Con l’approssimarsi della stagione dei dichiarativi fiscali, i profili impositivi correlati alle criptovalute tornano ad interessare gli operatori ed i contribuenti, considerando la sempre maggiore diffusione ed utilizzo di tali valute virtuali negli scambi commerciali. Un fenomeno questo che ha attirato, inevitabilmente, l’attenzione anche dell’Unione Europea che, da ultimo, con una proposta di risoluzione (20121/2201 – INI) circa l’impatto sulla tassazione delle nuove tecnologie di blockchain e criptovalute, predisposta dal Parlamento Europeo e pubblicato il 4 aprile 2022, ha riconosciuto come il crescente utilizzo delle cripto-attività stia costringendo le amministrazioni fiscali ad adeguare le attuali pratiche fiscali all’interno del mercato unico.
L’Unione Europea non può in questo senso assumere un ruolo guida, tenuto conto della necessità per tutti gli Stati membri di una tassazione equa, trasparente ed efficace attraverso una definizione comune e condivisa di base imponibile e di cripto-valute, tale da permettere il superamento di quelle situazioni di incertezza giuridica per cittadini ed imprese europei, derivanti dalle differenti prese di posizione che, sul tema, stanno assumendo le autorità fiscali dei singoli Stati membri.
In attesa di comprendere come queste necessità troveranno concreta realizzazione, si deve guardare alle interpretazioni ad oggi rese, per quanto riguarda l’Italia, dall’Agenzia delle entrate. In questo senso, di fondamentale rilevanza risulta il quadro interpretativo rappresentato con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, avuto riguardo sia ai profili IVA che a quelli di imposizione diretta.
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Criptovalute, le caratteristiche
Occupandosi infatti del trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali, le Entrate hanno innanzitutto fornito una definizione e delineato le caratteristiche dei bitcoin.
Intanto si tratta di una tipologia di moneta “virtuale”, o meglio “criptovaluta”, utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria. Il bitcoin come mezzo di pagamento circola in ragione della accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi: in questo modo, ne viene riconosciuto il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge. Il sistema di pagamento è decentralizzato, e si struttura attraverso una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione.
Caratteristiche
Le criptovalute, inoltre, presentano due fondamentali caratteristiche:
- non hanno natura fisica, bensì digitale, essendo create, memorizzate e utilizzate non su supporto fisico bensì su dispositivi elettronici (ad esempio smartphone), nei quali vengono conservate in “portafogli elettronici” (cd. wallet) e sono pertanto liberamente accessibili e trasferibili dal titolare, in possesso delle necessarie credenziali, in qualsiasi momento, senza bisogno dell’intervento di terzi;
- sono emessi e funzionano grazie a dei codici crittografici e a dei complessi calcoli algoritmici. I bitcoin vengono infatti generati grazie alla creazione di algoritmi matematici, tramite un processo di mining (letteralmente “estrazione”) e i soggetti che creano e sviluppano tali algoritmi sono detti miner.
Lo scambio dei codici criptati tra gli utenti (user), operatori sia economici che privati, avviene per mezzo di una applicazione software. Per utilizzare i bitcoin, gli utenti devono entrarne in possesso:
- acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale;
- accettandoli come corrispettivo per la vendita di beni o servizi.
Gli user utilizzano le monete virtuali, in alternativa alle valute tradizionali principalmente come mezzo di pagamento per regolare gli scambi di beni e servizi ma anche per fini speculativi attraverso piattaforme on line che consentono lo scambio di bitcoin con altre valute tradizionali sulla base del relativo tasso cambio.
Criptovalute, profili IVA secondo l’Agenzia delle Entrate
Sotto il profilo dell’imposizione indiretta, ad avviso delle Entrate le commissioni percepite da una società che effettua operazioni di acquisto e vendita di bitcoin (pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente per l’acquisto o la vendita di bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla società sul mercato) sono esenti IVA ai sensi dell’art. 10 co. 1 n. 3) del DPR 633/72. Costituiscono infatti prestazioni di servizi finanziari. La posizione espressa dall’Agenzia delle entrate è conforme ai principi espressi dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 22 ottobre 2015, relativa alla causa C-264/14. Il giudizio origina dalla richiesta del Governo svedese di individuare il regime di applicazione dell’IVA in ordine alle operazioni di cambio valute in bitcoin da parte di un exchange.
Secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE. Come ricorda l’Agenzia delle entrate, in assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, tale sentenza costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico ai bitcoin. Tenuto quindi conto di quanto affermato dai giudici europei, l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività che rientra nel campo di applicazione dell’IVA, ma comunque rientrante tra i servizi esenti ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 3 del DPR 633/72, in quanto assimilabile ad un’operazione relativa a valute estere aventi corso legale.
Imposizione diretta
Sotto il profilo dell’imposizione diretta, le Entrate distinguono la tassazione in capo all’intermediario da quella realizzata da parte della persona fisica che detiene le criptovalute al di fuori dell’attività di impresa. In particolare, dal punto di vista operativo il meccanismo di funzionamento prevede che:
- in caso di ordine di acquistare, il cliente anticipa le risorse finanziarie alla Società che, effettuato l’acquisto di bitcoin, provvede a registrare nel wallet (“borsellino”) del cliente i codici relativi ai bitcoin acquistati;
- in caso di ordine di vendere, la Società preleva dal cliente i bitcoin e gli accredita, successivamente al completamento effettivo della vendita, la somma convenuta.
L’esempio della società
Il guadagno (o la perdita) di competenza della Società che opera da intermediario è rappresentato dalla differenza tra quanto anticipato dal cliente e quanto speso dalla Società per l’acquisto o tra quanto incassato dalla Società per la vendita e quanto riversato al cliente. Tale elemento di reddito costituisce voce di ricavo (o di costo) caratteristico di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata, contribuendo quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires (ed Irap).
Se a fine esercizio, la Società detiene ancora bitcoin (a titolo di proprietà), gli stessi devono essere valutati secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio: tale valutazione assume rilievo ai fini fiscali e va determinata in base al valore normale e cioè al valore corrispondente alla quotazione degli stessi bitcoin al termine dell’esercizio.
Il caso della persona fisica
Quanto invece alla persona fisica che detiene bitcoin al di fuori dell’attività di impresa, la risoluzione n. 72/E/2016 in commento chiarisce come le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa. Tuttavia, quando la cessione o la giacenza media del wallet risulti superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi consecutivi, in caso di plusvalenza si genera un reddito diverso di natura finanziaria, ai sensi dell’art. 67 comma 1 lett. c-ter) e comma 1-ter del TUIR, da assoggettare a imposta sostitutiva del 26% e dichiarare nel quadri RT del contribuente persona fisica. Opera infatti in questo caso la presunzione speculativa prevista dall’art. 67 TUIR: il valore della giacenza media deve essere calcolato secondo il cambio vigente al 1° gennaio dell’anno di riferimento del presupposto impositivo, utilizzando il valore rinvenibile sul sito dove sono state acquistate le valute virtuali, oppure – in mancanza – sul sito ove sono state effettuate la maggioranza delle operazioni.
Il quadro RW
Da ultimo, si ricorda come le valute virtuali rilevano ai fini della disciplina del monitoraggio fiscale, di cui all’art. 4 del DL 167/90: i soggetti residenti in Italia e cioè persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate, ai sensi dell’art. 5 del TUIR, devono dichiararle nel quadro RW, in quanto attività assimilabili alle valute estere e, di conseguenza, ad investimenti di natura finanziaria detenuti all’estero. Indicazioni queste confermate anche dalle istruzioni al modello Redditi PF 2022.