Le regole

Conservazione libri e registri, quante interpretazioni: norme, professionisti e Agenzia delle Entrate, ecco la situazione

È vivace il dibattito sulla tenuta e conservazione dei libri e registri contabili, per il difficile connubio tra normativa relativa a processi analogici e mondo del digitale: emergono infatti problematiche ed interpretazioni differenti tra enti e professionisti

Pubblicato il 06 Apr 2022

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

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La materia della tenuta e conservazione dei libri e registri è un terreno di confronto sempre aperto. Nel momento in cui sembra che il legislatore sia riuscito a ricondurre un adempimento alla ragionevolezza e alla praticità ecco che emergono problematiche ed interpretazioni che spiazzano anche i più tenaci e volenterosi sostenitori della compliance che deve caratterizzare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.

La sintesi della questione è apparentemente semplice. I libri e le scritture contabili oggi, sono nella generalità dei casi, il risultato della elaborazione che avviene mediante sistemi meccanografici o elettronici, risultato che può essere materializzato su un supporto analogico (stampa su carta tradizionale) o mantenuto in formato digitale (il cosiddetto file pdf).

Non oso addentrarmi – per il momento – in considerazioni di carattere giuridico, però le due forme sono sostanzialmente equivalenti sotto il profilo pratico, perché un file pdf è immediatamente e facilmente trasformabile in stampa. Ci sarebbe anche da chiedersi a cosa serva stampare un file pdf, visto che la visione del file su uno schermo e la visione della stampa su carta sono funzioni assolutamente equivalenti, anzi, la visione del file pdf – se nativo, ossia non ottenuto come scansione del documento originale – permette una serie di funzioni di ricerca che la visione su carta non consentirebbe. Per questa ovvia ragione, il legislatore è intervenuto qualche anno fa per codificare la indifferenza tra un file che contiene un libro o un registro e la relativa stampa. Ma l’Agenzia delle Entrate è di opinione diversa.

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La differenza tra la tenuta e la conservazione di libri, registri e scritture

Il Codice Civile, nel trattare dei libri e scritture contabili, all’articolo 2214 prevede che l’imprenditore deve “tenere” il libro giornale, il libro degli inventari, e le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Il successivo articolo 2215 regolamenta la modalità di tenuta, prescrivendo la numerazione progressiva delle pagine, che generalmente avviene contestualmente alla stampa, salvo che non si tratti di libri soggetti a bollatura preventiva come per esempio i libri dei verbali e/o determinazioni e decisioni degli organi societari, perché in questo caso la bollatura è preventiva ad opera del registro delle imprese o di un notaio.

L’articolo 2215-bis del Codice Civile prevede che gli obblighi di numerazione progressiva e di vidimazione previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri, repertori e scritture sono assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, almeno una volta all’anno, della marcatura temporale e della firma digitale dell’imprenditore o di altro soggetto dal medesimo delegato secondo le norme in materia di conservazione digitale contenute nelle medesime disposizioni normative; in questo caso, i libri, i repertori e le scritture hanno l’efficacia probatoria di cui agli articoli 2709 e 2710 del codice civile. Quindi il Codice Civile parla di “conservazione” solo per fare riferimento alla procedura relativa ai documenti informatici, altrimenti l’unico termine utilizzato è la “tenuta”.

Nel settore delle imposte sul reddito, le principali norme di riferimento sono il DPR 600/1973, articoli 13 e 14, in cui il termine utilizzato è “tenere”, mentre l’articolo 15 e l’articolo 16, a proposito rispettivamente di inventario e registro dei beni ammortizzabili, utilizzano i termini “redigere” e “compilare”, che sembra esprimano una modalità coerente col termine tenere. L’articolo 22, intitolato “tenuta e conservazione delle scritture contabili”, rinvia in quanto alla “tenuta” al codice civile per quanto riguarda i libri ivi indicati, e il comma 2 prevede che “Le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta anche oltre il termine stabilito dall’articolo 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie, salvo il disposto dell’articolo 2457 del detto codice. Gli eventuali supporti meccanografici, elettronici e similari devono essere conservati fino a quando i dati contabili in essi contenuti non siano stati stampati sui libri e registri previsti”. Il termine “conservazione” non appare quindi utilizzato nella sua accezione tecnica, ma semplicemente per prescrivere l’obbligo di esistenza dei documenti e, addirittura, sembrerebbe esistere una apertura riguardo la alternativa tra l’esistenza dei supporti meccanografici e la stampa del loro contenuto.

In materia di IVA, l’articolo 39 del DPR 633/1972, intitolato “Tenuta e conservazione dei registri e dei documenti”, fa espresso rinvio, in quanto a modalità di tenuta, all’articolo 2219 del Codice Civile[1], mentre per la conservazione richiama il già citato articolo 22 del DPR 600/1973, prevedendo altresì che “Le fatture create in formato elettronico e quelle cartacee possono essere conservate elettronicamente”.

Ne contesto normativo sopra delineato, il legislatore, con l’inserimento del comma 4-quater all’articolo 7, del decreto-legge 10 giugno 1994, n.357, ha chiaramente disposto che “[…] la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto è, in ogni caso, considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza[2]“.

Ecco quindi che per coloro che si avvalgono di sistemi elettronici e non intendono conservare i libri, registri e documenti in formato digitale, l’intervento del legislatore con la modifica sopra citata ha permesso il differimento della stampa al momento della (eventuale) richiesta degli organi che procedono ai controlli e alle verifiche; ovviamente, a condizione che i libri, registri e documenti siano aggiornati. Tale ultima condizione non sembra di semplicissima applicazione ed interpretazione, posto che i files utilizzati dal software per la gestione dei libri, registri e documenti sono generalmente il punto di partenza del “prodotto finito”, che si ottiene mediante una elaborazione dei dati, filtrati e ordinati secondo i parametri richiesti da ciascun tipo di registro o di documento. Tuttavia, il riferimento normativo all’”aggiornamento” può essere considerato “latu sensu”, anche se il file pdf-prodotto sia ottenuto mediante elaborazione, sempre ammesso che in sede di controllo sia possibile percepire la differenza che c’è la stampa di un file pdf e la generazione del medesimo file, considerati i rapidissimi tempi di elaborazione dei mezzi informatici a nostra disposizione.

La normativa porta quindi a concludere che la tenuta dei libri e registri con sistemi elettronici può generare due tipologie di documenti: analogici, qualora si dovesse procedere alla stampa, ed informatici qualora il contribuente decidesse di non materializzarli e ne effettuasse la conservazione a norma nei termini previsti dalla legge. Nel primo caso, tuttavia, la stampa può essere effettuata solo a richiesta, avvalendosi della disposizione semplificativa sopra richiamata.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate

La recentissima risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 16/E del 28 marzo 2022 è di diverso avviso[3]. Secondo l’Agenzia, il predetto comma 4-quater dell’articolo 7, D.L. 357/1997, “… non ha modificato le norme in tema di conservazione e tra queste, con specifico riferimento ai documenti informatici fiscalmente rilevanti – tra cui «- libro giornale e libro degli inventari; – scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali; – scritture ausiliarie di magazzino; – registro dei beni ammortizzabili; registri prescritti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, » (così la circolare n. 36/E del 6 dicembre 2006 alla quale si rinvia per un’elencazione esemplificativa di tali documenti) – il decreto ministeriale 17 giugno 2014, sostitutivo del precedente 23 gennaio 2004”. Ciò premesso, facendo anche riferimento ai lavori parlamentari[4], l’Agenzia perviene alla conclusione secondo cui l’unico modo per poter fruire della normativa “semplificativa” di differimento della stampa sopra richiamata sarebbe quello di avvalersi del sistema della conservazione a norma del D.M. 17/6/2014.

I punti critici

L’opinione dell’Agenzia delle Entrate desta più di una perplessità. La prima fra tutte scaturisce dalla lettura dell’articolo 12 delle preleggi, secondo cui “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.” La declinazione del predetto principio conduce ad una interpretazione che appare univoca, sia perché le parole utilizzate dal legislatore sono chiarissime, sia perché altrettanto chiara è l’intenzione, cristallizzata dal titolo del Decreto Legge (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi) e dal suo contenuto, in cui la parola “semplificazioni” è ripetuta ben 16 volte. E non solo: non si comprenderebbe la ragione di un intervento normativo che, nella pratica, sarebbe improduttivo di effetti. Infatti, il comma 2 dell’articolo 5 del D.M. 17/6/2014, già prevedeva che “In caso di verifiche, controlli o ispezioni, il documento informatico è reso leggibile e, a richiesta, disponibile su supporto cartaceo o informatico presso la sede del contribuente ovvero presso il luogo di conservazione delle scritture dichiarato dal soggetto ai sensi dell’art. 35, comma 2, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

E qui si innesta una ulteriore riflessione. I libri, registri e documenti informatici, correttamente conservati con le modalità e nei termini previsti dalle varie leggi, sono “regolari” senza alcun bisogno di convalida o riconoscimento ulteriore, perché la loro integrità, leggibilità ed autenticità sono oggettivamente ed univocamente riscontrabili, in qualsiasi tempo, anche ad opera degli organi che effettuano i controlli. Invece la norma “semplificatrice” recata dal comma 4-ter dell’articolo 7, afferma che la tenuta “… è considerata regolare in difetto di trascrizione sui supporti cartacei nei termini di legge”, in caso contrario (ossia se non si procedesse alla stampa) la tenuta sarebbe irregolare, e la irregolarità ricadrebbe sui relativi libri, registri e documenti.

È quindi evidente la differenza sostanziale tra la norma “semplificatrice” e le norme in materia di conservazione dei documenti informatici.

Il difficile connubio tra norme “analogiche” e mondo digitale

Le difficoltà interpretative sorgono dalla sovrapposizione di norme coniate in un’epoca “analogica” con altre successive emanate nell’epoca digitale, ma con una cultura legislativa informatica non sempre adeguata e coerente con tutto il contesto normativo esistente. Le norme in materia di conservazione digitale dei documenti informatici, che hanno avuto sia il pregio sia di regolamentare in maniera unitaria la materia, sia di permetterne un adeguamento dinamico con le c.d. linee guida da emanare periodicamente ai sensi dell’articolo 76 del Decreto Legislativo 82/2005, hanno anche loro un difetto di ipertrofia, in parte congenita ed in parte sopravvenuta. Il codice Civile, in maniera direi esemplare, ha fissato in maniera chiara due concetti: i documenti informatici assolvono i requisiti di integrità, autenticità e immodificabilità con l’assoggettamento alla firma digitale e alla marca temporale.

Il Codice dell’amministrazione digitale, approvato con Decreto Legislativo 82/2005, pur avendo il pregio sopra riconosciuto di avere regolamentato la complessa materia, è andato molto oltre l’esigenza tutelata dal Codice Civile, ed ha creato regole tecniche molto complesse, certamente giustificate per le pubbliche amministrazioni, ma eccessivamente penalizzanti per le imprese private. SI pensi solo che per conservare a norma un libro giornale (dico un documento) occorre avvalersi di procedure idonee a creare un pacchetto di conservazione, con un indice, i relativi metadati, ed altri accorgimenti che sono senz’altro utili per catalogare, conservare e ricercare grandi quantità di documenti, ma che appaiono oggettivamente spropositati – oltre che eccessivamente complessi – se applicati a quantità minime di documenti[5].

La ridondanza di tale disposizioni appare ancora più chiara quando si è costretti a giustificare un adempimento col solo riferimento alla esistenza di norme imperative, come se le norme non dovessero possedere ab origine il requisito della necessità o, quanto meno, della opportunità.

Conclusione

Ci si chiede quale sia la ragione che abbia indotto l’Agenzia a pervenire ad una interpretazione che appare sconfessare non solo le parole e l’intento del legislatore, ma anche il comune buon senso. Non è questa la sede per discutere quanto sia affidabile un registro stampato, che potrebbe anche essere ri-stampato e modificato infinite volte, e che pertanto non possiede alcun requisito di immodificabilità, che invece contraddistingue in maniera inequivocabile i documenti informatici. Ma, oltre i profili giuridici sopra esposti, non si comprende neppure la ragione per cui un file pdf non dovrebbe essere ritenuto assolutamente equivalente ad una stampa, considerato che l’unica differenza tra essi è il supporto su cui sono contenuti i dati, in tutto e per tutti identici, diversi solo per la metodologia tecnica di rappresentazione.

Se un cliente dovesse chiederci un consiglio se scegliere la stampa ovvero la conservazione digitale, noi non potremmo che suggerirgli di produrre libri, registri e documenti in modalità informatica e conservarli a norma di legge; tuttavia non avremmo in nostro soccorso tante ragioni per “convincere” il cliente ad abbondonare la carta[6], ed in ciò la responsabilità penso sia della nostra categoria che non ha chiesto in maniera ferma e decisa un intervento del legislatore per sancire normativamente una differenza probatoria delle scritture digitali rispetto a quelle analogiche [7]. Se ci riflettiamo bene, le scritture e i libri conservati a norma offrono le garanzie di immodificabilità e di certezza della data che tanti anni fa erano affidate alla preventiva bollatura e alla vidimazione, adempimenti che sono stati provvidenzialmente soppressi, ma che ci sono costati un progressivo depotenziamento probatorio delle scritture, sino al punto che oggi tra ISA, presunzioni e antieconomicità non siamo in grado di poter assicurare ai nostri clienti la certezza di una (eventuale) attività accertativa tributaria basata solo su fatti oggettivi e comprovati, e non su presunzioni di vario genere.

Appare quanto mai attuale il tema della tanto invocata semplificazione: un primo passo andrebbe certamente nella direzione di non complicare ciò che è semplice.

_

Note

  1. “Tutte le scritture devono essere tenute le norme di un’ordinata contabilità senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.”
  2. È opportuno evidenziare che il precedente comma 4-ter, richiamato dal comma 4-quater, recita “A tutti gli effetti di legge, la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei.” Non sembra esistano ragioni per non ritenere che la locuzione evidenziata abbia valenza anche ben oltre l’ambito tributario.
  3. L’Agenzia è intervenuta in maniera conforme con le precedenti risposte nn. 236 e 346, rispettivamente pubblicate il 9 aprile ed il 17 maggio 2021
  4. Che ad avviso di chi scrive non sembrano offrire elementi utili per sostenere la tesi dell’Agenzia delle Entrate
  5. Mi auguro che quanto prima ci siano provvedimenti o interventi giurisprudenziali che facciano chiarezza sulla validità di un documento informatico che, anche se provvisto solo di firma digitale e marca temporale, soddisfa i requisiti di legge (autenticità, integrità e immodificabilità) anche se non inserito in un Pacchetto di Conservazione.
  6. Ovviamente mi riferisco alle ragioni giuridiche, non a quelle intrinseche.
  7. Forse perché ancora oggi la conservazione sostitutiva non è il metodo privilegiato dagli studi professionali per la tenuta dei libri, registri e documenti.

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