“Buongiorno”. La porta si richiude dietro il cliente. Pochi istanti, quelli necessari ad afferrare un paio di tramezzini e una bibita dal frigo. Totale: 8 euro e 50 cent. Un po’ caro, ma sembrano buoni. E poi ha fretta. La mano stringe lo smartphone, l’applicazione è già aperta. I due apparecchi si avvicinano: solo un breve suono… ed è fuori. “Arrivederci e grazie”. A partire dal 30 giugno scene come questa potrebbero essere molto più comuni anche in Italia con l’avvio dell’obbligo del POS.
Questa, infatti, è la data decisa dal Governo per far scattare le sanzioni agli esercenti che rifiutano i pagamenti in moneta elettronica. Dovevano scattare il primo gennaio dell’anno prossimo, ma si è scelto di anticipare. Potrebbero essere più comuni, dicevamo, perché sappiamo che le resistenze sono molte e i controlli difficili.
Una cosa però è certa: i vari “Non ce l’ho”, “Non funziona”, “Mi dispiace, oggi non c’è linea…” – espressioni che da anni, anche dopo l’entrata in vigore degli obblighi, ancora molti di noi si sentono rivolgere quando tentano di pagare smart – avranno ancor meno giustificazioni e forse – forse – qualche conseguenza. Non solo negative per i trasgressori, ma positive per tutti.
Obbligo POS, come funziona
Dal 30 giugno 2022, stando al testo del nuovo decreto legge approvato dal Governo il 13 aprile ma ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale, chi non accetta un pagamento digitale di qualsiasi importo è passibile di una sanzione amministrativa pari a 30 euro, cui va aggiunta una percentuale pari al 4% del valore del pagamento rifiutato.
Sanzioni obbligo POS
In pratica, se un esercente dovesse rifiutare un pagamento di 100 euro rischierebbe una sanzione di 34 euro, mentre la sanzione sarebbe pari a 30,20 euro se dovesse rifiutare un pagamento di 5 euro. L’esercente o il professionista deve accettare almeno una tipologia di carta di debito e una di carta di credito (identificate dal marchio del circuito di appartenenza). Non è quindi richiesto che vengano accettati tutte le tipologie di pagamenti digitali, ma almeno una di esse: nel momento in cui l’esercente aderisce a un circuito, deve pertanto sempre accettare i pagamenti con strumenti appartenenti a quel circuito.
Le sanzioni sono certamente uno strumento spiacevole e che dovrebbe sempre risultare residuale rispetto alla norma di comportamenti corretti. Tuttavia, non si può negare che siano un elemento funzionale essenziale affinchè la norma stessa acquisisca il giusto valore per chi non la rispetta. Possiamo attenderci che la loro applicazione presenti difficoltà, dicevamo, specie se il peso della prova ricadrà solo sulle spalle del cliente il quale dovrebbe chiamare le forze dell’ordine per accertare l’illecito (e non tutti potrebbero volerlo fare). Per essere efficaci i controlli dovranno essere automatici e a campione. Sperando che anche sul piano pratico possano vedersi i risultati, resta in piedi anche un valore simbolico ed esemplare.
POS obbligatorio, gli obiettivi
Diciamolo subito: l’utilizzo del contante digitale fa bene all’Italia. Le virtù della moneta elettronica sono note da tempo: innanzitutto i pagamenti sono più tracciabili rispetto a quelli in contante, e possono quindi contribuire a far emergere parte dell’economia sommersa, traducendosi in risorse preziose per il Sistema Paese. Vi sono poi i numerosi vantaggi individuali: la facilità d’uso, la sicurezza e la trasparenza, innanzitutto, le quali favoriscono anche la maggior consapevolezza del consumatore della propria gestione finanziaria. Senza dimenticare le nuove possibilità che queste soluzioni aprono, abilitando nuovi servizi (ad esempio con le integrazioni in-app) e comportamenti sociali (pensiamo al peer to peer). Ultima, ma non ultima, la maggiore concorrenza che innesca nel mercato domestico e maggiore apertura verso l’estero (si pensi al citatissimo, ma veritiero, turismo estero).
I dati Altroconsumo
Da una inchiesta statistica di Altroconsumo, in cui abbiamo interpellato un campione di italiani tra i 25 e i 79 anni, nell’ultimo anno, gli italiani hanno comunque usato ancora usato in larga parte il contante come strumento principale di pagamento (97%). Bisogna dire, però, che con la pandemia il 47% ne ha ridotto l’uso. Infatti, è cresciuto del 32% l’uso della carta di debito (bancomat), del 31% quello della prepagata e del 27% quello della carta di credito. Non solo. Il 25% degli italiani dichiara di aver aumentato l’uso di metodi di pagamento online (come Paypal) e il 24% quello dei pagamenti via smartphone.
Certamente, la pandemia Covid-19 (con le nuove necessità dettate dal distanziamento sociale e gli acquisti da remoto), insieme ad alcune misure come il cashback, hanno dato una spinta a questa transizione. Ma è interessante notare come anche nella seconda parte dell’anno scorso, nonostante la sospensione di quest’ultima misura (che aveva contribuito ad una diminuzione della carta moneta, ancora scelta primariamente da quasi 9 milioni di italiani e da circa il 18% della popolazione maggiorenne), l’accelerazione verso la digitalizzazione dei pagamenti non si è arrestata, dimostrando che la strada è ormai stabilmente imboccata.
I dati del PoliMi
In generale, secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, in Italia i pagamenti digitali hanno raggiunto l’anno scorso i 327 miliardi di euro. Se l’Italia prova a bene e a recuperare terreno, gli altri fanno però meglio e ampliano la distanza: nonostante le percentuali positive, infatti, il nostro Paese si posiziona ancora in fondo nella classifica dei Paesi europei per transazioni digitali pro-capite, al 25esimo posto davanti solo a Romania e Bulgaria.
Gli ostacoli
Cosa frena, quindi, questa risalita? Due ostacoli, tra gli altri, rimangono difficili da superare per molti consumatori: il timore delle frodi (cui si rimedia anche con una maggiore accessibilità, conoscenza ed educazione all’uso di tali strumenti) e, appunto, i problemi nell’accettazione del pagamento digitale. Eppure, va ricordato che l’obbligo di POS è previsto da tempo, precisamente dal 30 giugno 2014, e prevede che chi effettua attività di vendita o prestazione di servizi (anche professionali) deve accettare anche pagamenti effettuati tramite carte di credito o di debito, tranne in caso di disguidi tecnici. Solo che questi ultimi, da eccezione, spesso si sono trasformati nella regola. L’obbligo, così, è rimasto di fatto sulla carta e le sanzioni più volte annunciate non sono mai arrivate.
Obbligo POS per commercianti, le critiche
Più di 7 anni sono passati dall’introduzione dell’obbligo e vi è stato un ampio lasso di tempo per adeguarsi alla regola del Pos. Ma quindi, verrebbe da chiedersi, perché dopo tutto questo tempo siamo ancora qui? Si lamentano varie difficoltà, sia tecnico-infrastrutturali (sempre meno attuali, in verità) che burocratiche ed economiche. I commercianti, ad esempio, lamentano il costo di incasso del digitale: ma non bisogna dimenticare che anche il contante ha dei costi i termini di deposito e prelievo dalla banca, ad esempio, oppure semplicemente in termini di sicurezza. Infatti sono spesso dimenticati i punti negativi del contante: è costoso (in termini di produzione, stoccaggio, trasporto costa 122 euro ad Italiano secondo i dati di Banca d’Italia) ed è poco sicuro visto che il contante perso e rubato è difficilmente recuperabile per clienti e negozianti mentre i pagamenti digitali sono protetti da norme europee che intervengono in caso di furto, smarrimento o clonazione.
D’altro canto, anche su questo Altroconsumo ha condotto recentemente un’inchiesta per verificare quanto costi effettivamente agli esercenti accettare pagamenti digitali, accertando che per pagamenti digitali di importi da cinque euro le commissioni arrivano anche a 0,50 euro. Insomma, a conti fatti le commissioni sui pagamenti devono essere sostenibili anche per le piccole attività, solo così il digitale può essere realmente conveniente sia per chi paga che per chi riceve.
La normativa
Pertanto, se da tempo sosteniamo che le sanzioni sono necessarie, dall’altro è opportuno anche che gli esercenti vengano opportunamente agevolati e sostenuti al fine di assicurare la transizione. Va ricordato, in questo quadro, che già nel decreto fiscale DL 124/2019 è previsto, per i pagamenti effettuati in modalità digitale a partire dal primo luglio 2020, un credito d’imposta del 30% sulle spese pagate dagli esercenti (le commissioni di incasso e i costi del pos) per accettare pagamenti con carte, bancomat e altre modalità di pagamento digitale (ad esempio le app); una disposizione che vale solo per gli esercenti che fatturano meno di 400 mila euro l’anno. Certo, il credito di imposta lavora ex-post e bisognerebbe anche intervenire su un calmieramento dei costi (che dalla nostra inchiesta risultano appunto incidere fino all’11% su uno scontrino, soprattutto quelli di importo più basso).
Obbligo Pos, il nodo delle commissioni
Per le commissioni e le spese sostenute fino al 30 giugno 2022 il credito di imposta è stato anche aumentato fino al 100%. Visto l’arrivo delle sanzioni, bisogna augurarsi che questo provvedimento previsto dal decreto legge 99 del 30 giugno 2021l venga mantenuto. Se per i consumatori deve esserci l’opportunità di usare la carta sempre, lato esercenti le commissioni sui pagamenti devono essere sostenibili anche per le piccole attività.
Solo così il digitale può essere realmente conveniente sia per chi paga che per chi riceve L’esperienza di app di pagamento come Satispay dimostra che con commissioni basse (nessuna sotto i 10 euro e una fissa di 20 centesimi sul resto) ed eliminando il costo fisso del Pos, i piccoli esercenti si avvicinano ai pagamenti digitali e, anzi, possono coglierne i vantaggi diretti e indiretti (tra cui l’attrazione di nuova clientela). Al di là delle sanzioni, l’importante è quindi non perdere di vista l’obiettivo e far sì che consumatori ed esercenti possano essere parti sinergiche di una trasfeormazione che avanza: in questa chiave c’è da augurarsi – ma molti esempi virtuosi ci supportano – che questi ultimi vogliano effettivamente leggere la sfida cashless come opportunità in positivo di innovazione e semplificazione nel loro rapporto verso il cliente.
Conclusione
Insomma, denaro e digitale hanno costitutivamente qualcosa in comune. La moneta – come intermediario dei pagamenti – sin dalla sua invenzione ha avvicinato popoli e favorito le relazioni e lo scambio: non solo di merci ma anche di culture ed esperienze. Se ci pensiamo, lo stesso si propone di fare, dal canto suo, il digitale. Ecco quindi perché continuiamo a credere che l’unione delle due dimensioni, se ben pensata e guidata, e la sinergia tra i soggetti che debbono condurre il cambiamento può davvero essere uno dei fattori più importanti e dirompenti nel trasformare il nostro Paese, portando effetti significativi sia nella vita di tutti i giorni che nell’evoluzione futura delle nostre economie e società. Una direzione da proseguire con determinazione.