sostenibilità

Cambiamenti climatici: mitigarli o adattarsi? Proposte e strumenti giuridici per orientarsi

Gli interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti richiedono migliore conoscenza delle dinamiche climatiche. Due progetti, di Royal Society e dell’UE, sono utili per una nuova prospettiva della modellazione climatica. Ma nelle scelte tra fare e non fare un ruolo importante è giocato anche dagli strumenti giuridici

Pubblicato il 27 Giu 2022

Amedeo Santosuosso

IUSS Pavia e Dipartimento giurisprudenza UNIPV

Cop27 e le sfide dei cambiamenti climatici: L'Italia parte con il piede sbagliato

Il cambiamento climatico e le misure necessarie per contrastarlo è, di tutta evidenza, un tema di straordinaria ampiezza e difficoltà.

Per affrontarlo nella sua complessità e per comprendere l’attuale polarizzazione tra interventi di mitigazione e di adattamento, occorre partire dall’analisi di alcune proposte e progetti centrati sul climate modeling, con forte caratterizzazione tecnico scientifica: il primo è opera dell’autorevole Royal Society di Londra, e, l’altro, dell’Unione Europea. Ma non si possono non considerare anche alcune implicazioni, specie nelle scelte tra fare e non fare, e le difficoltà, ma anche le nuances, del ruolo giocato dagli strumenti giuridici.

Scienza e tecnologia, se il criterio è il “rischio”: problemi e condizioni

La Royal Society e le principali accademie scientifiche mondiali

Nel maggio 2021 la Royal Society all’esito di un lavoro svolto da 120 esperti di molte discipline e provenienti da circa 20 paesi, in collaborazione con le principali accademie scientifiche mondiali, ha emesso un testo sintetico ma di ampia visione dal titolo A net zero climate-resilient future: science, technology and the solutions for change, che vuole mostrare “come la scienza e la tecnologia possano aiutare ad affrontare il cambiamento climatico in 12 aree specifiche che saranno fondamentali nello sforzo per raggiungere emissioni nette zero entro il 2050 e adattarsi agli impatti del cambiamento climatico”.

Le aree specifiche, tratteggiate in estrema sintesi, riguardano il ciclo del carbonio (e la necessità di una comprensione più approfondita di come la terra e l’oceano agiscano nell’assorbire più della metà dell’anidride carbonica emessa dall’attività umana), le batterie (con l’importanza delle batterie al litio nel decarbonizzare la produzione di energia elettrica), il riscaldamento e la refrigerazione (che rappresentano il 40% delle emissioni di anidride carbonica), l’idrogeno (come alternativa alle fonti fossili), le tecniche per catturare la CO2, la resilienza climatica, l’uso del territorio e il sistema globale di produzione di cibo, la salute e i problemi di carattere politico ed economico.

La  modellazione climatica e la tecnologia digitale

Un ruolo centrale, e in un certo senso preliminare, è affidato alla modellazione climatica e alla tecnologia digitale, che sono al centro di un documento rilasciato nello stesso mese di giugno 2021 dalla stessa Royal Society: Next generation climate models: a step change for net zero and climate adaptation.

Il punto di partenza è dato dalla constatazione che, con l’accesso a enormi quantità di dati, la scienza informatica ha il potenziale per creare “gemelli digitali” (digital twins) che simulano e ottimizzano più settori dell’economia per ridurre significativamente le emissioni di carbonio entro il 2030.

La creazione di modelli che simulano il sistema climatico terrestre è stata una delle grandi conquiste scientifiche dell’ultimo mezzo secolo, spesso discusso anche criticamente. Tuttavia, la novità sta nel fatto che oggi è possibile raggiungere un cambiamento radicale nella risoluzione arrivando a una scala chilometrica[1] e nella capacità di calcolo che consente di comprendere appieno gli impatti globali dei cambiamenti climatici. Questa nuova generazione di modelli climatici richiederà una collaborazione internazionale per sfruttare la potenza dell’elaborazione a livello exascale, cioè con sistemi informatici (supercomputer) che negli ultimi anni hanno guadagnato una velocità di calcolo impensabile fino a un passato recente.

Si dovrebbe trattare di una struttura dedicata, di scala senza precedenti, con un ruolo simile a quello del CERN nella fisica delle particelle, che supererebbe le barriere scientifiche e tecniche nel fornire previsioni climatiche tempestive, dettagliate, coerenti e attuabili per il prossimo secolo. La struttura, che potrebbe essere una singola entità fisica, simile al CERN, o una costellazione strettamente interconnessa di strutture su scala nazionale/internazionale, dovrebbe utilizzare le ultime tecnologie digitali nell’analisi dei dati e nell’informatica, come l’intelligenza artificiale (AI), l’apprendimento automatico e la visualizzazione avanzata.

Il Progetto europeo DestinE

Un approccio analogo è alla base del progetto EU Destination Earth (DestinE), che, secondo le informazioni ufficiali, fornirà capacità uniche di modellazione digitale della Terra per migliorare la capacità dell’UE di monitorare e modellare i cambiamenti ambientali, prevedere eventi estremi e adattare le azioni e le politiche dell’UE alle sfide legate al clima.

Le tappe fondamentali prevedono, entro il 2024, lo sviluppo della piattaforma di servizi core, del data lake e dei primi due digital twin sugli eventi naturali estremi e sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Entro il 2027 è previsto un ulteriore miglioramento del sistema e l’integrazione di gemelli digitali aggiuntivi e servizi correlati, mentre, entro il 2030, una replica digitale “completa” della Terra.

DestinE si basa sugli investimenti dell’UE nel calcolo ad alte prestazioni, nell’enorme spazio e nelle fonti di dati socioeconomici a disposizione e sull’eccellenza europea nei dati e nelle tecnologie di intelligenza artificiale.

Il progetto della Commissione è gestito in coordinamento con gli stati membri e i paesi associati e sarà operato dalla Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency). La piattaforma principale fornirà strumenti decisionali basati su un sistema di elaborazione che opera su cloud aperto, flessibile e sicuro. Unirà dati, cloud e calcolo ad alte prestazioni e integrerà l’accesso ai gemelli digitali (Digital twins). Lo schema tecnico di massima è il seguente:

Il Data Lake di DestinE fornirà l’archiviazione e l’accesso ai dati provenienti dalle risorse di Copernicus, dai tre partner di Destination Earth[2] e da altre fonti, inclusi dati socioeconomici. EUMETSAT sarà responsabile del data lake.

Degno di nota è lo spazio riservato ai dati socioeconomici, che potrebbe essere esteso fino a comprendere anche gli aspetti culturali, etici e giuridici.

Cosa hanno in comune i progetti della Royal society e dell’UE 

Sia il progetto della Royal society, sia quello dell’UE partono dall’idea di sfruttare le nuove capacità di calcolo (high performance computing) e le tecnologie attuali: queste offrono risultati che i precedenti sistemi di modellazione non potevano avere per limiti tecnici. Sono inclusi l’utilizzazione di metodi di IA capaci di raccogliere e organizzare i dati che emergono dal Digital continuum, costituito dai sistemi di Internet of things, dagli smart network ai cloud ai big data, e quello di creare digital twins dei vari sistemi ambientali.

L’obiettivo dichiarato di DestinE è quello di fornire supporto basato su prove (evidence-based) per i responsabili politici dell’UE e degli Stati membri a tutti i livelli sia sulle strategie di adattamento (adaptation) ambientale dell’UE, sia sulle azioni e politiche di mitigazione (mitigation).

Per parte sua la Royal Society ha l’ambizione di contribuire ad “accelerare l’azione sui cambiamenti climatici”, raccomandando a ogni governo di sviluppare una tabella di marcia basata su prove che definisca le tecnologie necessarie per raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra (GHG) a zero. Una forte scienza del clima sarà essenziale per assicurare che le azioni tese a mitigare siano compatibili con i cambiamenti nel clima e non abbiano conseguenze inattese e anche per dare forma al processo di adattamento a livello globale, regionale e locale, con implicazioni per la protezione di vite, mezzi di sussistenza e infrastrutture critiche, per garantire la sostenibilità.

In sintesi, per quanto la prospettiva del Climate modeling rimanga controversa (soprattutto per le previsioni passate), l’idea alla base dei due progetti è che sia oggi possibile una nuova elaborazione dei dati, solida e dettagliata, sull’evoluzione climatica a tutti i livelli, utile per tutti gli interventi, sia di mitigazione, sia di adattamento.

Mitigazione o adattamento (not doing vs. doing?)

E qui viene un punto delicato. Mitigation e adaptation sono prospettive alle quali fanno capo due tipi di interventi che tradizionalmente sono considerati nettamente distinti, tesi, i primi, a ridurre progressivamente fino a zero, la produzione umana di anidride carbonica e gas serra, mentre, i secondi, a porre rimedio agli effetti catastrofici che quelle emissioni producono, agendo a valle della loro produzione. I primi interventi agiscono riducendo le cause e, quindi, evitando di procurare danni ulteriori, in questo senso ispirandosi al not doing. I secondi, invece, sono costituiti da azioni ingegneristiche e sociali che in qualche modo prendono atto del cambiamento climatico già prodotto e danno una risposta adattativa ad esso con soluzioni ingegneristiche (climate engineering o geoengineering), quindi ispirati al fare (doing).

I primi saldamente ispirati alla visione tradizionale e stretta del “principio” di precauzione (che suggerisce politiche più severe di “non fare” se non vi è certezza scientifica di non nuocere all’ambiente), i secondi ispirati (semmai) più a un “approccio” precauzionale (secondo il quale l’idea di precauzione può anche cambiare nel tempo e secondo il quale anche “non fare nulla” può, in date circostanze, essere rischioso) oppure a un approccio basato sul rischio[3].

Facile immaginare come si tratti di argomenti e prospettive che suscitano reazioni forti, in particolare per la netta opposizione agli interventi adattativi da parte di coloro che vedono nelle tecniche adattative un mero pretesto per non fare, in termini di riduzione delle emissioni, tutto quello che si può fare. Senza contare le critiche di quelli che sostengono che i rimedi di ingegneria climatica appartengono culturalmente ed economicamente a quel mondo e a quel modello di sviluppo che ha prodotto il riscaldamento globale e che, quindi, non può produrre la soluzione ai problemi creati da quello stesso modello. Oppure coloro i quali sostengono che la modellazione del clima è basata sull’erroneo presupposto di una crescita economica senza fine in tutte le regioni del mondo e dell’attenzione al cambiamento tecnologico piuttosto che al cambiamento politico e sociale. E altro ancora, senza contare le critiche di tipo più strettamente tecnico[4].

Tempi e tipi di intervento

Tuttavia, la situazione è talmente grave e complessa da non prestarsi a semplificazioni. Il tempo e lo spazio giocano un ruolo assai importante, così come la scala degli eventi e dei fenomeni.

Quando il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, afferma che “la corsa alla resilienza è importante tanto quanto la corsa al net zero”[5] presuppone che ognuno degli interventi umani per la riduzione del cambiamento climatico si collochi in un tempo che è il tempo dell’effetto che si vuole contrastare (l’evoluzione del fenomeno per come conosciuto oggi), il tempo dell’intervento umano (not doing oppure doing) e il tempo degli effetti dell’intervento umano[6].

In altri termini, il tempo è quello della causazione dei fenomeni e quello degli effetti delle politiche che vengono adottate. Al netto dei cambiamenti climatici che il pianeta terra ha avuto negli scorsi millenni, il cambiamento climatico di origine antropica che osserviamo oggi è frutto di quanto è stato fatto negli ultimi secoli, in particolare con lo sviluppo industriale. Vi sono prove crescenti che le influenze umane stanno aumentando la probabilità e la gravità di molti eventi meteorologici estremi, con effetti catastrofici. E ulteriori cambiamenti climatici sono inevitabili, anche se le emissioni cessassero oggi, a causa dell’attuale accumulo di carbonio nell’atmosfera e dell’inerzia del sistema.

Messa in questi termini l’opposizione tra not doing=mitigation vs. doing=adaptation risulta mal posta, se non semplicistica.

Si consideri, tra i vari aspetti, che la mitigation è la strategia che promette gli effetti più sicuri, ma in una proiezione temporale lunga o molto lunga. Inoltre, condiviso l’obiettivo di evitare o ridurre gli eventi catastrofici, ci si può chiedere quale sia l’obiettivo finale: ritornare ai livelli climatici di quando? Di prima dell’era industriale? O di quale momento intermedio? Non paia un discorso insensato a fronte delle catastrofi che si annunciano: è chiaro che l’obiettivo, anche distante, è quello che indica il senso dell’azione.

Inoltre, la mitigation non è puro non-fare, perché il non produrre CO2 e gas serra richiede il fare molte cose, in termini di riconversione industriale, energetica, degli stili di vita e molto altro. Tutte scelte che richiedono una migliore conoscenza degli sviluppi climatici e delle loro localizzazioni.

Adattamento, invece, significa anticipare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e intraprendere le azioni appropriate per prevenire o ridurre al minimo i danni che possono causare o sfruttare le opportunità che possono presentarsi. Esempi di misure di adattamento includono cambiamenti infrastrutturali su larga scala, come la costruzione di difese per proteggersi dall’innalzamento del livello del mare, nonché cambiamenti comportamentali, come la riduzione degli sprechi alimentari da parte degli individui. In sostanza, l’adattamento può essere inteso come il processo di adattamento agli effetti attuali e futuri del cambiamento climatico[7].

Vi sono, poi, anche sfumature linguistiche. A volte il termine adaptation è usato in modo intercambiabile con quello di resilience, che però nel suo significato originario coglie un aspetto particolare, e cioè la capacità di reagire a un evento dannoso recuperando una condizione di equilibrio, così indicando una prospettiva di più breve periodo rispetto a quella adattativa[8].

I principali interventi di ingegneria climatica

Gli interventi di adaptation comportano (almeno una parte) un agire immediato che, ove attuato con criterio e con una accurata valutazione del rischio, possono procurare effetti positivi che, per limitati che siano, si verificano nel breve termine. E poi, a ben vedere, anche le tecniche di climate engineering non sono sempre e comunque rivolte ad agire sugli effetti (come nel caso della rimozione dell’eccesso di anidride carbonica) ma possono avere anche l’ambizione di agire con soluzioni ingegneristiche sulla causa del riscaldamento attraverso, per esempio, la modificazione della radiazione solare: “Gestire la radiazione solare significa schermare i raggi solari lungo tutte le frequenze luminose che arrivano sulla superficie della terra: ultravioletto, visibile e vicino infrarosso. Per far questo, si può agire sulla superficie, nella troposfera o nell’alta atmosfera oppure direttamente nello spazio fra il nostro pianeta e il sole”[9].

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) definisce la geoingegneria come “un ampio insieme di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico al fine di alleviare gli impatti dei cambiamenti climatici” (IPCC, AR5).

La rimozione dell’eccesso di anidride carbonica

I principali interventi di ingegneria climatica sono la rimozione dell’eccesso di anidride carbonica dall’atmosfera (Carbon dioxide removal technologies, CDR), e la modifica della radiazione solare (Solar radiation modification, SRM). Attraverso interventi atmosferici che riflettono più luce solare nello spazio o consentono a più radiazioni infrarosse di fuoriuscire nello spazio. Queste tecniche tentano di compensare gli effetti dell’aumento delle concentrazioni di gas serra accettando al tempo stesso tali concentrazioni aumentate.

La rimozione dell’eccesso di anidride carbonica dall’atmosfera comprende metodi come la cattura diretta della CO2 presente nell’aria, il miglioramento delle capacità di assorbimento del terreno (per es. piantando alberi) o degli oceani e altri. Per questi interventi le principali criticità sono costituite dalla difficoltà di valutare accuratamente il grado di incidenza e degli effetti sull’ambiente, sia i rischi connessi alla creazione di luoghi di stoccaggio della CO2).

La modifica della radiazione solare

La modifica della radiazione solare include interventi tesi all’incremento della capacità di riflettere i raggi solari della superficie del pianeta (per es. dipingendo di bianco o con vernici appropriate case e strade o con particolari piantagioni) o delle nuvole o degli strati bassi dell’atmosfera ( con iniezioni di gas in modo simile a quanto accade nelle grandi eruzioni vulcaniche) o piazzando degli schermi riflettenti. Questi interventi promettono di produrre effetti a breve termine, ma sono accompagnati da incertezze di valutazione del loro impatto, della durata dell’effetto, della loro stabilità nello spazio.

In sintesi, si può dire che gli interventi sia di mitigazione, sia di adattamento (o resilienza) richiedono una migliore conoscenza delle dinamiche climatiche e che, da questo punto di vista, i progetti della Royal Society e dell’UE costituiscono un passaggio importante, specie se vengono superati i vecchi limiti della modellazione climatica. Per entrambi è necessaria un’accurata valutazione del rischio sotto profili diversi (inclusi quelli sulla reversibilità) [10] e che tengano conto della distribuzione dei rischi e benefici nel tempo e, anche, nello spazio, prospettiva quest’ultima che acquista importanza particolare per i profili di governance e giuridici. DI questi si parla nel prossimo paragrafo.

Spazio, diritto internazionale e attivismo dei cittadini

L’azione sul cambiamento climatico soffre di un divario tra l’approccio “naturalmente” globale richiesto dall’azione e dalla politica e l’ordinamento giuridico internazionale per lo più ancora basato sugli stati nazionali: ci sono problemi circa l’accordo sulle misure da adottare, problemi con la distribuzione di oneri e benefici, e altro ancora.

Il diritto internazionale è, finora, altamente inefficace nella riduzione del cambiamento climatico. L’accordo di Parigi sul clima ne è un buon esempio. Non è giuridicamente vincolante e, inoltre, il sistema di reazione alla violazione degli impegni degli stati è altamente inefficace, poiché la stragrande maggioranza dei paesi attualmente non mantiene le promesse.

Il motivo principale è che il diritto internazionale si basa su un modello contrattuale (espresso nel motto: nothing is agreed until everything is agreed). Ciò significa che ciascuna parte (cioè uno stato nazione) deve avere un proprio interesse per firmare l’accordo, altrimenti non c’è accordo. Raggiungere tale accordo non è facile in un campo in cui le dimensioni spaziali e temporali divergono naturalmente (gli effetti di un intervento non si verificano necessariamente nello stesso territorio dello Stato che ha preso l’iniziativa e ne ha sostenuto i costi e nello stesso momento in cui l’iniziativa è stata presa).

Questa è una caratteristica generale dell’azione contro il cambiamento climatico e del diritto internazionale.

La questione diventa ancora più difficile quando si passa da misure di riduzione dell’impatto, basate essenzialmente sull’idea di non fare qualcosa, ovvero evitare quelle attività umane più dannose per l’ambiente, all’idea di fare qualcosa con misure adattative che possano alleviare gli effetti più gravi del cambiamento climatico.

Ha un’aura di buon senso l’idea che fare qualcosa implichi una maggiore responsabilità per la persona che prende quella decisione (per esempio, chi si assume la responsabilità del fallimento delle misure di geoingegneria o degli effetti collaterali negativi imprevisti?). Tuttavia, sappiamo che, in termini etici e giuridici, in determinate circostanze, non fare può equivalere a fare (ad esempio, se si ha l’opportunità/dovere di impedire che un evento accada e si rimane inattivi, consentendo che l’evento previsto accada). È il caso di una persona o di uno Stato che ha l’obbligo legale di intervenire, il dovere di evitare un evento. È necessario che esista un esplicito obbligo giuridico o un duty of care.

In quest’ottica il problema può essere riformulato come segue: ci sono nel diritto internazionale obblighi degli Stati ad avere una condotta per evitare l’aggravarsi della situazione globale?

Ad esempio, i diritti umani hanno a che fare con il clima? Questa domanda consente di uscire, almeno un po’, dalla frustrazione in cui sembra cacciarci la prospettiva tradizionale del diritto internazionale. Esiste, infatti, un’ampia casistica giudiziaria in cui gruppi di cittadini hanno promosso azioni legali contro i propri stati facendo proprio valere la violazione dei diritti umani da parte di quegli stati che non hanno dato seguito pratico agli impegni assunti a livello internazionale. Il fenomeno, sul quale varrà la pena di tornare, è più ampio di quanto si possa immaginare e ha visto un numero cospicuo di successi raccolti dai cittadini.

Conclusioni

Joana Setzer and Catherine Higham hanno pubblicato uno studio intitolato Global trends in climate change litigation: 2021 snapshot (July 2021)[11] che registra un aumento dei casi relativi ai cambiamenti climatici, che è più che raddoppiato dal 2015. Mentre erano stati depositati poco più di 800 casi tra il 1986 e il 2014, negli ultimi sei anni sono state avviate oltre 1.000 cause con un forte aumento dei casi “strategici”, che mirano a determinare un cambiamento più ampio della società. Il contenzioso specifico con gli obiettivi climatici ha una buona percentuale di successi, con una serie di vittorie importanti negli ultimi anni, dove spicca il numero di casi che contestano l’inazione o la mancanza di azione del governo.

Non sarà la soluzione di tutti i problemi, ma sono iniziative degne di nota per l’attivismo di gruppi di cittadini e associazioni un po’ in tutto il mondo. Così come sono interessanti alcune iniziative con taglio transnazionale, come il movimento We are still in, che partì negli USA dopo l’uscita dell’amministrazione Trump dall’Accordo di Parigi sul clima[12].

Note

  1. Era una delle critiche principali ai modelli climatici: si veda per esempio Robert L. Bradley Jr., Climate Models: Worse Than Nothing? – June 23, 2021, https://www.aier.org/article/climate-models-worse-than-nothing/
  2. European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (ECMWF) e European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites (EUMETSAT)
  3. Sulle diverse posizioni sul punto sia consentito rinviare al mio Scienza e tecnologia, se il criterio è il “rischio”: problemi e condizioni, in Agenda digitale, 17 dicembre 2021, https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/scienza-tecnologia-e-societa-problemi-e-condizioni-del-rischio-come-criterio/
  4. Si veda tra i tanti Robert L. Bradley Jr., Climate Models: Worse Than Nothing? – June 23, 2021, https://www.aier.org/article/climate-models-worse-than-nothing/
  5. United Nations Secretary-General. 2020 Secretary’s General at Columbia University: “The State of the Planet”: https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2020-12-02/address-columbia-university-the-state-of-the-planet
  6. Il 24 November 2021 il gruppo COMEST dell’UNESCO ha approvato una Concept note sull’etica della ingegneria climatica (The Ethics of Climate Engineering), un documento provvisorio e preparatorio dei lavori di una commissione che produrrà un Report completo nel prossimo anno: https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000379991 .
  7. Definizione della European Environment Agency https://www.eea.europa.eu/help/faq/what-is-the-difference-between#:~:text=In%20essence%2C%20adaptation%20can%20be,(GHG)%20into%20the%20atmosphere.
  8. Per i diversi usi e le sfumature tra i due concetti in ambito politico e nei documenti internazionali è interessante Climate Change: Defining Adaptation and Resilience, with Implications for Policy (May 11, 2021), documento preparato da Jane A. Leggett, per il Congressional Research Service, https://sgp.fas.org/crs/misc/IF11827.pdf
  9. Si veda Luca Longo, Geoingegneria per salvare il pianeta. Modificare il clima su grande scala si può? L’ingegneria climatica o geoingegneria sostiene di poter affrontare l’aumento della temperatura intervenendo sul sistema climatico, https://www.eni.com/it-IT/low-carbon/geoingegneria-climatica.html .
  10. Sul punto rinvio ancora al mio Scienza e tecnologia, se il criterio è il “rischio”
  11. Setzer J and Higham C (2021) Global trends in climate change litigation: 2021 snapshot. London: Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment and Centre for Climate Change Economics and Policy, London School of Economics and Political Science, https://www.lse.ac.uk/granthaminstitute/wp-content/uploads/2021/07/Global-trends-in-climate-change-litigation_2021-snapshot.pdf . Sul tema si veda anche l’intervista di Elena Comelli alla Prof.sa Barbara Pozzo apparsda in Corriere della Sera – Buone notizie del 18 gennaio 2022. E inoltre Giuliana Viglione, Climate Lawsuits. Break New Ground To Protect The Planet, in Nature | Vol 579 | 12 March 2020.
  12. Si veda A.Santosuosso, Intelligenza artificiale e diritto, Mondadori Università, 2020, p. 289. Si veda anche https://www.americaisallin.com/

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