La pandemia ha giovato all’industria IT e in particolare ai grandi cloud provider che hanno supportato le attività di lavoro agile e di comunicazione durante i difficili periodi del lockdown dando un’importante prova di forza rispetto alla capacità di fornire quell’elasticità che è uno dei pilastri dei servizi cloud.
L’Europa, nel frattempo, è alla ricerca di un cloud capace di sostenere l’economia del continente evitando di disperdere risorse e competenze parcellizzandole nelle varie industrie: un obiettivo non facile, al momento portato avanti con eccessi tecnicistici e poca coerenza.
Structura-X, il cloud interoperabile europeo: ecco perché è un progetto da seguire
All’orizzonte del Vecchio Continente, almeno nel breve periodo, il consolidamento delle posizioni delle big tech americane che già controllano il settore.
AWS, Microsoft e Google: così dominano il mercato del cloud pubblico
Le tre grandi realtà del cloud pubblico sono AWS, Microsoft e Google, in rigoroso ordine di market share. AWS detiene infatti il 33% del mercato seguito dal 21% di Microsoft e l’8% di Google. I tre giganti complessivamente coprono il 62% dell’intero mercato e continuano a crescere secondo la classica dinamica del “ricco sempre più ricco” che caratterizza il mercato dell’IT da sempre come ben modellato dalle reti di piccolo mondo.
Per i primi due colossi non ci sono sorprese particolari se non il progressivo avvicinarsi di Microsoft ad AWS, Google ha invece dimostrato di fare sul serio esibendo una crescita nel settore cloud del 30% anno su anno. Solo il tempo ci dirà se si tratta di un dato eccezionale o i cambiamenti alla strategia cloud del colosso di Mountain View consentono un approccio più competitivo al mercato; è però un fatto che la sua quota di mercato del 2015 era del solo 1,5% in accordo a Gartner.
Sono trascorsi due anni dal cambio di politica di Google sulle risorse cloud per le istituzioni scolastiche e accademiche, abbandonando il paradigma dello spazio illimitato per una più realistica quota di spazio per l’uso gratuito della piattaforma. E non si tratta del solo cambio apportato alla strategia di licensing volta a monetizzare l’uso delle risorse cloud abbandonando strategie indirette di monetizzazione basate sulle attività e i dati degli utenti.
Il cloud in Europa
La strategia “cloud first” della Ue è scritta nero su bianco, in particolare per la pubblica amministrazione, ma convive con difficoltà con un mercato dominato per il 62% da operatori di oltre oceano.
La Commissione è infatti combattuta tra la necessità di definire una chiara linea di demarcazione tra chi fornisce servizi IT e chi ne fruisce per sviluppare il proprio business, e mantenere la sovranità digitale dei dati, non solo in ottica di proteggere i dati personali in accordo al GDPR, ma anche per assicurare la necessaria autonomia per poter essere padrona del proprio destino.
I progetti Europei come Gaia-X e EuroHPC cercano di creare le condizioni necessarie affinché si sviluppi un mercato interno in seno alla comunità, ma per ora hanno esibito un moderato successo. D’altronde oltre alle risorse finanziarie servono anche le competenze, e l’aver fatto affidamento per oltre 50 anni sulla superiorità americana ha reso scarse le competenze necessarie allo sviluppo di progetti core in ambito IT.
Il faro dei garanti Ue sui servizi Usa
Segnali contraddittori arrivano dal Parlamento europeo con la bocciatura, ad esempio, del Digital Service Act, ma anche dai singoli stati membri. È notizia di questi giorni la rinnovata attenzione del garante tedesco ai servizi di Microsoft Office 365 per il trasferimento dei dati (di servizio) extra UE ponendo quesiti (per lo più tecnici) sull’applicazione del GDPR, anche se altre autorità garante come quella Olandese valutano il rischio basso benedicendo il servizio. Google Analytics è stato recentemente oggetto dell’attenzione di numerosi uffici del Garante di stati membri, ma come ampiamente discusso da Guido Scorza dell’autorità garante nazionale non si può lasciare alle singole autorità il compito di regolamentare un mercato complesso pieno di risvolti tecnici, politici e legali.
Ad oggi le promesse scambiate tra Ursula Von Der Leyen e Joe Biden di lavorare quanto prima ad un accordo tra i due continenti in materia di protezione e trattamento di dati personali sembra solo oggetto di qualche tweet e non vi sono evidenze di progresso in materia.
La difficile vita di chi eroga i servizi
In questo panorama complesso i responsabili dei servizi IT delle organizzazioni europee sono chiamati a trovare un difficile equilibrio, decidendo se continuare ad investire in infrastrutture on-premises evitando le questioni di gestione transfrontaliera dei dati, assumendosi allo stesso tempo i rischi relativi alle misure di sicurezza da impiegare a loro tutela e la gestione di apparati sempre più complessi da operare in autonomia, oppure cedere alla tentazione di scaricare su un ente esterno tutte le problematiche di gestione delle infrastrutture seppur affrontando le questioni complesse relative alla gestione dei dati con il rischio che una sentenza di un qualche organo giurisdizionale comprometta strategie di medio e lungo termine.
È evidente che una mancanza di coerenza nell’azione europea e la deriva tecnicistica dei provvedimenti rischia di esasperare gli operatori e gli utenti, producendo danni potenziali in termini di mancate opportunità. Il ricorso a cloud pubblici per beneficiare di una razionalizzazione dei costi rischia di essere penalizzato dalla complessità nelle valutazioni necessarie per poter usufruire dei servizi senza esporre un’organizzazione a rischi legali.
La crescita delle quote di mercato per ora raccontano un’altra storia: i cloud provider statunitensi continuano a crescere sia in senso assoluto che in termini di quote di mercato, confermando come gli utenti sentano il bisogno di rivolgersi ad attori storici ed affidabili, posponendo le considerazioni relative alla conformità. Certo può sempre capitare che un parere su un servizio specifico, come nel caso di Google Analytics, possa condizionare scelte fatte, ma la scelta di provider ampiamente usati tende a generare un senso di condivisione della responsabilità per non sentirsi soli in una particolare scelta.
Un panorama in continuo cambiamento
Le dinamiche in corso mostrano comunque come il mercato del cloud pubblico sia molto fluido, costringendo sia i provider che gli utilizzatori a rivalutare costantemente le proprie scelte al fine di verificarne la bontà e la convenienza.
Le iniziative della Commissione europea non sembrano al momento capaci di contrastare questa tendenza, ma lo sviluppo di nuovi ecosistemi e mercati può richiedere archi temporali non ancora trascorsi.
Una strategia che sembra pagare è quella di differenziare, laddove possibile, le proprie risorse, definendo piani di azione di migrazione in caso di mutato scenario, ed evitando di ricorrere a servizi specifici di una particolare piattaforma Cloud al fine di evitare il ben noto fenomeno del lock-in.
I prossimi mesi e anni mostreranno l’evoluzione di questo importante mercato che ha consentito di affrontare il periodo pandemico in modo altrimenti impossibile. Non è facile fare previsioni, ma assisteremo probabilmente ad un ulteriore consolidamento delle posizioni di questi attori nel panorama Europeo.