglioramento dei servizi pubblici.

Quest’ultimo non può non rispondere agli scenari descritti e monitorati dal Digital Economy and Society Index (DESI), da cui discende la necessità di stimolare, in una prospettiva a medio-lungo termine, un processo rapido e flessibile di trasformazione digitale per realizzare la sovranità tecnologica dell’Unione europea consona ad una leadership globale.

Un processo da realizzare anche attraverso la costituzione del cd. “European Digital Infrastructure Consortium” (EDIC).

Conclusioni

In questo momento storico, il legislatore europeo sta intensificando il proprio intervento regolatorio in materia di innovazione digitale, per cercare di affermare il proprio ruolo di “superpotenza normativa” nella configurazione del futuro ecosistema digitale, in un modello alternativo sia al modello autoritario cinese sia al modello flessibile statunitense.

Il legislatore sta facendo leva sull’efficacia cogente di un solido e uniforme quadro giuridico dagli incisivi e cogenti effetti applicativi: emblematico, in tal senso, il recente Regolamento UE sull’Intelligenza Artificiale.

Non si comprendono quindi a fondo le ragioni che, sul piano sistematico, hanno giustificato l’elaborazione della Dichiarazione UE sui diritti digitali: alla luce delle caratteristiche “soft” evidenziate nella configurazione del suo contenuto, il documento potrebbe risultare inefficace e tardivo.

Inefficace nel raggiungimento degli obiettivi prefissati perché le relative raccomandazioni hanno una natura non vincolante.

Tardivo perché oggi sarebbe auspicabile garantire l’implementazione attuative di strategie concrete per colmare il ritardo tecnologico rispetto ad altre realtà extraeuropee, anziché limitarsi alla definizione teorica della cornice generale di riferimento. che avrebbe dovuto essere già costruita a suo tempo.

Per colmare il divario digitale, si ritiene senz’altro più proficuo realizzare un approccio di regolamentazione che potrebbe anche operare direttamente nell’ambito delle fonti primarie del diritto dell’Unione, come base giuridica precettiva e vincolante, in grado di evitare il rischio di una possibile frammentazione di interventi, al pari di una prolungata inerzia applicativa provocata da orientamenti “soft” privi di portata cogente.

Un esempio è una specifica modifica del Trattato sull’Unione europea (TUE) per promuovere un mercato unico digitale e migliorare l’alfabetizzazione ICT dei cittadini europei. Una modifica già oggetto di una formale petizione proposta dallo scrivente, presentata nel 2013 e ancora ferma nelle more procedurali del dibattito istituzionale del PE.

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