Gli accordi di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico hanno impegnato i governi aderenti a contenere entro varie scadenze, l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5° rispetto al periodo preindustriale.
Ma l’annus horribilis 2022 ha chiuso bruscamente la lunga fase storica di convivenza pacifica in Europa, aprendo una difficilissima fase per le politiche di contrasto del cambiamento climatico.
Ciò può addirittura essere un obiettivo di Putin e per contrastarlo serve più che mai l’impegno delle Banche Centrali.
Cop26, tutte le speranze e le sfide per salvarci dal disastro climatico
Il Rapporto di Valutazione sul Cambiamento Climatico
Gli obiettivi dell’accordo di Parigi scontavano già, al momento della sottoscrizione, le difficoltà che incontrano i paesi di recente industrializzazione, come la Cina, o l’India o il Brasile, per ricordare i maggiori. Essi richiedono di rallentare il proprio impegno per ragioni di ordine economico e perché ritengono che il maggior costo degli aggiustamenti debba essere a carico del mondo industrializzato.
L’IPCC, il panel intergovernativo sul clima, ha pubblicato il VI Rapporto di Valutazione sul Cambiamento Climatico, lo strumento conoscitivo indispensabile alla definizione e implementazione delle politiche che dovrebbero portarci nel 2050 alle zero emissioni nette di gas serra. Lo ha pubblicato subito dopo l’aggressione russa, ma i dati riportati sono quelli elaborati dagli esperti dell’IPCC a settembre del 2021. Si tratta di proiezioni a breve (2040), medio (2060) e lungo termine (2100) che valutano i rischi derivanti da livelli di riscaldamento globale che superano 1,5°. Rispetto alle simulazioni precedenti, ossia quelle adottate per gli accordi di Parigi, le nuove proiezioni sono più pessimistiche: “l’aumento degli estremi andamenti climatici registrato fino ad oggi ha portato a impatti irreversibili nel momento in cui i sistemi naturali e umani sono stati spinti oltre le loro capacità di adattamento”[1].
Il superamento della soglia di 1,5° comporterà per le diverse aree del mondo, l’aumento dei rischi specifici. Nel caso dell’Europa l’impatto maggiore sarebbe sui sistemi costieri, residenziali e infrastrutturali, sulla salute per l’impatto degli estremi di temperatura, la scarsità d’acqua, la compromissione dei sistemi ecologici marini e costieri, la riduzione della produzione agricola dovuta all’aumento della temperatura e della siccità e per il Mediterraneo l’innalzamento del livello dei mari. L’Asia Pacifica è particolarmente esposta per le aree urbane, l’America del Nord per la produzione agricola, gli ambienti naturali e alcune importanti aree urbane costiere, l’Africa e l’America Latina per la produzione agricola e l’estinzione di specie. L’Asia settentrionale, in gran parte russa, presenta un impatto più marcato di aumento della temperatura con alcuni possibili effetti positivi sulla produzione agricola e la prospettiva di sfruttare dal punto di vista energetico e dei trasporti la fusione della calotta artica.
Le imprese che operano nel settore ambientale, in particolare quelle che hanno effetti positivi sul contrasto al riscaldamento globale, hanno bisogno di un contesto favorevole per accelerare le loro decisioni di investimento. Alcuni impegni importanti sono stati presi in questo ambito dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca Europea degli Investimenti, dalla Banca d’Inghilterra, dalla Banca Centrale del Giappone con la Federal Reserve americana in posizione defilata, come vedremo.
La finanza sostenibile e il ruolo delle banche centrali
L’Unione europea ha avviato il Piano d’azione per la Finanza Sostenibile nel 2018 per porre gli investimenti sostenibili al centro delle politiche di indirizzo dei flussi di capitale, favorendo la trasparenza economica e finanziaria. Nel 2019 il Green Deal, programma di interventi legislativi e di investimenti per i prossimi 10 anni, intende contribuire al raggiungimento delle emissioni nette zero per il 2050.
Il ruolo delle banche centrali è più defilato, rispetto alle politiche ambientali, ma non secondario. Esse devono verificare che i rischi ambientali non inficino o alterino le valutazioni di opportunità degli investimenti finanziari del sistema. Nel tener conto di tale impatto esse possono contribuire in modo significativo ad orientare gli investimenti nella direzione della sostenibilità, senza venir meno al loro obbligo di comportarsi in modo neutrale rispetto alle scelte del mercato.
La Banca Centrale Europea (BCE) è sicuramente più avanti della Federal Reserve americana, che ha vincoli più stringenti di indipendenza rispetto agli obiettivi politici. Ma è interessante osservare che la BCE ha incorporato nel suo mandato i rischi di carattere ambientale, e questo la mette al riparo dall’accusa di avere scelto il campo della sostenibilità per motivi politici, ovvero per sostenere le politiche della Commissione. La BCE negli ultimi due anni ha definito che cosa intende per risk management in campo ambientale, e soprattutto che cosa si deve intendere per messa in evidenza del rischio ambientale connesso all’investimento. Essa ha anche condotto una indagine sulla capacità di autovalutazione del rischio da parte delle banche che finanziano investitemi in progetti che possono essere affetti da rischi ambientali.[2]
D’altra parte, le stime sui rischi ambientali si fanno sempre più incalzanti: la Banca di Francia ha valutato che nell’area mediterranea gli assicuratori avranno perdite significative entro il 2050. La Banca della Riserva australiana ha riconosciuto che il rischio ambientale potrebbe portare ad una perdita del 10% del valore di un numero di case pari al1,5% del totale entro il 2050. Lo stress test della BCE ha valutato che il rischio per le banche raggiunge, nei prossimi 30 anni, l’8% di maggiori perdite.
Dal 2017 le banche centrali e le autorità di controllo hanno creato la Rete per La Sostenibilità del Sistema Finanziario (NGFS), con l’obiettivo di rafforzare la gestione del rischio ambientale e mobilitare gli investimenti in direzione della sostenibilità. Ora la Rete ha raggiunto 100 partecipanti, ossia i supervisori di tutte le banche e dei due terzi delle assicurazioni sistemiche (ossia quelle che, fallendo, mettono a rischio la stabilità del sistema finanziario).
Durante la pandemia l’emissione di obbligazioni ha dimostrato di seguire queste linee guida ai rischi di carattere ambientale. Le obbligazioni della finanza sostenibile hanno raggiunto 1, 6 miliardi di dollari e nel 2021, mentre le azioni hanno superato i 500 miliardi.
Se la Fed si trova fortemente limitata dal suo statuto nei confronti di politiche che orientino gli investimenti in direzione della sostenibilità, le banche centrali dell’Asia sono, invece, più impegnate. La Banca Centrale del Giappone ha emesso prestiti a tasso zero per 18 miliardi di dollari per investimenti di carattere ambientale, mentre la Banca Centrale indiana ha aggiunto i progetti per la sostenibilità nella quota prioritaria di finanziamenti. Anche la Banca d’Inghilterra, come la BCE, ha la possibilità di acquisire obbligazioni corporate nell’ambito delle politiche di quantitative easing[3].
Il sustainable funding viene analizzato da alcuni osservatori, in particolare da Greenpeace, che pur rilevando limiti riconducibili essenzialmente alla mancanza di trasparenza e alla scarsa preparazione ambientale degli operatori dei fondi, non possono devono riconoscere l’importanza dei passi avanti compiuti, in particolare a livello europeo. [4]
L’impatto della guerra
Secondo le stime dell’ONU, l’impatto dell’aggressione russa all’Ucraina avrà l’effetto di ridurre il reddito nazionale del paese aggredito di oltre un terzo, di quello russo di quasi il 10% e di contrarre la crescita europea di oltre un punto[5].
Su fronte delle politiche ambientali, uno degli strumenti principali messi in campo dal protocollo di Kyoto, i permessi di emissione, che possono essere venduti da chi ha risparmiato emissioni a chi invece deve emettere più carbonio del previsto, la guerra contro l’Ucraina ha portato ad un crollo rapido del loro valore, sceso del 40% in pochi giorni, per poi recuperare in parte. La vendita massiccia che ha provocato l’abbassamento delle quotazioni è dovuta al fatto che molte aziende si sono trovate nella necessità di fare cassa per far fronte ai rischi di crisi [6].
Con il beneficio di inventario della parzialità dei dati, ma con la certezza che molti disastri ecologici derivanti dall’attacco russo verranno alla luce solo a lungo andare, la ONG Ucraina Ecoaction ha censito i crimini ambientali commessi dalla Russia nel primo mese di guerra. Le figure che seguono riportano i crimini ambientali commessi dalla Russia nel primo mese di guerra per categoria di danni e distribuzione geografica.
Tra i crimini di guerra della Russia in Ucraina bisogna annoverare anche questi.
Figura 2: Distribuzione per regioni dei crimini ambientali
Tre ONG, l’olandese PAX, l’Ucraina Ecoaction, il Conflict and Environment Observatory del Regno Unito, con tecniche di crowdsourced information, ricorrendo ai testimoni diretti, ai social network, alle immagini satellitari, alle map di Google, hanno documentato i danni ambientali ad almeno 100 siti. “Siamo di fronte ad un problema ambientale gigantesco” ha dichiarato Stefan Smith, coordinatore della sezione sui disastri e i conflitti del Programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEP)[7].
A est di Leopoli un missile ha danneggiato i contenitori per la produzione di fertilizzanti a Ternopil, con conseguente sversamento di ammoniaca che è stata trovata in percentuali 160 volte superiori a quelle normali, e 50 volte superiori per i nitrati. I danni agli impianti di trattamento delle acque comportano lo scarico dei reflui non trattati direttamente nei corsi d’acqua.
Ora, l’intensificarsi dei combattimenti nel sud-est, zona di industrie pesanti, a ridosso del corso dei fiumi, aumenta i rischi di inquinamento dei loro corsi, mentre l’impatto diretto (cannoni, camion, carri, aerei, bombardamenti) della guerra sull’inquinamento dell’aria è valutabile simile a quello di un intero paese per un anno. La polvere di cemento e altri materiali, tra cui l’asbesto, è una minaccia per i residenti che durerà decenni, poiché esso non è solubile in acqua “quando la gente lo inala, va nei polmoni e rimane lì, come una bomba” [8].
Tra gli impatti economico-ambientali più gravi della guerra di aggressione della Russia putiniana va ricordata la riduzione delle disponibilità di cereali, di cui Ucraina e Russia sono esportatori netti. Oltre ai paesi europei, tra cui l’Italia in prima fila, anche molti paesi africani importano quote decisive da Ucraina e Russia: 45 paesi importano almeno un terzo del proprio fabbisogno, e 18 addirittura la metà[9].
La posizione della Russia nella lotta ai cambiamenti climatici
La Russia ha ratificato gli accordi di Parigi solo nel 2019 senza avere una politica ambientale, anzi ondeggiando tra adesione opportunistica e isolazionismo sovranista. A fianco degli impegni assunti negli accordi internazionali, motivati all’origine anche del sostegno dell’Unione europea all’ingresso della Russia nel WTO, la Russia sviluppa progetti di infrastrutture e navigazione transartici, il cosiddetto passaggio a Nord-Est o Via del Mare del Nord e progetti di estensione delle terre coltivabili per effetto del disgelo del permafrost, seguendo ora l’una ora l’altra maschera di Putin: “Tutti sanno che l’energia generata dalle pale eoliche è buona, ma si ricordano degli uccelli? Quanti uccelli stanno morendo? Esse scuotono la terra con tanta forza che i vermi vengono fuori dalla terra…” (maschera animalista) “La Russia è leader nel processo globale di decarbonizzazione…nei passati 20 anni, l’intensità di carbone della nostra economia è scesa del 2,7% medio all’anno, più della media mondiale e dei paesi del G7” (maschera ambientalista)[10].
In realtà, osservano gli esperti, gli impegni di riduzione delle emissioni fanno riferimento al periodo base del 1990, quando esisteva ancora l’URSS e le sue industrie pesanti erano tra le più inquinanti al mondo. Quindi, ancor oggi la Russia registra emissioni inferiori a quelle del 1990 e si presenta pertanto come un contributore netto al contenimento dell’effetto serra. E questo le ha permesso di lucrare sui certificati di emissione emessi dopo gli accordi di Kyoto, per la cui cessione la Russia ha ricevuto 2,4 miliardi di dollari durante la prima fase di applicazione del protocollo[11].
L’aggressione contro l’Ucraina sta mettendo tra parentesi anche la maschera pop del dittatore russo: “un paio di gradi in più non sono male, spenderemo meno per i capotti e salirà la raccolta di grano”[12].
Con la guerra, la riaffermazione brutale del ruolo imperialistico della Russia mette in crisi la rete delle relazioni internazionali e delle istituzioni che le governano. In alcuni casi logorate dal tempo e dai cambiamenti intercorsi sulla scena mondiale. Il clima di collaborazione necessario a implementare gli accordi di Parigi e il protocollo di Kyoto è spezzato. Ciò accade anche sul terreno della regolazione e difesa dell’equilibrio finanziario internazionale, i BRICS hanno costruito una banca per lo sviluppo, la New Development Bank, per spingere il sistema finanziario mondiale su una strada diversa da quella ancora dominata dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, per troppo tempo dotati di una governance centrata sugli equilibri postbellici e caratterizzata da una visione degli interventi nelle crisi che si è dimostrata burocratica e inefficace[13]. Per non parlare dei progetti di digitalizzazione delle monete sovrane, progetti volti sia a porre un freno al diffondersi delle criptovalute, sia a porre in discussione il predominio del dollaro come valuta di regolazione dei pagamenti internazionali.
Vengono al pettine inerzie, soprattutto degli Stati Uniti ma anche dell’Europa, nel trovare accordi estesi su una strategia di apertura multilaterale delle istituzioni internazionali. Purtroppo, questi nodi che riguardano la postura strategica delle democrazie liberali, stanno maturando in una fase in cui l’urgenza di fermare l’aggressione di Putin mette in secondo ordine le scelte di lungo periodo, che pure sono necessarie. Ciò comporta una frenata, se non il blocco temporaneo, nell’attuazione delle politiche per contenere il cambiamento climatico.
Conclusioni
Lo scossone imposto agli equilibri istituzionali internazionali di lungo periodo è probabilmente ciò che maggiormente interessa la Cina, l’India e altri paesi quando hanno deciso di non aderire alle sanzioni contro Mosca. Ma gli accordi di Parigi sul contenimento delle emissioni e il contrasto al riscaldamento globale ne faranno le spese. Ciò può addirittura essere un obiettivo di Putin: l’opinione pubblica in Russia è assai poco sensibile ai temi ambientali e il Cremlino, al di là delle mascherate opportunistiche, ha l’opzione di riserva di sviluppare progetti che sfruttano il cambiamento climatico. Nei due sensi: quello di mettere in crisi le politiche e la stabilità militare, sociale e finanziaria dell’Occidente, e quello di avviare un ulteriore sfruttamento delle risorse dell’enorme paese. Queste risorse potrebbero essere trasformate in nuove rendite a favore del regime “estrattivo” che caratterizza la Russia di Putin, per usare il concetto brillantemente introdotto da Acemoglu e Robinson nel famoso saggio uscito dieci anni fa[14].
L’impegno delle banche Centrali, della BEI e delle altre istituzioni finanziarie a favore degli investimenti caratterizzati da impatto ambientale positivo, è una opportunità preziosa in questo contesto critico. Queste istituzioni hanno comunque al primo posto tra i propri obiettivi la stabilità dei prezzi e l’indipendenza dalle politiche dei governi ovvero la neutralità rispetto alle scelte del mercato, ma abbiamo visto che possono tener conto dei rischi ambientali nella valutazione complessiva del rating dell’investimento proposto.
La necessità di protrarre e rafforzare le sanzioni contro la Russia renderà necessario tornare all’uso di fonti più inquinanti del gas. Le distruzioni umane, civili, militari e ambientali imposte dalla Russia all’Ucraina e, con la pressione di milioni di rifugiati, ai paesi dell’Unione europea, creeranno rallentamenti e difficoltà ulteriori e nell’attuazione della transizione ecologica, già molto ambiziosa.
Non si può e non si deve pretendere che le banche centrali debbano sostituirsi alle politiche ambientali che gli accordi di Parigi e prima ancora il protocollo di Kyoto hanno istituito. Non si tratta, infatti, di mettere tra parentesi quegli accordi e quegli strumenti, ma di riconoscere che la loro attuazione sarà particolarmente difficile e onerosa. I loro ruolo sarà essenziale per mantenere vivo l’interesse al perseguimento della carbon neutrality, negli anni drammaticamente difficili che ci aspettano.
Note
- Climate Change 2022, Impacts, Adaptatrionand Vulnerability. Summary for Policymakers, IPCC WGII, 2022. pp. 7-8. ↑
- Piero Cipollone, The Role of Central Banks for Green Finance, Università di Firenze, 11-12 March 2022. ↑
- The wish to respond to climate change. How green can central banking get? ↑
- Regina Schwegler, Beatrice Ehmann, Anik Kohli, Sustainability Funds Hardly Direct Capital Towards Sustainability. A Statistical Evaluation of Sustainability Funds in Switzerland and Luxembourg, Greenpeace, Zurich, Switzerland, 3 May 2021. ↑
- ONU, La guerra in Ucraina è una grave battuta d’arresto per la ripresa economica dell’Europa, 25 aprile 2022. ↑
- Trading Economics, EU Carbon Permits. ↑
- Nidhi Subbaraman, Russia’s War in Ukraine Could Have Environmental Impact That Lasts Decades, Wall Street Journal, April 24, 2022. ↑
- Subbaraman, cit. ↑
- Ryan Hobert, War in Ukraine is triggering a food crisis – and climate change has more in store ↑
- Putin Claims Russia Is Decarbonizing Faster Than G7 Countries, The Moskow Times, November 21, 2021. ↑
- Alexander Gusev, Evolution of Russian Climate Policy: from the Kyoto Protocol to the Paris Agreement, L’Europe en Formation, 2016/2 (n° 380), pp 39 -52. ↑
- Abrahm Lustgarten, How Russia Wins The Clomate Crisis, The New York Times Magazine, December 16, 2020. ↑
- Amin Mohseni-Cheraghlou, Economic and financial multilateralism in disarray, Atlantic Council, April 12, 2022. ↑
- Daron Acemoglu e James A. Robinson, Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity and Poverty, New York, Crown Business, 2012. ↑