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Piano Scuola 4.0, sarà la volta buona per innovare la didattica? Punti di forza e problemi

Dall’introduzione della LIM al Piano Nazionale Scuola Digitale, i piani per innovare la Scuola si sono susseguiti, senza però riuscire a compiere il processo di digitalizzazione del sistema. Il Piano Scuola 4.0 potrebbe essere una vera svolta, a patto che ci si liberi da alcune zavorre ingombranti nel percorso al 2026

Pubblicato il 22 Giu 2022

Gabriele Benassi

già Consulente della vice ministra Anna Ascani, Servizio Marconi TSI USR ER, Equipe formativa nazionale

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Il ministro Patrizio Bianchi ha recentemente firmato il Piano Scuola 4.0 che raccoglierà l’eredità del Piano Nazionale Scuola Digitale e inietterà nelle scuole statali una cifra di 2,1 miliardi di euro.

Secondo una recente intervista rilasciata dallo stesso ministro[1] le procedure di gestione amministrativa di questi fondi saranno velocizzate, non conosceranno bandi e verranno accompagnate da azioni di sistema capillari. Sempre dalla stessa intervista, emerge la volontà ad imprimere un’accelerazione importante all’innovazione didattica, prima di tutto metodologica, alla formazione dei docenti e alla digitalizzazione della scuola anche per gli aspetti amministrativi.

La scuola di domani bisogna pensarla oggi: i pilastri per non fallire

Qualche lettore attento sicuramente dirà che siamo alle solite, che di queste parole ne abbiamo sentite e lette molte in molte altre occasioni. In questa occasione, probabilmente, si sbaglia. Forse siamo davvero di fronte ad un’ulteriore accelerazione, dopo il Piano Nazionale Scuola digitale e i due anni di Covid-19.

Mi piace pensare al Piano Scuola 4.0 ad un traghetto che ci deve portare, da qui al 2026, ad una scuola in cui la connettività e il digitale siano la normalità nel quotidiano scolastico e la tecnologia trasparente, come è oggi l’astuccio, il compasso, il libro di testo. Mi piace pensare al Piano Nazionale Scuola digitale come ad un albero ormai stanco, a cui si innesta una pianta nuova, che abbia medesime radici e che possa crescere più robusta.

Al di là delle metafore, che ci aiutano a dare un significato ed una prospettiva al piano Scuola 4.0, proviamo a capire meglio di cosa si tratta e come si articoli, riferendoci ad oggi ai documenti UE ed al sito dedicato al PNRR. italiadomani.gov.it.

Da dove partiamo

Il processo di digitalizzazione della scuola risale all’introduzione delle lavagne interattive multimediali in circa 30.000 scuole (si chiamava Azione LIM[2]) e al finanziamento di 400 classi 2.0 per la sperimentazione di una didattica innovativa con il digitale. Parallelamente a queste due azioni ad inizio della prima decade del secolo, partirono anche progetti che anticiparono una didattica della “vicinanza”, come il progetto @urora[3] e il progetto HSH (Hospital School Home)[4] . Di questo periodo è anche il progetto Scuola 2.0, che coinvolse poche scuole a livello nazionale, richiedendo un coinvolgimento di tutte le classi. Parallelamente a queste azioni, partirono i percorsi di formazione per i docenti.

Se andiamo a considerare i dati dell’Osservatorio tecnologico di quegli anni, oltre la metà delle aule era senza connessione e solo il 10,3% possedeva una connessione veloce.

Dal 2015, con l’approvazione del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) incardinato nella legge 107, supportato anche dai fondi strutturali europei del Programma operativo nazionale 2014-2020, la digitalizzazione della scuola italiana ha conosciuto un’accelerazione significativa grazie allo sviluppo più o meno efficace di 35 azioni. Sono gli anni in cui il registro elettronico diventa normalità nel 99% degli istituti, nonostante forti resistenze iniziali, in cui le LIM e gli schermi arrivano a coprire la quasi totalità delle classi e i dispositivi mobili cominciano ad essere utilizzati come strumenti di lavoro in percentuali significative; si cominciano a sperimentare nuovi ambienti di apprendimento attraverso l’utilizzo delle prime piattaforme scolastiche o di semplici ambienti cloud per i contenuti e utilizzando il digitale in modo costruttivista e costruzionista.

Per la prima volta si comincia a parlare di Byod e a praticarlo in alcune classi o plessi scolastici. È in questo quinquennio che anche la segreteria diventa sempre più digitale, informatizzando la gestione dei documenti. Nascono gli animatori digitali e i team digitali, si introducono nuove metodologie ed attività come il coding, il tinkering, il making.

Il Piano Nazionale Scuola digitale e l’impatto del covid

Il Piano Nazionale Scuola digitale, curato e coordinato da Damien Lanfrey e Donatella Solda e da un gruppo di lavoro ben coordinato e integrato di professionisti appassionati della scuola, è ancora oggi l’architrave culturale della digitalizzazione del sistema scolastico italiano, come ben compreso durante la pandemia e il lockdown.

In questi due anni di didattica a distanza, digitale integrata, per fronteggiare una emergenza storica il digitale ha di fatto permesso una continuità didattica ed educativa, pur con molte differenze e distinzioni dovute sia all’aspetto infrastrutturale che soprattutto a quello metodologico didattico. È però innegabile che questi due anni siano stati essenziali per alzare il livello medio di competenza digitale dei nostri docenti. Gli investimenti sono stati importantissimi e per la prima volta si è voluto finanziare non solo l’acquisto di risorse fisiche, ma valorizzare anche risorse umane liberando tempo scuola da dedicare ai territori ai docenti delle Equipe Formative territoriali e assumendo gli assistenti tecnici per il primo ciclo[5].

Con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza integrati ai fondi strutturali europei della programmazione 2021-2027[6], gli obiettivi del Piano Nazionale Scuola Digitale conoscono oggi un completamento e un rilancio decisivo che necessita però di un aggiornamento all’attuale stato dell’arte del digitale a scuola e dello sviluppo tecnologico, aggiornamento che dovrà essere pienamente raccolto dal piano Scuola 4.0.

Tutti i nodi della formazione

Tutte queste fasi storiche di sviluppo della scuola digitale sono state caratterizzate anche da ondate di formazione significative, con finanziamenti ad hoc. Dalle prime formazioni “fortic”, ai corsi Lim alle tante e variegate formazioni sull’ultimo PNSD. Se andassimo a contare le ore di formazione ci spaventeremmo per il numero enorme ed è normale interrogarsi sull’impatto ma anche sull’attesa relativa all’impatto e alla misurazione stessa. Sulla formazione occorre fare una analisi attenta, pragmatica che non proceda per luoghi comuni o percezioni soggettive. È uno dei punti centrali del PNRR con la scuola di Alta Formazione. Vedremo come si svilupperà questa riforma, perché la sintesi fra obbligatorietà, qualità, efficacia e spendibilità non è così semplice da trovare.

Dove siamo

La cornice del piano, non solo dal punto di vista del finanziamento ma anche dell’ispirazione e della gestione, è quella europea. Questo aspetto è da ritenersi una garanzia, perché ci obbligherà da un lato a spendere bene e in modo capillare i fondi, dall’altro ad avere un riferimento legislativo e culturale ai documenti preziosi elaborati recentemente dalla comunità europea, in merito allo sviluppo delle competenze digitali e all’istruzione. In primis il Piano Europeo di azione per l’istruzione digitale e i framework del Digcomp 2.2 ed Edu su cui nell’ultimo biennio si è accentuata l’attenzione del Ministero.

Il Piano Europeo di azione per l’istruzione digitale

Nel piano europeo di azione per l’istruzione digitale si legge già nell’introduzione: “La tecnologia digitale, se impiegata in modo capace, equo ed efficace dagli educatori, può sostenere pienamente l’agenda per un’istruzione e una formazione inclusive e di elevata qualità per tutti i discenti. Può facilitare un apprendimento maggiormente personalizzato, flessibile e incentrato sullo studente, in tutte le fasi e gli stadi dell’istruzione e della formazione. La tecnologia può rappresentare uno strumento potente e coinvolgente per l’apprendimento collaborativo e creativo. Può aiutare i discenti e gli educatori ad accedere a contenuti digitali, a crearne e a condividerli.”. Nel paragrafo 4 vengono delineate le priorità delle azioni:

  • promuovere lo sviluppo di un ecosistema altamente efficiente di istruzione digitale. In questa priorità si sottolinea come “La connettività Internet ad altissima velocità è fondamentale per l’istruzione[7]”. Si ribadisce l’essenzialità e l’importanza dei “contenuti educativi digitali e la formazione in materia di competenze digitali, compresi i metodi didattici digitali”. Qui non c’è solo il tema delle piattaforme ma degli ambienti di apprendimento, che dovranno essere sempre più onlife, integrati, ibridi, cre-attivi.
  • migliorare le competenze e le abilità digitali per la trasformazione digitale. L’alfabetizzazione digitale è diventata essenziale per la vita quotidiana. È una priorità ma non l’unica del sistema di istruzione. Oltre all’alfabetizzazione, si considera centrale il ruolo dell’informatica: “L’introduzione all’informatica fin dalla più giovane età[8], attraverso approcci innovativi e motivanti all’insegnamento, in contesti sia formali che non formali, può contribuire a sviluppare competenze in materia di risoluzione dei problemi, creatività e collaborazione; può inoltre promuovere l’interesse per gli studi relativi alle discipline STEM e le future carriere in tale ambito, contrastando nel contempo gli stereotipi di genere. Le azioni volte a promuovere un’educazione informatica inclusiva e di elevata qualità possono anche avere un impatto positivo sul numero di ragazze che seguono studi informatici nell’istruzione superiore e lavoreranno poi nel settore digitale o svolgeranno professioni digitali in altri settori economici”.

Il piano Scuola 4.0 avrà queste due priorità e indirizzerà ogni investimento verso la creazione di nuovi ecosistemi integrati e verso la formazione di docenti preparati tecnicamente e metodologicamente a questo cambiamento.

La sfida è davvero una didattica digitale integrata non confusa con la DAD (didattica a distanza) ma pensata, progettata e realizzata nell’onlife quotidiano e in un’ottica di sviluppo delle competenze digitali del futuro.

Gli investimenti

Dalle dichiarazioni del ministro e dal sito dedicato si prevede la trasformazione di almeno 100.000 aule in ambienti innovativi di apprendimento che rispondano alle caratteristiche di cui sopra, Interessanti le parole del ministro, che sembra preannuncino ad una fase di progettazione condivisa negli istituti che coinvolga anche la componente studentesca, con gruppi di lavoro creati ad hoc che progettino su misura, partendo da uno studio dello stato dell’arte della singola scuola e da uno studio di fattibilità. Ancora, ci svela il ministro, i finanziamenti non saranno messi a bando ma calcolati e destinati alle scuole in base ad indicatori oggettivi.

L’investimento massiccio di 2,1 miliardi di euro è destinato anche alla digitalizzazione del comparto amministrativo, alla cablatura di 40 mila edifici scolastici e, soprattutto, alla creazione di laboratori per le professioni digitali nel secondo ciclo. Questi laboratori saranno finalizzati alle professioni digitali del presente e del futuro. È un tema fondamentale[9], su cui è opportuno focalizzare l’attenzione per orientare efficacemente gli investimenti. I laboratori saranno pensati in base agli ambiti tecnologici, dalla robotica all’automazione, dall’intelligenza artificiale all’economia digitale, dal making e alla modellazione, dalla creazione di software e servizi digitali alla comunicazione, dal data analysis alla creazione di contenuti.

Questi laboratori, secondo le indicazioni europee, saranno ecosistemi multidimensionali e abbracceranno molti ambiti del processo di digitalizzazione del lavoro; ambienti per lo più flessibili, con una organizzazione degli spazi funzionali e strumenti digitali all’altezza degli obiettivi e delle attività, verosimilmente impostate secondo il project based learning come metodologia predominante.

Le criticità

Un investimento di 2,1 miliardi sulla digitalizzazione della scuola è certamente uno shock positivo senza precedenti e, come sottolineato, ci sono linee guida e strategie che daranno certamente buoni risultati. Tuttavia, rimangono alcune zone d’ombra, alcuni nodi che sembra non vengano risolti e che peseranno come zavorre ingombranti nel percorso da qui al 2026:

  • non sono previsti incentivi significativi al surplus di lavoro delle scuole che la nuova progettualità del piano scuola 4.0 inevitabilmente porterà (per i docenti, nelle segreterie, nelle figure di sistema, nei ruoli intermedi di raccordo e accompagnamento). C’è un legislatore che dimentica che il cambiamento non passa solo dallo sviluppo tecnologico e dalla formazione ma dal lavoro quotidiano, sempre più complesso e gravoso sulle spalle dei docenti e delle scuole. La perdita del potere di acquisto degli stipendi accentuerà in modo sensibile questa problematica.
  • la rigidità dell’impianto curricolare, a cattedre, della nostra scuola non aiuta la progettazione e lo sviluppo di percorsi innovativi e sempre più interdisciplinari.
  • la numerosità delle classi, soprattutto della secondaria di 2 grado rende impossibile o molto complicato lo sviluppo di una didattica laboratoriale.
  • rimane una forte incoerenza fra i processi di innovazione della scuola italiana e gli esami di fine ciclo, che definiscono nella pratica il profilo di uscita dell’alunno.
  • rimane una forte incoerenza fra i processi di innovazione, i conseguenti profili attesi dei nuovi docenti e i sistemi di reclutamento dei docenti.
  • La scarsa propensione dei docenti al lavoro di squadra e alla progettazione condivisa, anche a causa dell’instabilità di molti organici.

Conclusioni

Occorre, in sintesi, che le azioni di investimento siano integrate alle azioni di riforma della macchina scolastica che fa da gabbia all’innovazione. In molti punti del PNRR relativi alla scuola si legge questo sforzo e auspichiamo che tutto possa attuarsi in modo sinergico e integrato.

Il lavoro dei vari uffici ministeriali sarà molto importante nel favorire e garantire modalità e tempistiche opportune e “intonate” integrando forma e sostanza, dimensione amministrativa e dimensione didattica, con indicazioni chiare, non interpretabili e il più possibile pragmatiche, nel segno di una scuola del XXI secolo.

Note

  1. Su Il Sole 24 Ore del 17 Giugno 2022
  2. Piano Nazionale Scuola Digitale Azione Lavagne Interattive Multimediali,
  3. @usilio per il Recupero, l’Orientamento e il Reinserimento degli Adolescenti, aveva l’obiettivo di garantire il diritto all’istruzione dei minori che insistono nel circuito penale interno ed esterno del Ministero della Giustizia, offrendo loro una formazione nel settore della comunicazione multimediale.
  4. HSH (Hospital School Home): metteva a disposizione della scuola in ospedale infrastrutture tecnologiche, strumenti, servizi, insieme alla necessaria formazione per i docenti, per favorire la comunicazione multimediale e quindi per garantire, al massimo livello, il diritto allo studio dell’alunno in ospedale, in day hospital o in terapia domiciliare
  5. Legge n. 178/2020: art. 1, comma 967, 970, 971
  6. Sono comprensivi dei fondi REACT-EU
  7. Secondo i dati del MI le scuole connesse in fibra ottica erano il 33%. È in corso di realizzazione il Piano Banda ultra larga (BUL) che, entro il 2024, porterà a tutte le scuole una buona connettività
  8. La Legge n.233 del 29 dicembre 2021, articolo 24 bis va esattamente in questa direzione
  9. Sul tema si suggerisce una lettura di alcuni documenti di Maurizio Morini, già direttore dell’Istituto Cattaneo. La vision è decisamente interessante.

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