Doxxing

Privacy, Google semplifica la rimozione dei dati: bene, ma ora servono norme

L’iniziativa di Google per semplificare la deindicizzazione è coerente con le finalità di tutela degli utenti ormai consolidate nel mondo del web. Sullo sfondo, però, si percepisce l’assoluta inerzia dei legislatori statali e sovranazionali – come l’Ue – nel regolamentare la gestione dei contenuti della rete globale

Pubblicato il 06 Mag 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

diritto all'oblio

Il motore di ricerca più famoso al mondo ha adottato procedure per semplificare la deindicizzazione, ampliando le ipotesi in cui può essere richiesta direttamente dall’utente. L’esigenza è, soprattutto, limitare i casi di doxxing. La buona volontà di Google è encomiabile, ma sarebbe necessario un intervento normativo a tutela degli utenti.

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La Guida del Centro assistenza di Google

Google ha ampliato le ipotesi in cui chiedere la deindicizzazione. Nella Guida alla rimozione delle informazioni di Google si legge: “Siamo consapevoli del fatto che a volte gli utenti potrebbero voler rimuovere dei contenuti che li riguardano e che trovano sulla Ricerca Google. In alcuni casi, Google potrebbe rimuovere i link alle informazioni dalla Ricerca Google”.

In pratica, son state implementate le procedure guidate per ottenere la deindicizzazione di alcuni contenuti potenzialmente pregiudizievoli per gli utenti.

Si tratta, ingenerale, di un’iniziativa di contrasto al cosiddetto doxxing, ossia quell’attività persecutoria che si concretizza nel dossieraggio e nella pubblicazione ossessiva di dati e contenuti riferibili ad uno specifico utente.

In termini più semplici, un’attività di stalking online.

La deindicizzazione “offerta” da Google consente di rimuovere dai risultati del motore di ricerca i dati relativi all’utente che ne ha fatto richiesta, ma con alcune eccezioni.

In particolare, le informazioni ed i risultati disponibili su siti istituzionali potrebbero non essere deindicizzati per tutelare il diritto di critica o di cronaca.

Per queste ipotesi, infatti, restano valide le procedure legate all’esercizio del diritto all’oblio.

Google non può, inoltre, imporre la cancellazione dei dati ai siti web che li hanno pubblicati: può solo renderli meno visibili; nella Guida c’è comunque un’indicazione su come prendere contatti con il webmaster.

Quali informazioni possono essere deindicizzate?

Google è molto specifica nell’indicare il rimedio al rifiuto del webmaster del sito che riporta i dati personali: “Se non riesci a fare in modo che il proprietario del sito web rimuova i contenuti dal sito, Google potrebbe rimuovere le informazioni personali che costituiscono rischi significativi di furto di identità, frode finanziaria o altri danni specifici”.

Possono essere rimosse da Google: immagini personali intime o esplicite non consensuali, contenuti pornografici falsi pubblicati senza autorizzazione, contenuti che riguardano l’utente presenti su siti con pratiche abusive per la rimozione dei contenuti, informazioni che consentono l’identificazione personale (PII) o contenuti di doxxing specifici, e contenuti pornografici non pertinenti mostrati in corrispondenza del nome di un utente.

Google, inoltre, “rimuove contenuti anche per motivi legali specifici, quali segnalazioni di violazioni del copyright ai sensi del DMCA (Digital Millennium Copyright Act) e immagini pedopornografiche”.

Conclusioni

L’iniziativa di Google di contrasto al doxxing è certamente coerente con le finalità di tutela degli utenti che, ormai, sono consolidate nel mondo del web.

Sullo sfondo, però, si percepisce l’assoluta inerzia dei legislatori statali e sovranazionali – come l’Unione europea – nel regolamentare la gestione dei contenuti della rete globale.

Ora, se è vero che Google ha implementato queste funzionalità, significa che, in precedenza, c’era un vuoto di tutela.

Nulla vieta, allo stato, che per ragioni commerciali – ora solo ipotetiche – Google possa decidere di rimodulare, limitare, o cancellare la funzionalità “anti-doxxing” che ha implementato.

Solo un apparato normativo coerente potrebbe imporre a Google un obbligo giuridico di “corretta gestione” delle ipotesi di autotutela dell’utente.

Il legislatore, però, è spesso meno previdente rispetto agli scenari futuri e tende, piuttosto ad intervenire quando una casistica si è già verificata e ha determinato contenziosi: su questo, il caso dei riders e dei platform workers in generale è emblematico.

Anni di sfruttamento e di cause hanno determinato una – per ora – bozza di Direttiva UE: un intervento sull’assetto generale dei diritti degli utenti e delle tutele contro le pratiche abusive dei e sui motori di ricerca dovrebbe, quindi, entrare al più presto nell’agenda del legislatore europeo.

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