scenari

Sovranità dei dati, strategie politiche e interessi privati: le sfide globali da risolvere

I dati sono la valuta senza confini alla base dell’economia digitale globale e campo di battaglia per un nuovo concetto di sovranità: il loro controllo e la loro circolazione sono perno di strategie politiche e business privati. Approntare un sistema di governance globale è ormai ineludibile, ma la strada è in salita

Pubblicato il 05 Lug 2022

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

scacchi e politica

La sovranità dei dati è al centro delle strategie politiche del mondo e rappresenta un fattore chiave dal punto di vista geopolitico, economico e tecnologico.

Il potere di controllo sulle tecnologie strategiche, sulle infrastrutture digitali di cruciale importanza comprese le supply chain; la capacità di ogni Stato di definire autonomamente il proprio quadro concernente l’economica digitale, il presidio dei dati dei cittadini e del governo, i flussi transfrontalieri di dati e metadati, la loro massiva elaborazione, anche nel quadro delle strategie antiterrorismo, la sicurezza informatica e la disinformazione, costituiscono tutti aspetti rilevanti di una sfida di scala globale ormai ineludibile.

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Allo stesso tempo applicazioni di intelligenza artificiale, big data analytics, nanotecnologie, robotica, smart cities e smart services, sono solo alcune delle principali manifestazioni di settori in cui l’indipendenza tecnologica degli stati è desiderata o “ritenuta” necessaria coinvolgendo quelle istanze di sicurezza e fiducia al centro delle scelte strategie “sovrane” e regolatorie dei governi.

Tuttavia, se migliorare la sovranità tecnologica è centrale, altrettanto appare vitale promuovere la crescita economica, l’innovazione e lo sviluppo di mercati equi, sicuri e normati. Consentire la libera circolazione dei dati nel mondo digitale è un’impellenza che non può essere sottovalutata ma neppure lasciata al libero arbitrio delle velleità egemoniche di alcuni attori sia pubblici che privati, e neppure ai condizionamenti derivanti dalla sostanziale assenza di un sistema di governance globale dei dati.

Dati, valuta senza confini alla base dell’economia digitale globale

I dati sono una risorsa infinita. Set giganteschi di dati in continua produzione, raccolti da organizzazioni private e pubbliche, destinati ad essere raffinati, inferiti, condivisi e riutilizzati al fine di estrarne valore. Banche dati di qualità sempre più alta, monetizzati in misura proporzionale al relativo uso. Asserviti sia alle tecniche di apprendimento degli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale – ormai perfettamente in grado di produrre autonomamente i propri dati “sintetici” partendo proprio dalla base di dati “storici” di cui dispone – sia alle velleità di chi già beneficia di cospicue risorse computazionali.

Una sorta di “valuta senza confini alla base dell’economia digitale globale[1]” e campo di battaglia per la sovranità digitale, ovvero per il controllo di dati.

È noto, infatti, come lo sviluppo di sistemi di raccolta e archiviazione di dati sempre più performanti abbia favorito la nascita di quella economia nota come “data driven”, sulla quale determinati soggetti economici hanno potuto plasmare il successo dei rispettivi modelli di business fondati proprio sullo scambio di dati e informazioni. Tendenze tecnologiche note col nome di Big Data, IoT, Cloud Computing e tutto ciò che concerne la Data Driven Innovation.

Dati e metadati che continueranno a fluire attraverso i confini del mondo a meno che i governi non decidano di compiere scelte “sovrane” e mettere in atto determinate restrizioni; ovvero barriere di natura tecnologica e giuridica in grado di limitare l’insorgere di vantaggi competitivi in capo a pochi soggetti terzi e di contenere l’accesso a determinate categorie di dati ritenuti “importanti”, tra cui quelli personali e relativi alla sicurezza nazionale.

La sovranità “aziendale” delle grandi multinazionali tecnologiche

Al di là delle esigenze di protezione dei dati personali e sicurezza informatica, pur sempre centrali, oggi, sono le istanze di sovranità informatica e governance dei dati a destare le maggiori preoccupazioni e a fungere da bussola nel determinare il percorso verso il successo che certe strategie politiche vorrebbero conseguire a livello geopolitico ed economico. Aree cruciali altrimenti terreno fertile per il proliferare di teorie del complotto, sfiducia nelle istituzioni (oggi assistiamo alla più grande crisi di fiducia dagli anni ’30 per le democrazie) e complesse tecniche di manipolazione informativa abilitate dalle grandi multinazionali tecnologiche. Quest’ultime, arbitri, sulla base di una delega – de facto – non disconosciuta dalle istituzioni – di quel bilanciamento che, con facilità, investe i diritti fondamentali di miliardi di persone, oltre che interessi spesso di rilevanza pubblica.

Intermediari digitali depositari di una sorta di “sovranità aziendale digitale de facto” in grado di progettare, promuovere e diffondere il digitale, al punto da renderne “dipendenti” gli Stati, ai quali non rimane altro se non esercitare il proprio potere legittimo di direzione e regolamentazione.

Nella perdurante assenza di un quadro legislativo onnicomprensivo, le modalità di raccolta e trattamento dei dati personali restano, infatti, ancora disciplinate principalmente da strumenti privatistici di autoregolazione, quali codici di auto-condotta e termini di servizio redatti dalle stesse piattaforme tecnologiche.

“Sovrani” privati che si sottomettono e a loro volta assoggettano il potere politico, favoriti o osteggiati dai rispettivi stati di appartenenza, a seconda delle convenienze in ballo; che competono tra loro per l’egemonia dei dati su settori strategici, quando addirittura non sottoscrivono patti di non belligeranza: dal cloud computing alla propaganda computazionale; dal social business alle applicazioni di intelligenza artificiale specie di sorveglianza biometrica alimentata dai copiosi database in ambito sia pubblico che privato.

Sovranità e controllo dei dati, la linea Ue: iniziative e tecnologie

La sovranità digitale contemporanea: potere e controllo

Le nuove questioni sulla cosiddetta “sovranità digitale” e i nuovi quadri regolatori adottati o in procinto di attivazione nei principali “ecosistemi digitali” del mondo evidenziano, dunque, il cambio di paradigma che, sebbene con diverse sfumature, a livello globale vede gli Stati impegnati nel trovare il giusto punto di equilibrio tra istanze di innovazione e promozione della fiducia; tra utilità sociale e protezione delle reti e dei sistemi di trasmissione dati nella “digital age”.

Se infatti l’interpretazione giurisprudenziale delle Corti Supreme e la lettera della legge si pongono a fondamento dell’affermazione della sovranità digitale di ogni Stato, allo stesso modo la protezione e la sicurezza dei dati personali diviene ovunque presupposto di legittimità cardine per l’innovazione digitale e lo sviluppo economico di ogni Stato. E il controllo delle reti e dei dati all’interno dei propri confini; la cosiddetta localizzazione dei dati, rappresenta a tutti gli effetti un vantaggio competitivo imprescindibile in vista dell’ambita governance globale dei dati e del raggiungimento di una completa indipendenza tecnologica.

Pur tuttavia non mancano le contraddizioni. E infatti i vari indirizzi politici appaiono spesso incoerenti nelle varie manifestazioni, espressione della tendenza verso la limitazione dei flussi transfrontalieri dei dati da una parte, e i messaggi di sostegno alla “globalizzazione inclusiva”, alla tutela del commercio internazionale e al raggiungimento di accordi globale sulla privacy dei dati, almeno tra paesi democratici, dall’altra. Auspici questi di convergenza ribaditi recentemente anche dal Segretario al Commercio degli Stati Uniti Gina M. Raimondo e dal Segretario di Stato del Regno Unito per il digitale, la cultura, i media e lo sport Nadine Dorries, entrambe convinte sostenitrici dell’uso affidabile e della condivisione dei dati a livello transfrontaliero. Anche i funzionari dell’UE, nel corso di una conferenza tenutasi a Bruxelles, riferendosi al contesto della guerra in Ucraina, hanno sottolineato come proprio gli strumenti di comunicazione digitale e la condivisione delle informazioni abbiano reso evidente la loro crescente importanza e la necessità di convergenze normative e accordi globali sulla protezione e libera circolazione delle informazioni.

Europa, Stati Uniti, Russia e Cina: mercati digitali diversi e diversi modelli di sovranità. Dai quadri regolatori espressione di valori costituzionali, del libero mercato delle idee, al dirigismo statale.

Sovranità digitale in Cina e Russia

E certo, del ruolo centrale rivestito dalla sovranità tecnologica ne sono ben consapevoli la Cina e la Russia dove, la rinascita ideologica e strategica dell’autoritarismo, unitamente alla lotta per la sovranità del digitale e all’imperialismo dei dati stanno caratterizzando questa importante fase storica dove uno degli elementi cruciali è rappresentato proprio dal controllo dell’estensione del dominio delle piattaforme operative connesse, presenti globalmente, all’interno delle quali si determinano gli scambi, si generano i consumi e si raccolgono e utilizzano i dati.

il Great Firewall of China

Non è un caso che oltre un decennio fa, in Cina, il Great Firewall of China (GFC) avesse già inteso imporre un primo efficace livello di controllo dei dati generati e scambiati oltre confine, e che proprio la sovranità digitale sia stata menzionata esplicitamente dagli art.li 1 e 2 della Data Security Law, in vigore dal primo settembre 2021: uno dei tre pilastri del complesso apparato normativo cinese relativo non solo alla protezione dei dati personali ma anche alla tutela dei dati intesi in senso generale, che si completa con la Personal Information Law, in vigore da novembre 2021 e la Cybersecurity Law, in vigore fin dal primo giugno 2017.

I requisiti per i trasferimenti dei dati si fanno estremamente stringenti se si opera nell’ambito delle CII: “Critical Information Infrastructure”. Il trasferimento di qualunque dato all’estero, anche a favore di autorità di enforcement straniere o di autorità giudiziarie fuori della Cina, senza una apposita autorizzazione formale del governo cinese, è severamente vietato.

Senza dubbio il dominio del cyberspazio, il controllo dei social media, la raccolta e l’uso di big data, come la priorità attribuita allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, rappresentano priorità per il governo di Pechino e per le sue ambizioni di controllo assoluto ed efficiente. Un potere in grado di consolidare l’affermazione globale della propria egemonia, oltre che le proprie radicate velleità di nazione simbolo di “ascesa pacifica e benigna” a vantaggio non solo dell’intero continente asiatico ma dello scenario mondiale.

La stretta di Pechino contro le big tech

Altrettanto vale per il percorso verso la regolamentazione dei grandi poteri privati che, infatti, rappresenta un fattore strategico cruciale ben delineato nella stretta anti-Big Tech condotta dalle autorità di Pechino per mettere un freno ai comportamenti monopolistici delle grandi aziende del comparto: Alibaba, Tencent, JD.Com, Xiaomi, ma anche Apple, recentemente “schiaffeggiata” dalla Corte suprema della Cina (la cui interpretazione giudiziale in Cina ha valore di legge) con una sentenza che ha sancito a vantaggio dei consumatori il diritto di citare in giudizio Apple per presunto abuso di quote di mercato e pratiche vessatorie applicate dal proprio App Store in Cina.

La sovranità digitale vista dalla Russia

La sovranità digitale intesa come gestione dello spazio cibernetico da parte del governo centrale, attraverso il controllo delle connessioni e dei dati che vengono trasmessi è una caratteristica ben sedimentata in Russia.

Sin dal 2006, con la legge federale N 152-FZ dedicata alla tutela dei dati personali nella Federazione Russa è stato stabilito l’obbligo per coloro che raccolgono i dati personali dei cittadini russi di archiviare tali dati utilizzando esclusivamente database localizzati in Russia.

Ed è chiara la portata della legge federale 236-FZ che impone a siti stranieri di carattere informativo e ai social network che hanno un accesso superiore a 500.000 utenti russi al giorno l’obbligo di aprire una filiale in Russia e iscriversi a uno specifico registro. Attualmente Apple e Spotify, oltre ad Aliexpress, TikTok, Likeme, Zoom e Viber sembrerebbero aver già intrapreso il percorso verso l’adeguamento. Per Google, Facebook sarà probabilmente solo una questione di tempo.

Il 1° maggio 2019 è stato, inoltre, approvato dalla Camera alta del Parlamento russo, il Consiglio della Federazione, e firmato dal presidente Vladimir Putin, il Programma nazionale di economia digitale (legge federale 90-FZ), comunemente conosciuto come Legge sulla sovranità digitale e l’accesso a internet. Il Programma, entrato ufficialmente in vigore a novembre dello stesso anno, ha contribuito a rafforzare il controllo esercitato dal Roskomnadzor, l’agenzia statale russa a supervisione delle telecomunicazioni (compresa la possibilità di staccare la rete russa dal resto del web, garantendo la sola accessibilità ai contenuti gestiti dai server russi).

Le ambizioni di sovranità digitale del Cremlino rivestono, quindi, un ruolo di primo piano.

La diffusione delle limitazioni alla circolazione dei dati nel mondo

Lo studio ITIF – Fondazione per la tecnologia dell’informazione e l’innovazione riporta come il numero di paesi attratto dai requisiti di localizzazione dei dati sia in costante crescita, al punto da essere quasi raddoppiato, passando da 35 nel 2017 a 62 nel 2021.

Anche il numero totale di politiche nazionali di localizzazione dei dati segue lo stesso trend e registra un rapido esponenziale incremento: da 67 nel 2017 a 144 nel 2021.

Le limitazioni alla circolazione delle informazioni possono essere esplicitamente richieste dalla legge oppure essere l’effetto di politiche restrittive che rendono, di fatto, impossibile o eccessivamente oneroso il trasferimento dei dati: quando non richiedono alle aziende di archiviare una copia dei dati localmente o vietano esplicitamente i trasferimenti in paesi terzi, impongono il consenso individuale come base giuridica per le relative elaborazioni o, sempre più spesso, governativo per legittimare il relativo flusso dei dati

Se Cina, India, Russia e Turchia sono esponenti di spicco delle strategie di localizzazione dei dati, in tutto il mondo, altri paesi stanno spingendo verso politiche di sovranità digitale o hanno già introdotto, anche di fatto, limitazioni di varia natura alla libera circolazione dei dati per il maggior controllo delle informazioni digitali prodotte dai loro cittadini, agenzie governative e società.

E se le grandi normative sulla protezione dei dati come il GDPR, la Personal Information Law of the People’s Republica of China (PIPL) o le principali leggi come il CCPA suscitano clamore, ci sono innumerevoli altre leggi e consuetudini regionali più piccole che fungono da valido deterrente ai piani di espansione delle imprese multinazionali.

Ad onor del vero va precisato che in alcuni casi, le misure di localizzazione dei dati, tutt’ora vigenti, derivano da leggi e regole obsolete formulate prima dello sviluppo di Internet e della conseguente transizione digitale o sono limitate ad aspetti settoriali di sovranità fiscale e monetaria, o riguardano specifiche categorie di dati: personali, sanitari, governativi, delle telecomunicazioni.

L’elenco completo, aggiornato al 2021, redatto dall’Information Technology and Innovation Foundation (ITIF), delle politiche di localizzazione dei dati esplicite, de facto e proposte in tutto il mondo, organizzate per regione specifica e, in alcuni casi, paese è disponibile on line.

Fonte Immagine: https://incountry.com/blog/data-residency-laws-by-country-overview/

In Africa: Costa d’Avorio, Ghana, Kenia, Nigeria, Ruanda, Senegal e Sud Africa; ognuna di questi ha intrapreso percorsi di localizzazione dei dati.

In Medio Oriente e Nord Africa: Algeria, Egitto, Giordania, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

In Asia Centrale e del Sud: Kazakistan e Uzbekistan, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka.

Nel Sud Est e Nord Est Asiatico: Indonesia Malaysia, Corea del Sud, Vietnam.

Nel Nord, Sud e Centro America: Brasile, Cina, Perù, Venezuela, Canada, Messico e Stati Uniti, dove nel 2021 un progetto di legge presentato dal senatore Ron Ryden vorrebbe determinare le categorie di dati sensibili potenzialmente idonee a danneggiare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti se esportati in determinati paesi, e propone di redigere, a tal fine, un elenco di paesi i cui la sicurezza dei dati consentirebbe agli americani di operare trasferimenti transfrontalieri in sicurezza.

In Oceania: Australia e Nuova Zelanda.

Sovranità e sovranismo digitale in Europa

Oltre ad alcuni stati dell’Europa[2] dove, in certi contesti (come in Francia e Germania), il confine tra sovranità e sovranismo digitale sembrerebbe farsi pericolosamente sempre più sottile; e alla stessa Unione Europea.

L’invalidazione del Privacy Shield Framework rappresenta, infatti, un chiaro segnale di localizzazione dei dati: sebbene il Regolamento generale sulla protezione dei dati 2016/679, stabilisca ed intenda promuovere la libera circolazione dei dati personali tra gli stati dello Spazio economico europeo (SEE) e tra stati selezionati ritenuti sufficientemente sicuri nella loro protezione dei dati, la nota decisione del luglio 2020 della Corte di giustizia europea (CGUE) ha senza dubbio esercitato un impatto immediato su migliaia di organizzazioni ed uno stallo operativo alquanto oneroso.

Nel 2019 il progetto guidato da Francia e Germania intitolatoGAIA-X, intende sviluppare un sistema cloud per la gestione dei dati delle aziende e dei cittadini europei ed è senza dubbio espressione della “sovranità digitale” che vuole contrapporsi alle società cloud statunitensi.

Anche i pilastri normativi della “Strategia europea per i dati” predisposti per costruire il proprio modello di ecosistema digitale, pur procedendo tra alti e bassi, evidenziano chiaramente la volontà di voler procedere verso l’affermazione di una sovranità digitale unionale, malgrado il contesto di assai poca chiarezza a livello internazionale, la dipendenza da tecnologie e servizi digitali esteri e il livello relativamente basso di investimenti europei in confronto alle altre potenze.

Oltre alla recente approvazione del Data Governance Act, la proposta nota come Data Act ha iniziato l’avvio ufficiale del relativo esame istituzionale, insieme al “pacchetto” di riforme: Artificial Intelligence Act, Digital Services Act e Digital Markets Act, il provvedimento sui mercati digitali e le regole della concorrenza, caro a Bruxelles, che affronta il potere economico delle grandi piattaforme online.

L’obiettivo da centrare è quello di coniugare in maniera virtuosa tanto le esigenze di sovranità digitale e sicurezza, quanto quelle di promozione di “un’economia digitale globale, aperta e innovativa” basata sulla fiducia e sull’eccellenza.

La sovranità digitale sovranazionale nell’UE

La promessa europea di una società digitale europea coerente con le sue radici etiche e costituzionali, in grado di confrontarsi a livello geopolitico con i leader transatlantici e interlocutori che molto spesso navigano in direzione “ostinata e contraria”, appare però un percorso ancora piuttosto indefinito

Le stesse relazioni transatlantiche in ambito tech si trovano ad un bivio fondamentale: malgrado a marzo, Stati Uniti ed UE abbiano reso noto di aver raggiunto un accordo politico preliminare per consentire l’archiviazione dei dati sugli europei sul suolo statunitense, per Europa ed America rimangono da sciogliere diversi nodi cruciali e tra questi quello sulla sicurezza dei trattamenti di dati personali e quello della concorrenza nei mercati digitali; oltre alle questioni critiche relative a tecnologie emergenti, 5G, intelligenza artificiale e semiconduttori, protezione della democrazia, passando per tasse, sostenibilità, e – ovviamente – Cina.

E sebbene si manifesti un tiepido ottimismo, è ormai chiaro a tutti quanto la questione del data sharing si profili sempre di più come una discussione geopolitica piuttosto che di legge.

C’è anche chi sostiene come la stessa vicenda “Schrems” non sia altro che lo specchio di un particolare atteggiamento, tutto europeo, che vede nell’affermazione del proprio soft power la soluzione facile per poter compensare attraverso la logica dei diritti ciò che l’Europa non riesce a conseguire attraverso la forza della politica.

Strada in salita per l’Ue

Una cosa è certa: per l’Europa si preannuncia una strada in salita, irta e scivolosa. Insidiosa anche per l’incidenza delle sue stesse geometrie interne esposte alle velleità di chi cerca di dividere in nome del populismo e del sovranismo.

Altrettanto le sfide del costituzionalismo europeo alle prese con i poteri privati in ambito digitale rimangono un tema aperto, complesso e in continua evoluzione. Ciò a maggior ragione poiché proprio il diritto fondamentale alla tutela dei dati personali, dal Trattato di Lisbona in poi, è divenuto, nel sistema europeo, elemento essenziale di quel bilanciamento a cui è richiesto di coniugare le istanze richieste dalla costruzione di un Digital Single Market fondato sulla libera circolazione delle persone, delle merci e delle informazioni, da una parte, e la protezione dei trattamenti dei dati personali, funzionali appunto alla tutela del comune catalogo dei diritti fondamentali dei cittadini europei, dall’altra. Non è un caso che l’UE si sia dotata di due Regolamenti diversi in fatto di circolazione e tutela delle informazioni: quelle personali, contenute nel GDPR, e quelle relative ai dati non personali, contenute invece nel Regolamento UE n. 2018/1807, applicabile dal 28 maggio 2019, dove è previsto che gli Stati membri non possano imporre obblighi di localizzazione dei dati, salvo che essi siano giustificati da motivi di sicurezza pubblica o di sicurezza interna ed esterna, e a patto che sussista un’adeguata base normativa.

Ad ogni modo c’è sicuramente, in generale e in entrambe le sponde dell’Atlantico, un certo scetticismo sul fatto che il modello digitale europeo, aperto a livello normativo su diversi fronti, in particolare quelli sul Digital Services Act, Digital Markets Act, Data Governance Act e Artificial Intelligence Act, possa presto contribuire al successo di un rinnovato costituzionalismo europeo idoneo a valorizzare e promuovere le esigenze ineludibili di governance globale dei dati e di sovranità digitale.

Coordinare le priorità strategiche tra UE e USA, peraltro coinvolgendo anche il Regno Unito (in linea con quanto discusso al G7 sotto la presidenza britannica), in vista del perseguimento di interessi comuni, dall’intelligenza artificiale, alla sicurezza, alla sovranità digitale; dalle infrastrutture critiche, 5G, 6G, agli asset di cybersecurity, fino alla governance tecnologica e al ruolo delle piattaforme online, si sta rivelando una sfida alquanto ardua.

Ne sono prova le recenti pronunce ottenute in Francia e Austria, con le quali sono state evidenziate, ai vari titolari e responsabili del trattamento dei dati personali in UE, le criticità relative all’utilizzo di Google Analytics, ritenuto potenzialmente idoneo ad esporre i dati personali degli europei allo spionaggio americano.

Non va meglio per Meta, Microsoft e Amazon Web Service, malgrado le rassicuranti dichiarazioni dei relativi board e gli sforzi di lobbying profusi da Google, Apple e le altre Big Tech destinati a smontare il piano europeo dedicato alla governance delle attività e dei servizi digitali offerti dalle piattaforme online.

E certo arginare l’avanzata della sfera di potere delle aziende tecnologiche non è una prerogativa esclusivamente europea, bensì fa parte di una tendenza globale piuttosto evidente.

Le peculiarità e le problematiche insite nella data economy, caratterizzata dalla valorizzazione dei dati, dalla circolazione, disponibilità degli stessi e dalla loro analisi, si legano, infatti, a filo doppio al potere di mercato e di controllo delle realtà tecnologiche dominanti.

Il protezionismo digitale USA

Per decenni i trasferimenti di dati e i problemi di sorveglianza sono stati punti critici nelle relazioni tra Usa e resto del mondo, a maggior ragione poiché rappresentano meccanismi di condivisione delle informazioni di vitale importanza per le economie e le società globali, tutte impegnate, sebbene con diversi approcci, nella valutazione e costruzione di strategie sui flussi di dati transfrontalieri in grado di favorire l’economia, l’innovazione e allo stesso tempo la protezione e la libera – o quantomeno agevole – circolazione delle informazioni: da Bruxelles e Strasburgo a Washington e Londra, a Pechino, a Delhi, passando per le Big Tech americane e cinesi.

Certamente il ruolo primario della cybersicurezza e in generale della sicurezza delle reti è emerso con grande nettezza anche dall’evoluzione regolatoria in atto negli USA, benché pur sempre orientata da valutazioni prevalentemente di ordine economico e sviluppo digitale, ed è ben rappresentato anche dai costanti ammonimenti degli esponenti politici americani, rivolti in particolare agli europei, rispetto all’uso delle tecnologie cinesi.

L’ondata di protezionismo digitale ha coinvolto anche la “Terra” dell’ autoregolamentazione digitale e degli approcci flessibili di soft-law, nell’ottica di salvaguardare al meglio le risorse americane e la propria indipendenza tecnologica strategica: da tempo negli USA specifiche agenzie del governo federale (quelle legate alla difesa e all’intelligence) richiedono l’uso di uno specifico servizio cloud con sede negli Stati Uniti (GovCloud) e prevedono l’archiviazione locale dei dati nei contratti ICT.

Risale al giugno 2021 l’ Ordine esecutivo sulla protezione dei dati sensibili degli americani dagli avversari stranieri con cui il Presidente Biden ha inteso fronteggiare l’emergenza di sicurezza nazionale in relazione alla catena di fornitura delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dei servizi possedute o controllate da, o soggette alla giurisdizione o alla direzione di un avversario estero, tra cui in primis la Cina.

Altrettanto vale per il Chips ActCreating Helpful Incentives for Producing Semiconductors (CHIPS) Act, il provvedimento che vuole porsi al centro, tra esigenze di sicurezza nazionale, mercato e politica industriale, rendendo in tal modo evidente la consapevolezza degli USA circa la rilevanza dell’industria dei semiconduttori – in quanto componenti fondamentali per industrie strategiche come il settore automobilistico, gli smartphone e i computer, le infrastrutture cloud e digitali, i servizi finanziari e i dispositivi tecnologici sanitari – nell’economia globale,

Conclusioni

“Ubi societas, Ibi ius”. La società si sta spostando sempre di più in territorio digitale ed interconnesso, e il Diritto ha il dovere di seguirla. Ma è vera anche la stessa proposizione a termini invertiti: “Ubi Ius, ibi societas”, a significare che una qualsiasi forma di aggregazione sociale non può evolversi positivamente se non è regolamentata. Regole non solo specifiche ma di compatibilità e flessibilità atte ad impedire che la dinamica economica oscuri le potenzialità della rete come grande spazio pubblico di rappresentazione del sé, di confronto, di discussione e di costruzione della cittadinanza.

In tutto ciò il ruolo dell’Unione Europea nella contesa digitale è ancora da decidere; piuttosto che subire i condizionamenti dell’una o dell’altra superpotenza, degli ecosistemi digitali americano e cinese, appare molto più conveniente dimostrarsi il terzo grande protagonista.

Da questo punto di vista, come mi ricorda Luciano Floridi, il Discorso agli Ateniesi di Pericle[3] tratto da Tucidide può essere un’ottima base di riflessione ma non rispecchia nessuna forma di Governo presente o passata (nemmeno ai tempi di Pericle) e purtroppo rimane un bellissimo panegirico sorprendente per il tempo in cui venne concepito.

Note

  1. Per usare l’efficace espressione scelta da David McCabe e Adam Satariano, nell’articolo del NYT del 23 maggio 2022 “ The Era of Borderless Data Is Ending” 
  2. Parigi, sotto il governo di François Fillon, aveva già reso noto il primo progetto di cloud sovrano e la costruzione di un grande data center finanziato con risorse pubbliche per 150 milioni di euro. A Berlino nel 2011 si annunciava il lancio del “Bundescloud”, un cloud sovrano funzionante da piattaforma operativa centrale per il governo federale, sotto l’egida dell’allora Ministro dell’Interno, Hans-Peter Friedrich.
  3. Discorso di Pericle agli ateniesi, 461 a.c. (da Tucidide)Qui ad Atene noi facciamo così.Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.Qui ad Atene noi facciamo così.Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di

    altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

    Qui ad Atene noi facciamo così.

    La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

    Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

    Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

    Qui ad Atene noi facciamo così.

    Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

    E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

    Qui ad Atene noi facciamo così.

    Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

    Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

    Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

    Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in sé stesso,

    la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

    Qui ad Atene noi facciamo così.

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