In Italia ci sono quasi ottomila comuni, la stragrande maggioranza sono piccoli o piccolissimi. I comuni hanno una caratteristica particolare: sono piccole organizzazioni e mettono a disposizione dei cittadini centinaia di servizi diversi che impattano su ogni aspetto della nostra vita quotidiana: l’asilo nido, la raccolta dei rifiuti, l’erogazione di bonus e contributi, pratiche e permessi per l’edilizia, viabilità, verde pubblico, concorsi pubblici, certificati e così via.
Semplificare e rendere più efficienti tutti questi servizi è una sfida complessa che richiede in primo luogo risorse e linee di indirizzo di carattere nazionale e in secondo luogo ha bisogno di competenze tecnologiche e capacità di creare sinergie.
Competenze tecnologiche per i Comuni: il ruolo di Developers Italia
Sul primo fronte è al lavoro il Dipartimento per la Trasformazione Digitale di Presidenza del Consiglio che coordina le rilevanti risorse finanziarie previste dal PNRR per servizi digitali, migrazione al cloud, integrazione con PagoPA e app IO, utilizzo di SPID da parte degli enti locali (qui gli avvisi già disponibili, altri sono in uscita in questi giorni).
Il secondo tema – quello di dotare capillarmente i comuni italiani di adeguate competenze tecnologiche e della capacità di fare sinergie – è sicuramente più complesso da risolvere ma trova la sua naturale cornice nel modello del riuso e nella sua declinazione operativa, Developers Italia. Developers Italia è nato nel 2017 su iniziativa del Team per la Trasformazione digitale di Presidenza del Consiglio (poi diventato Dipartimento): un ambiente di lavoro dove tutti i tecnici della pubblica amministrazione e i loro fornitori trovano informazioni, linee guida tecniche, forum e chat dove fare domande e soprattutto software pronto all’uso già disponibile, ben descritto e documentato. Developers Italia è l’ambiente in cui i comuni italiani che vogliono migliorare i propri servizi grazie al digitale fanno rete, rendono disponibili i propri servizi in riuso, individuano e valutano soluzioni da adottare all’interno della propria amministrazione, condividono conoscenze e opinioni. Senza la capacità di fare community, i comuni dovrebbero affrontare da soli (e sono troppo piccoli per farlo) la sfida di definire una strategia tecnologica per gestire ed erogare centinaia di servizi digitali, valutare la qualità dei software (dalla sicurezza, alla user experience, al livello di interoperabilità), muoversi in direzione del cloud, saper fare le domande giuste ai propri fornitori tecnologici, individuare le esperienze più solide di altri comuni e trasferirle all’interno del proprio, e così via. Questa leva è alla base della possibilità di comuni piccoli, con meno di 10.000 abitanti (come Vicopisano, Ala, Mori) o medi, fino ai 50.000 abitanti (come Verbania o Monopoli) di muoversi rapidamente in direzione dell’offerta di servizi digitali ai cittadini. La metodologia e gli strumenti su cui si basa Developers Italia sono quelli tipici del mondo open source su cui è innestato il modello del riuso definito dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD).
Sui temi del riuso e dell’open source si è già scritto molto, esiste da anni un ottimo impianto teorico ed un valido quadro normativo di riferimento, con linee guida e manuali che costituiscono strumenti pratici per le PA e per i propri fornitori che vogliono adottare questi modelli; a distanza di tempo, cosa accade nella pratica? Questi modelli funzionano realmente? Nelle righe che seguono avremo modo di vedere qualche esempio concreto e recente, focalizzato su una tematica particolarmente attuale: i servizi digitali.
Cultura open source in pratica
Senza pretendere di spiegare in poche righe il significato e il valore dell’open source nella pubblica amministrazione, possiamo raccontare alcuni aspetti della nostra esperienza. Da oltre dieci anni progettiamo e realizziamo software open source per i comuni italiani: iscrivere un figlio all’asilo, avere un calendario degli eventi in città, partecipare a un concorso pubblico, inviare una segnalazione o prenotare un appuntamento in comune sono solo alcuni esempi delle cose su cui lavoriamo ogni giorno. Sviluppare software per il settore pubblico ci dà stimoli e motivazioni aggiuntive: sappiamo che quello che facciamo ha impatti diretti su servizi di pubblica utilità e sulla vita quotidiana di milioni di cittadini.
Abbiamo un ambiente di sviluppo aperto, quindi pubblico: chiunque può controllare cosa facciamo, contribuire alle nostre soluzioni e utilizzarle liberamente in modo coerente rispetto alle licenze open source con cui sono pubblicate. Fare open source non significa solo pubblicare codice con la giusta licenza, bisogna anche avere un metodo di lavoro che permetta alle persone di usare o modificare il nostro software in modo efficace. Per farlo dobbiamo essere costantemente disponibili a spiegare quello che facciamo e perché lo facciamo e dobbiamo avere la capacità di ascoltare le persone che contribuiscono e valutano il nostro lavoro. Dobbiamo essere disponibili a rimetterci in discussione ogni volta per migliorare il nostro software in funzione dell’interazione con la comunità, adottando quindi un approccio agile.
Lavoriamo in questo modo perché questo approccio funziona, nel senso che secondo la nostra esperienza permette di produrre software di qualità, vicino ai bisogni delle persone e ad un costo produttivo ragionevole. Grazie alla nostra scelta, siamo parte di una comunità più ampia che ruota intorno al software open source, che ha un respiro internazionale e che gioca una parte rilevante nella creazione di software a livello globale. In questo modo abbiamo costante accesso a standard, best practice, competenze e persone che ci permettono di alzare la qualità del nostro lavoro.
Quando un’amministrazione sceglie alcuni dei servizi della nostra piattaforma (disponibile con licenza open source in questa pagina di Developers Italia) ottiene non solo una soluzione vicina ai propri bisogni, ma un software che continua a migliorare grazie alla collaborazione costante con centinaia di enti locali in tutto il Paese. In un certo senso, il nostro software non invecchia mai e non passa di moda, ma evolve. Un altro aspetto non secondario è l’eliminazione di ogni rischio di lock-in, che invece si verifica puntualmente quando si ricorre a soluzioni di software proprietario. Scegliere una soluzione open source realizzata in modo aperto, documentata e alimentata da tanti soggetti diversi permette a chi la usa di andare avanti anche senza di noi, se lo desidera.
L’esperienza ci ha insegnato che il concetto di riuso è declinabile in almeno due forme differenti:
- condivisione del software, che si propone di abbattere i costi di progettazione e realizzazione di codice funzionante e di qualità
- condivisione delle competenze digitali già presenti nella PA, un aspetto molto meno scontato ma determinante, specialmente in un momento storico in cui l’obiettivo è quello di accelerare la diffusione delle competenze e la digitalizzazione degli enti locali.
Cultura del riuso del software nella Pubblica Amministrazione
L’orientamento della pubblica amministrazione è molto chiaro su questo tema: il processo di acquisizione di qualunque software è regolato dagli artt. 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e dalle relative linee guida di attuazione.
Il processo, sintetizzato nella figura 1, prevede che le amministrazioni che hanno bisogno di un software debbano in via prioritaria selezionare e valutare soluzioni già presenti nella pubblica amministrazione e disponibili in riuso, in base ai propri fabbisogni. Il riuso è una modalità operativa che permette ad un’amministrazione di adottare software già utilizzato da un’altra. La pubblicazione in riuso avviene attraverso un insieme di tecniche e modalità operative basate sugli standard del mondo open source (licenze, strumenti di pubblicazione del software e così via). Il tutto è facilitato da Developers Italia, dove il catalogo dei software disponibili a riuso rende davvero semplice il percorso di individuazione di una soluzione che risponda ai propri bisogni.
Fig. 1 Analisi delle soluzioni a riuso e delle soluzioni open source. Fonte: Linee guida su acquisizione e riuso di software per e pubbliche amministrazioni
Secondo le linee guida per l’acquisizione di software, se un’amministrazione non trova una soluzione adatta disponibile in riuso deve selezionare e valutare soluzioni che siano comunque di tipo open source. Anche in questo caso il processo è facilitato da una sezione del catalogo del riuso dedicata a software open source di terze parti, per distinguerla da quello pubblicato direttamente dalle amministrazioni.
Tutte le altre scelte, in particolare quella di acquisire una licenza di software proprietario e quella di realizzare ex novo il software, rappresentano un ripiego, e anche in questo caso le amministrazioni devono operare in direzione del riuso: in caso di acquisto di software proprietario adoperarsi per acquisire una licenza che ne consenta la pubblicazione in riuso (percorso ovviamente difficile) e nel caso di sviluppo di software ex novo dotarlo di una licenza open source e renderlo disponibile per il riuso.
Quanto descritto sopra è ciò che è previsto dalla legge e ciò a cui sono tenute tutte le amministrazioni italiane. Senza entrare nel merito delle scelte legislative, è interessante osservare come esse siano coerenti con l’orientamento della comunità tecnologica globale e con alcuni dei progetti digitali di maggiore successo al mondo, da Wikipedia (tra i dieci siti più visitati al mondo) ad Android Open Source Project su cui è basato Android (il sistema operativo attualmente utilizzato da circa l’80% degli smartphone del pianeta) fino a Chromium su cui è basato Chrome (il browser più diffuso al mondo), solo per citarne alcuni.
La nostra quotidiana esperienza di lavoro con alcune centinaia di enti locali a livello nazionale – piccoli e grandi – conferma che si tratta di un modello efficace: riusciamo a produrre servizi digitali progettati con cura e sviluppati secondo il modello open source, pubblicati in riuso su Developers Italia, creando efficaci progetti di condivisione non solo di software, ma anche di esperienze (le cosiddette best practice). Per fare un esempio pratico, nel nostro modello la scheda che descrive il servizio (per esempio la scheda che descrive la richiesta di un bonus), il modulo on line che permette di attivarlo (per esempio il flusso on line che compie l’utente per fare la richiesta) sono dati aperti e costituiscono una fonte per tutti gli enti della community. In pratica si evita di progettare un servizio da zero ogni volta: un nuovo ente può partire da un servizio già definito in collaborazione con altri enti e usarlo come modello da adattare alle proprie necessità.
Condivisione della competenza digitale nella PA, attraverso il riuso
Per favorire la condivisione di competenze digitali tra PA, si possono adottare soluzioni diverse in base ai contesti, ma è comunque sempre necessaria anche una condivisione di intenti tra PA e provider tecnologici (pubblici o privati che siano) che vada ben oltre il tradizionale rapporto cliente-fornitore. Nel nostro caso, occupandoci di servizi digitali completi che hanno ripercussioni su molto fronti (procedimenti interni, privacy, diritti dei cittadini, integrazioni con basi dati esistenti, …) abbiamo notato che volte esistono a livello locale conoscenze normative molto approfondite e notevoli capacità di innovare i propri procedimenti, ma risulta al tempo stesso molto difficile “capitalizzare” tali competenze e condividerle con altri enti; il problema di fondo consiste nella difficoltà di “codificare” il sapere di funzionari e dirigenti nel software e rendere questo valore trasferibile presso altre PA. Abbiamo a quindi messo a punto uno strumento che consente:
- all’ente che ha competenze puntuali, di progettare e realizzare l’intero servizio, utilizzando dei pattern predefiniti (una sorta di “tessere Lego” che consentono di comporre l’intero procedimento: autenticazione con SPID/CIE, creazione della modulistica mobile-first, inserimento del calendario di prenotazione appuntamenti, personalizzazione dei messaggi che vengono mandati all’app IO per ciascuno step del servizio, configurazione dei pagamenti spontanei e del protocollo dell’ente);
- una definizione automatica dell’intero servizio (in formato machine-readable) che può essere scaricata da chiunque e che appare automaticamente appena il servizio digitale viene reso disponibile ai cittadini;
- all’ente che riusa il servizio, la possibilità di scaricare automaticamente il servizio dal sito creato da un ente virtuoso, personalizzarlo in base alle proprie esigenze ed attivarlo nel proprio portale in pochi minuti.
Un esempio semplice di questo approccio è avvenuto sul tema dei concorsi pubblici, ad esempio:
- il Comune di Mori (TN) ha effettuato un’approfondita analisi sul processo di digitalizzazione dei concorsi e messo a punto un servizio digitale completo, dalla registrazione della domanda del candidato alla comunicazione dell’esito finale
- il Comune di Verbania (VCO) ha recuperato automaticamente la definizione del servizio, l’ha adattato alle proprie esigenze e l’ha attivato nella propria piattaforma.
Un caso di servizio più complesso è stato affrontato dal Comune di Monopoli (BA), relativamente alle nomine degli scrutatori. Gianluigi Berardi, responsabile dell’anagrafe del Comune, spiega come funziona: ”La Commissione Elettorale Comunale di Monopoli si è dotata di un codice di autoregolamentazione per la nomina degli scrutatori che, nel rispetto delle disposizioni di legge e dei principi generali di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, consente anche di tener conto delle situazioni di indigenza in cui versano particolari categorie di cittadini, connesse alle oggettive difficoltà socio-economiche persistenti nel territorio comunale. Si tratta di uno strumento molto articolato in quanto, non soltanto tiene conto del requisito prescritto dalla legge per essere nominati scrutatori di seggio elettorale (cioè l’essere iscritti all’albo unico degli scrutatori) ma anche della condizione occupazionale e reddituale di ciascun soggetto. La procedura prevede l’attribuzione di specifici punteggi in relazione alla situazione occupazionale (non occupato, studente, disoccupato che usufruisce di ammortizzatori sociali, occupato a tempo indeterminato, occupato a tempo determinato), ed alla fascia di reddito ISEE dichiarate. A causa del considerevole numero di istanze annualmente pervenute (dalle 600 alle 800) e della laboriosità dei controlli da eseguire è sorta l’esigenza di gestire la procedura informaticamente”.
Una volta progettato e realizzato, Berardi, dichiara che “l’obiettivo è stato ottimamente raggiunto attraverso la piattaforma digitale e risulta vantaggioso sia per il cittadino che per l’ente.
Per il cittadino: il servizio digitale risulta facilmente fruibile mediante autenticazione (SPID), intuitivo in tutte le fasi di gestione (tant’è che a fronte di circa 100 domande pervenute in soli 10 giorni non si sono registrate richieste di “help” né rimostranze di alcun genere), veloce ed economico dal momento che tutte le notizie richieste e la documentazione a supporto viene “depositata” sul portale comunale senza costi di spedizione ovvero perdite di tempo per recarsi fisicamente agli sportelli comunali.
Per l’Ente: lo strumento restituisce tutti i dati e le informazioni necessarie per la individuazione e nomina degli scrutatori, per i controlli istruttori, elimina gli inserimenti manuali dei dati, fonte principale di errori, consente un notevole risparmio di tempo nella gestione complessiva della procedura.
Il risultato ottenuto è stato di gran lunga superiore alle aspettative e il dato più importante da evidenziare è che si tratta di uno strumento di gestione disponibile in riuso dai Comuni che riterranno di volerne beneficiare.”
Ma a questo punto, questo servizio digitale completo è disponibile anche ad altri comuni: può essere scaricato gratuitamente, adattato alle proprie esigenze e messo a disposizione dei propri cittadini.
Dal riuso al cloud: come si va in produzione
Nell’attuale fase di evoluzione delle tecnologie digitali, le soluzioni cloud rappresentano ormai lo standard di riferimento. L’utilizzo del cloud è perfettamente compatibile con un modello open source e con le pratiche di riuso di software nella pubblica amministrazione e peraltro è già regolato in maniera ottimale all’interno delle linee guida citate in precedenza, con un paragrafo dedicato alla scelta delle modalità di erogazione del software che chiarisce come le soluzioni open source e quelle a riuso possano essere fruite su infrastrutture cloud della PA (modello IaaS) oppure attraverso soluzioni cloud messe a disposizione da fornitori della PA (modello SaaS), purché dotati di certificazione. L’orientamento della pubblica amministrazione in tema di cloud è ulteriormente chiarito dal documento sulla strategia cloud Italia che adotta il principio cloud first e definisce quali soluzioni cloud sia possibile adottare nei diversi casi, in relazione al tipo di dati e servizi classificati in tre tipologie: strategici, critici e ordinari.
Nella nostra esperienza di lavoro con gli enti locali mettiamo a disposizione una soluzione cloud certificata nel marketplace Agid e stiamo verificando come sia una scelta efficace soprattutto per gli enti di piccole e medie dimensioni: comuni come Monopoli (Puglia), Verbania (Piemonte), Vicopisano (Toscana), Tavagnacco (Friuli Venezia Giulia) o Bolzano (Alto Adige) riescono in questo modo ad attivare rapidamente servizi digitali ben fatti, basati su esperienze maturate in altri enti locali: dal sistema per segnalare problemi in città fino alla piattaforma per partecipare un concorso, dal servizio per prenotare un appuntamento in comune fino alla richiesta di un bonus o al pagamento della mensa scolastica. Infine, possono svolgere un ruolo importante di coordinamento e creare sinergie utili le forme di associazione tra comuni: nel nostro caso abbiamo il piacere di collaborare con il Consorzio dei Comuni Trentini, tra i primi in Italia ad avviare un’offerta di servizi digitali ai cittadini coerente con la trasformazione digitale della pubblica amministrazione italiana.