Il report

Google e Apple sotto la lente dell’antitrust UK per abuso di posizione dominante sul mobile

La CMA, autorità antitrust UK, ha pubblicato uno studio sulla posizione dominante di Google e Apple sul mercato mobile: i dettagli, le quattro aree principali, perché potrebbe configurarsi un abuso, gli effetti sul consumatore

Pubblicato il 22 Lug 2022

Enrico Quaranta

Magistrato - già Capo di Gabinetto AGCM

antitrust

La Competition & Markets Authority, autorità di controllo della concorrenza e del mercato del Regno Unito, sta valutando l’opportunità di avviare una nuova indagine nei confronti di Apple e Google, muovendo dall’assunto di una loro posizione dominante negli ecosistemi mobile, con particolare riferimento ai web browser e al cloud gaming.

Antitrust italiano, Google nega portabilità dei dati: abuso di posizione dominante

Andrea Coscelli, Chief Executive della CMA, ha evidenziato la necessità di procedere con un’azione diretta, sottolineando il pericolo di un continuo rafforzamento della presa che le stesse hanno nel settore digitale, con il rischio di serie limitazioni per i competitor e, più in generale, per l’innovazione.

Si sostiene che sia evidente che Apple e Google detengano tutte le carte per influire sulle modalità di utilizzo degli smartphone da parte dei singoli individui, da rendere necessario esaminare e valutare il forte potere di cui esse godono nell’imporre in tale ambito propri web browser.

Per altro verso, che sia necessario verificare la posizione specifica di Apple e le eventuali restrizioni operate da quest’ultima nel mercato del cloud gaming[1].

Lo studio dell’antitrust UK sugli ecosistemi mobile

L’esigenza di tali indagini è emersa all’esito dello studio condotto dalla CMA nell’ultimo anno, con un particolare focus sugli ecosistemi mobile dei due giganti, in cui rientrano i sistemi operativi, gli app store e, come anticipato, i web browser.

Lo studio ha posto i riflettori sulla posizione dominante di cui i due giganti godono nel settore mobile e sugli effetti restrittivi del gioco della concorrenza che ne possono derivare, anche in termini di ostacoli frapposti agli altri sviluppatori o alle imprese di minori dimensioni sia all’accesso che all’adeguata competizione nel mercato digitale.

Infatti, sebbene, da un lato, le big tech abbiano contribuito allo sviluppo tecnologico, procurando numerosi benefici sia per i singoli consumatori che per la controparte enterprise, dall’altro, coloro che scelgono di affidarsi a tali ecosistemi per il proprio business, affrontano restrizioni e termini unilateralmente imposti, che possono configurare degli allarmanti scenari in ordine ad un’ipotesi di abuso di posizione dominante, di cui si tratterà a breve.

La CMA si è focalizzata su due aspetti caratterizzanti i sistemi mobile e ha effettuato:

  • un’analisi sui mobile browser e il cloud gaming, i cui profili potrebbero determinare un serio blocco all’innovazione;
  • un’indagine in relazione alle metodologie di pagamento adottate all’interno del Play Store di Google, valutando l’opportunità di un’ulteriore azione di enforcement in tale ambito.
  • https://youtu.be/wSfcmCCpGA8

Le quattro aree dello studio dell’antitrust UK

In particolare, sono state esaminate quattro aree principali:

  • in primo luogo, sono stati analizzati i dispositivi personali e i sistemi operativi, da cui è emerso che la maggior parte dei primi utilizza i sistemi iOS o Android, circostanza che consente un evidente maggior controllo sulle funzionalità di cui i device dispongono, in termini di user interface, prestazioni o tipologie di software eseguibili.
  • In secondo luogo, quella della distribuzione delle app “native”, evidenziando che la maggior parte di applicazioni presenti nei dispositivi sono native, ossia realizzate per essere eseguite su uno specifico sistema operativo; il problema si pone se si considera che queste applicazioni possono essere scaricate e installate soltanto attraverso app store proprietari, che rappresentano le uniche vie attraverso cui gli sviluppatori possono distribuire le proprie app e raggiungere gli utenti finali. Tale aspetto, forse il più importante e problematico, già al vaglio Oltreoceano[2], vede, da un lato, l’App Store di Apple quale unica modalità per il download di app in ambiente iOS, dall’altro, il 90% delle app di Android vengono scaricate attraverso il Play Store.
  • Il terzo aspetto riguarda i mobile browser ed i browser engine, che, in quanto strumenti di accesso ad Internet e navigazione in rete, rientrano tra le applicazioni più utilizzate, con un traffico di circa 55 milioni di utenti attivi ogni settimana[3]. I browser sono poi alimentati dai c.d. browser engine[4], che rappresentano una componente essenziale in grado di garantire velocità e capacità di elaborazione ai primi. Anche sotto tale aspetto, il predominio risulta evidente, in quanto, il 97% di tutti i browser per dispositivi personali sono alimentati dagli engine di Apple o Google; sul punto, sebbene possano essere installati liberamente browser differenti, i telefoni realizzati da Apple e Google vengono immessi sul mercato vedendo installati di default, i browser proprietari (nel caso, Safari e Chrome) con un potenziale pregiudizio per la concorrenza, laddove si consideri che difficilmente l’utente sarà invogliato ad installare un browser di terze parti, con uno sforzo maggiore rispetto alla soluzione già ready to use.
  • In ultimo, il ruolo di Apple e Google nel regime di concorrenza con gli app developer, rispetto al quale lo studio ha rilevato che, detenendo il controllo degli store attraverso i quali vengono distribuite le applicazioni, sono le due multinazionali a dettare le regole della concorrenza, in un ambiente, tra l’altro, dove le imprese e gli sviluppatori competono direttamente con Google ed Apple. I profili di rischio sono ancor più evidenti, se si considera che le stesse determinano i permessi, le metodologie di ranking e le commissioni applicate. Il risultato è che in tale ambiente le regole vengono dettate dagli stessi attori che partecipano al gioco della concorrenza, con una bilancia che molto spesso pende a favore di questi ultimi.

In conclusione, le quattro aree analizzate dalla CMA confermano il ruolo determinante che Apple e Google hanno assunto e continuano ad assumere nel guidare la crescita complessiva e lo sviluppo dei mercati digitali.

Frutto del consolidamento di tale posizione, quali gatekeeper degli ecosistemi mobile, è la possibilità di sfruttare il proprio potere anche in altri mercati collegati ai loro ecosistemi, compresi quelli nuovi emergenti.

Infatti, molti sviluppatori si trovano nelle condizioni di dover necessariamente accettare (e subire) le scelte dettate dai due colossi e sono fortemente condizionati nell’adozione delle tecnologie e delle funzionalità, di cui le loro applicazioni devono disporre, al fine di essere ammesse agli store proprietari e poter raggiungere gli utenti finali.

Gli effetti della posizione di Google e Apple sul consumatore

Mentre l’impedimento rispetto alle imprese appare tangibile, l’effetto sull’utilizzatore dei servizi offerti, risulta non direttamente palpabile.

Tuttavia, se non di primo impatto, il freno alla concorrenza all’interno (e all’esterno) degli ecosistemi di Apple e Google produce effetti pregiudizievoli anche per il consumatore, e in particolare con riferimento:

  1. allo sviluppo di nuovi servizi, quali il cloud gaming o le web app,
  2. alle limitazioni di scelta, laddove l’implementazione di app store alternativi consentirebbe di soddisfare le diverse esigenze dei singoli utenti, con servizi ideati su misura e
  3. al prezzo finale per l’acquisto o la sottoscrizione di un abbonamento al servizio che vede delle naturali maggiorazioni; infatti, avendo il piccolo o medio sviluppatore quale unica chance quella dell’app store, si troverà costretto a sostenere significativi costi a causa delle commissioni imposte unilateralmente, o viceversa, mantenendo invariato il prezzo, ad offrire un servizio di minor qualità.

L’elemento principale nell’imposizione di tali restrizioni è dato – chiaramente – dall’elevato numero di profitti originati dai propri app store[5], fattore ormai determinante nel business delle due aziende.

E la morsa appare ancora più stringente, considerando che, al momento dell’acquisto di un nuovo dispositivo, gli utenti sono, di fatto, innanzi ad una scelta binaria tra il sistema di Apple o quello di Google. Per cui, controllando e orientando i consumatori nell’acquisto di nuovi prodotti, questi ultimi influenzano, non solo la scelta della parte hardware, ma anche dei servizi e dei contenuti online di cui i primi usufruiscono, alterando significativamente il gioco della concorrenza.

Il blocco del cloud gaming e delle web app

Fulcro delle restrizioni perpetrate da Apple, è rappresentato dal cloud gaming, rispetto al quale qualunque servizio di gaming ha subito un effettivo blocco di distruzione; da un lato, attraverso l’App Store, per le regole dettate da Apple, dall’altro, per via delle limitazioni connesse al browser engine[6], differentemente da quanto avviene su Android.

L’impatto sulle imprese e sul consumatore risulta tangibile anche in tal caso, posto che, i nuovi servizi – in grado di rivoluzionare il mondo del gaming, sfruttando il potenziale offerto dai sistemi cloud – garantirebbero un evidente beneficio per gli utilizzatori, i quali non avrebbero più la necessità di acquistare un hardware costoso e performante in grado di eseguire il videogioco.

L’assenza di tali restrizioni potrebbe rappresentare ovviamente una minaccia ai ricavi ottenuti attraverso l’App Store, integrando un metodo alternativo per scoprire e distribuire contenuti videoludici, nonché ridurre la necessità di acquistare un telefono di “fascia alta”, poiché l’elaborazione avverrebbe attraverso server remoti e, quindi, non più nel dispositivo locale.

Con riguardo, invece, alle web app, si tratta di applicazioni simili a quelle native, ma differiscono da queste ultime in quanto accessibili tramite browser: non è necessario, dunque, che vengano ‘scritte’ per un sistema operativo, ma, in quanto standard, si adattano all’utilizzo sia sul sistema Android che su quello iOS[7]. Esse rappresenterebbero una soluzione alternativa per accedere ai contenuti senza dover fare affidamento agli store, indebolendo, dall’altra parte, il controllo (e i profitti) di Apple e Google, relativamente alla distribuzione dei software.

Attualmente esse non sono molto diffuse proprio a causa delle limitazioni di funzionalità dei browser che non permettono di offrire la medesima user experience, al pari delle app native, disincentivando quindi le imprese ad adottare tale soluzione, maggiormente conveniente sotto il profilo dei costi di sviluppo.

Un breve cenno merita anche il blocco imposto da Apple a ulteriori funzionalità hardware e software, come la tecnologia Near Field Communication (altrimenti nota come NFC) che consente pagamenti mobili senza contatto, con la conseguenza di incentivare esclusivamente il proprio Apple Wallet e limitando altre attività potenzialmente innovative[8].

Sull’altro fronte, sebbene Google imponga minori restrizioni, allo stesso tempo esercita un significativo controllo all’interno del proprio ecosistema, attraverso una moltitudine di accordi che garantiscano che applicazioni quali Chrome e il Play Store, siano preinstallate nella maggior parte dei dispositivi che utilizzano il sistema Android[9], tutelando la propria posizione.

Tuttavia, nonostante la possibilità, quantomeno formale, di utilizzare store alternativi attraverso il c.d. sideload[10], sotto il profilo sostanziale, i competitor sarebbero comunque costretti ad affrontare i forti effetti di rete, in quanto, per avere un certo grado di competitività, uno store di applicazioni necessita dell’attrazione, non solo da parte degli sviluppatori, ma anche degli utenti.

In sintesi, gli aspetti principali che determinano la posizione di controllo possono essere così riassunti:

  • la fornitura dei due principali sistemi operativi mobile, di cui soltanto Android è disponibile in licenza, con un pregiudizio in termini di scelta per i produttori di smartphone;
  • la restrizione della concorrenza nel mercato degli app store, in quanto, l’App Store di Apple costituisce l’unico mezzo per offrire applicazioni native in ambiente iOS, determinandone il monopolio; dall’altra parte, come visto, pur consentendo l’utilizzo di alternative, le barriere fattuali sono molte, spingendo gli sviluppatori a preferire il Play Store;
  • la determinazione unilaterale di termini e condizioni di accesso ai loro store, applicando commissioni significative agli sviluppatori (tra il 25 e il 30%)
  • la gestione dei due principali browser e al tempo stesso delle tecnologie che alimentano la maggior parte dei browser mobile.

L’accesso al mercato e gli effetti di rete

Quanto fin qui riferito, delinea un quadro di elevato potere economico e di mercato di Apple e Google, tale da rendere concretamente difficile la possibilità per altre aziende di emergere in tale contesto ovvero anche semplicemente tentare di accedervi.

Le difficoltà, infatti sono rappresentate, non soltanto dalle restrizioni in sé e per sé considerate, ma dagli effetti che ne discendono e, in particolare dai c.d. “effetti di rete”.

Ed infatti, da un lato l’utenza risulta attratta dal sistema operativo o dallo store che offre maggiori contenuti, con uno scarso interesse verso il nuovo entrante. Dall’altro il comportamento degli utenti appare evidentemente influenzato dalla c.d. “scelta predefinita”, per cui il soggetto che utilizza il dispositivo sarà portato ad utilizzare l’applicazione o il browser preinstallato e difficilmente sarà invogliato a discostarsi operando una scelta autonoma.

Tale aspetto si riverbera anche sulla scelta del prodotto, per cui difficilmente si tenderà a sostituire il proprio dispositivo effettuando il passaggio ad un nuovo sistema operativo[11], con un evidente ostacolo per le start up che intendono avventurarsi in tale mercato.

Ulteriore elemento di criticità è rappresentato dai grandi ecosistemi interconnessi di cui Apple e Google godono e che hanno consolidato negli anni, con un meccanismo che vede diversi prodotti ‘completare’ il servizio principale[12].

Google, ad esempio, ha raggiunto una posizione dominante grazie al proprio motore di ricerca, ma ha ampliato la propria espansione entrando in mercati quali quello dello streaming video e della musica.

L’ecosistema integrato, dunque, rende maggiormente difficile per le aziende di accedere ai mercati, ove le due aziende controllano i punti d’accesso ovvero non riescono ad offrire la stessa vasta gamma di servizi all’interno di un ecosistema o, ancora, non possono competere su altrettanti fronti.

La differenza tra posizione dominante e abuso di posizione dominante

Riguardo il profilo squisitamente giuridico, l’indagine avviata dalla CMA potrebbe delineare, quale scenario, un abuso della posizione dominante di Apple e Google.

Com’è noto, il raggiungimento di una posizione dominante non è di per sé illegittimo e, per altro, effetto in un mercato ove le big tech hanno operato una forte scalata grazie a tecnologie innovative e rivoluzionarie.

Tuttavia, l’impresa che ha raggiunto una tale posizione, ha un particolare responsabilità, in quanto non può utilizzare il potere economico ottenuto – che di per sé, come detto, non è illegittimo – per finalità che invece sono illegittime, quali indebolire la concorrenza esistente o fissare barriere all’accesso per i nuovi entranti.

La fattispecie trova, invero, la propria principale fonte di regolamentazione nell’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in forza del quale è incompatibile con il mercato interno, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Per cui, lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFCE è tassativamente vietato.

Ciò posto, non esiste un parametro che circoscrive rigorosamente le fattispecie in presenza delle quali può configurarsi tale abuso e tale formulazione ‘larga’ è volta a consentire alla Autorità Antitrust (e alla giurisprudenza), di individuare, di volta in volta, le situazioni patologiche derivanti dall’utilizzo della posizione dominante, la cui analisi delle condotte richiede un vaglio particolarmente attento.

Ne è un esempio, la precedente ammenda che la Commissione ha rivolto a Google, individuando diversi profili di abuso relativamente ai dispositivi Android[13].

L’art. 102 TFUE trova poi il proprio speculare corollario nell’art. 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 che ricalca sostanzialmente quanto previsto dalla norma europea.

La legge italiana considera vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. Specularmente, l’impianto normativo nazionale non ha inteso vietare la posizione dominante in quanto tale, ma, come detto, il suo abuso.

Tuttavia, analogamente a quanto avviene per le intese vietate, quando l’abuso determina un pregiudizio per il commercio tra più Stati membri dell’UE, l’Autorità applica la normativa comunitaria qui vista.

Tralasciando il tema delle intese, cui sarebbe necessario dedicare un contributo a parte (stante il relativo utilizzo dalle varie piattaforme digitali, in termini di intese sia orizzontali che verticali)[14] e fermandosi a quello degli abusi anticoncorrenziali, invero è la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[15] ad aver chiarito che “un’impresa detiene una posizione dominante quando può comportarsi in modo significativamente indipendente dai concorrenti, dai fornitori e dai consumatori. Ciò avviene, in genere, quando detiene quote elevate in un determinato mercato”.

Ma la circostanza, come si è anticipato, non è di per sé illecita né idonea a influire indebitamente sul mercato, giacché per operare in modo efficiente, può essere utile e necessario essere attivi su larga scala o in più mercati.

Del resto la crescita di un’impresa può essere frutto di comportamento ‘virtuoso’, consistito nell’offerta di prodotti che, per il prezzo e/o per la qualità, abbiano maggiormente soddisfatto le esigenze dei consumatori.

In altri termini, la legge non ha inteso vietare la posizione dominante in quanto tale, ma il suo abuso (articolo 3 della legge n. 287/90) che si concretizza quando l’impresa sfrutta il proprio potere a danno dei consumatori, ovvero impedisce ai concorrenti di operare sul mercato, causando, conseguentemente, un danno ai consumatori.

Analogamente a quanto avviene per le intese, quando l’abuso determina un pregiudizio per il commercio tra più Stati membri dell’UE, l’Autorità applica la normativa comunitaria (articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). [16]

I comportamenti anticoncorrenziali, quindi anche quelli consistenti in forme di abuso di posizione dominante, coinvolgono una larga platea di stakeholder: società già esistenti sul mercato; nuove società (potenzialmente) concorrenti; la platea dei consumatori, privati dei benefici che la libera concorrenza tipicamente conferisce loro in un’ottica di ottimizzazione del rapporto qualità-prezzo

In cosa consistono gli abusi di sfruttamento e gli abusi escludenti

La posizione dominante conferisce all’impresa una particolare responsabilità e, d’altro canto, una condizione che può indurla a sconfinare in un comportamento abusivo, dando luogo al c.d. abuso di posizione dominante che può presentarsi in diverse forme.

Innanzitutto negli abusi di sfruttamento, ricorrenti quando alcune imprese realizzano un’intesa collusiva per ridurre la produzione e così innalzare i prezzi, o quando un’impresa dominante persegue la medesima strategia, il danno è generato dalla riduzione di produzione necessaria ad ottenere la riduzione dei prezzi, nonché da una distorsione più generale del funzionamento del mercato, derivante da un aumento dei costi di transazione.

Poi negli abusi escludenti, sussistenti quando un’impresa dominante esclude dall’accesso al mercato i suoi rivali, o ne impedisce lo sviluppo: il benessere sociale viene ridotto perché la collettività è privata del beneficio che i nuovi entranti potrebbero recarle, sotto forma di maggiore concorrenza, e dunque prezzi più bassi e/o qualità più elevata, nonché di innovazioni di prodotto e di processo.

Un comportamento illecitamente escludente può essere attuato utilizzando particolari politiche di prezzo o politiche che riguardano variabili diverse, fra cui rilevano anzitutto le seguenti:

– contrattazione esclusiva: un’impresa dominante può cercare di escludere i propri concorrenti dal mercato utilizzando espliciti obblighi di contrattazione esclusiva inseriti nei contratti con la propria clientela, oppure una struttura di sconti che nei fatti produca effetti analoghi;

– pratiche leganti, riferite a diverse tipologie di vendite abbinate in cui due o più beni o servizi sono venduti congiuntamente; se un’impresa gode di una posizione dominante su un certo mercato, attraverso una politica commerciale essa potrebbe essere in grado di traslare la propria posizione dominante anche sul mercato congiunto;

– pratiche predatorie, in cui il comportamento predatorio si articola in due fasi: nella prima, l’impresa dominante abbassa i prezzi (con azioni di dumping, talora sovvenzionate a livello governativo, soprattutto in paesi illiberali) fino a costringere i propri concorrenti a uscire del mercato; nella seconda l’impresa, rimasta sola, innalzerà i prezzi a livello di monopolio, recuperando la perdita sopportata nella prima fase e godendo di maggiori profitti;

– rifiuto di contrarre: si verifica quando un’impresa verticalmente integrata, che detenga una posizione dominante in un mercato a monte, influenzando anche il mercato a valle, si rifiuta di vendere beni o servizi indispensabili ad un’impresa concorrente nel mercato a valle, portando alla sua esclusione.

Un concorrente che subisce un abuso concorrenziale si vede inflitte due potenziali tipologie di danno: un danno emergente, consistente nella perdita degli investimenti specifici effettuati (costi sostenuti che divengono irrecuperabili) per realizzare i prodotti o i servizi, la cui vendita sia stata illecitamente ostacolata dall’impresa dominante; un lucro cessante, consistente nella perdita dei profitti che l’azienda avrebbe ragionevolmente ottenuto vendendo quei prodotti sul mercato interessato dalla condotta illecita.

L’illecito concorrenziale può inoltre provocare al concorrente una perdita di chance, nel caso in cui il comportamento dell’impresa dominante gli impedisca di acquisire conoscenze, competenze o titoli che gli avrebbero consentito in futuro di espandere la produzione o di entrare in nuovi mercati, precludendo il conseguimento di ulteriori vantaggi economici.

Le fattispecie di abuso sopra evidenziate vanno poi adattate alla peculiare tipologia rappresentata dalle piattaforme digitali.

La necessità di un controllo ex ante per il diritto alla concorrenza

Ciò detto, se da un lato, la formulazione dell’art. 102 TFUE, con il suo approccio sostanziale, offre, come visto, maggior spazio alle authorities al fine di intraprendere azioni interventive, evitando di fissare paletti che potrebbero essere agevolmente elusi, dall’altro la CMA ha evidenziato come il diritto della concorrenza necessiti di poteri ex ante.

Tra gli obiettivi: supervisionare direttamente le aziende tecnologiche dominanti nel mercato; offrire maggiori poteri per affrontare rapidamente le problematiche e i rischi che scaturiscono dall’abuso di posizioni dominanti e, non da ultimo, sostenere e supportare in maniera efficace una distribuita e concorrenziale evoluzione del settore tecnologico[17].

I possibili interventi di contrasto e le questioni aperte

Tornando al caso specifico finora esaminato, in ultimo la CMA, sulla scia delle considerazioni fin qui espresse, ha individuato potenziali interventi per favorire la concorrenza all’interno e tra gli ecosistemi, da un lato, riducendo le barriere e le restrizioni, dall’altro, proteggendo i competitor dai potenziali effetti negativi del potere di mercato delle due big tech.

Le soluzioni prospettate in concreto concernono:

  • l’apertura dei mercati, al fine di livellare il campo di gioco e permettere alle altre aziende di competere con gli app store e i browser di Apple e Google, rimuovendo e rivedendo le restrizioni attualmente imposte e consentendo agli utenti di fare scelte attive ed efficaci;
  • impedire che favoriscano ingiustamente le proprie attività, fornire maggior trasparenza sul potere decisionale in fase di pubblicazione di un’applicazione negli store proprietari e garantire che altri possano accedere alle loro piattaforme a condizioni eque e ragionevoli, compresi i tassi di commissione adottati.

Tuttavia, tali scelte non sono semplici e rapide da adottare, in quanto gli interessi in gioco appaiono molteplici: ad esempio, una riduzione dei controlli in relazione alle app rilasciate negli store, o la possibilità di effettuare il sideload, potrebbe comportare l’apertura di nuovi scenari con implicazioni negative in ordine alla sicurezza e alla privacy degli utenti, soprattutto in un’epoca storica in cui la cybersecurity e la privacy dei dati personali assumono un ruolo sempre più fondamentale e godono della forte attenzione delle autorità europee in materia e del legislatore europeo.

Sotto i riflettori, il bilanciamento dei diritti: si palesa l’esigenza di interventi e azioni mirate da parte delle autorità, con una ferrea applicazione del diritto antitrust che abbia effetti non solo sanzionatori, ma anche di garanzia e tutela per i concorrenti deboli.

Ma, al tempo stesso, che questa ferrea applicazione non vada a danno dei consumatori o determini un peggioramento dei servizi offerti, con un conseguente riverbero negativo nei confronti dell’utenza o, ancora, che metta a rischio la sicurezza e la privacy degli stessi.

Un bilanciamento di diritti che, ancora una volta, assume un ruolo fondamentale, ove, se non proficuamente calmierata, lotta alle big tech fine a sé stessa potrebbe comportare un pregiudizio allo sviluppo tecnologico e, soprattutto, al benessere del consumatore.

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Note

  1.  Con l’espressione si intende un tipo di servizio online che esegue un videogioco su un server remoto e permette di effettuarne lo streaming trasmettendo direttamente il contenuto al dispositivo dell’utente, che ne usufruisce attraverso il proprio browser o un’applicazione dedicata
  2. Si veda la causa “Epic Games Inc. contro Apple Inc”., attualmente in appello, che ha visto in primo grado l’accoglimento delle ragioni di Epic Games in ordine alla distribuzione delle app e alle commissioni imposte da Apple.
  3. Si veda il “CMA’s market study into mobile ecosystems: final report summary”.
  4. Un browser engine (lett. motore del browser) è un componente software di base di tutti i principali browser. Il compito principale di un motore browser è quello di trasformare documenti html e altre risorse di una pagina web in una rappresentazione visiva interattiva sul dispositivo di un utente.
  5. Tra il 2018 e il 2021 Apple ha assistito ad un innalzamento dei ricavi provenienti dall’App Store con un incremento tra l’80 e il 100%
  6. Il WebKit distribuito da Apple influisce sulle funzionalità delle web app che, se agevolate, arginerebbero il vincolo della distribuzione relegata all’App Store e, di conseguenza, alla quota di redditto nascente da quest’ultimo.
  7. Tra le aziende che utilizzo le web app rientrano anche colossi come Uber o Pinterest.
  8. Le modalità di pagamento tramite NFC hanno assistito ad una forte crescita negli ultimi anni. La CMA ha rilevato che, nel 2020, un numero di circa 17 milioni di utenti, pari ad un terzo della popolazione del Regno Unito, utilizza i pagamenti mobile, con un incremento superiore al 75% rispetto al precedente anno.
  9. I produttori, ad esempio, possono utilizzare il sistema operativo Android soltanto se posizionano in modo visibile applicazioni proprietarie Google ovvero contribuiscano alla promozione delle stesse.
  10. Con il termine si identifica l’azione compiuta trasferendo dati tra due dispositivi locali (ad esempio, tra un computer e un dispositivo mobile) generalmente attraverso una connessione USB, Bluetooth o Wi-Fi. Tale pratica risulta generalmente sconsigliata, potendo esporre il dispositivo a violazioni della sicurezza.
  11. Il sondaggio condotto dalla CMA ha evidenziato che soltanto il 5% degli utenti Apple era passato da un dispositivo iOS ad un dispositivo Android e che soltanto l’8% aveva effettuato il passaggio inverso.
  12. Il core business di Apple deriva dalla vendita di hardware e sistemi operativi associati, ma la crescita nei ricavi tra il 2016 e il 2020 è stata guidata da servizi, oltre ad espandersi in mercati connessi quali i pagamenti contactless e dispositivi mobili quali Apple Watch o HomePod.
  13. Nel 2018 la Commissione europea ha inflitto a Google un’ammenda di 4.34 miliardi di euro per violazione delle norme antitrust dell’Unione Europea in quanto ha imposto ai produttori di preinstallare l’applicazione Google Search e Chrome come condizione per la concessione della licenza relativa al portale di vendita di applicazioni Play Store, ha pagato alcuni grandi produttori e operatori di reti mobili affinché preinstallassero a titolo esclusivo l’applicazione Google Search sui loro dispositivi e ha impedito ai produttori che desideravano preinstallare le applicazioni Google di vendere anche un solo dispositivo mobile intelligente funzionante con versioni alternative di Android non approvate da Google (le cosiddette Android forks).
  14. Le intese collusive possano essere, in verità, anche contemporaneamente orizzontali e/o verticali. Le più diffuse nei mercati si profilano in forma di elevate barriere all’ingresso. Vi sono poi intese di cooperazione orizzontale (accordi di acquisto, di vendita, di collocazione sul mercato, di ricerca e sviluppo.) che possono comportare benefici economici, sia per le grandi imprese ( si pensi alla distribuzione selettiva) che alle piccole e medie imprese. Le intese orizzontali possono sfociare in comportamenti anticoncorrenziali quando riguardano la fissazione dei prezzi, la limitazione della produzione e la ripartizione dei mercati. Le intese verticali sono diffuse nei rapporti fra produttore e distributore e possono sfociare in abusi della concorrenza soprattutto in termini di accordi sui prezzi e di quantità da vendere.
  15. Cfr http://www.agcm.it/concorrenza-competenza/abuso-di-posizione-dominante.html
  16. Ricorda l’AGCM che “La capacità dell’impresa di imporre determinate condizioni in uno specifico rapporto contrattuale non determina, di per sé, una posizione dominante. Tuttavia, lo sfruttamento di questo potere negoziale può comportare, quando ne ricorrano le condizioni, un abuso di dipendenza economica. Ferma restando l’applicazione dell’articolo 3 della legge 287/90 in materia di abuso della posizione dominante, l’Autorità può intervenire qualora ravvisi un abuso di dipendenza economica che abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato (Art. 11, legge 5 marzo 2001, n. 57). Si ha abuso di dipendenza economica quando un’impresa è in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità, per la parte che abbia subìto l’abuso, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti (Art. 9, legge 18 giugno 1998, n. 192)”.
  17. Va ricordato, al riguardo, che le istituzioni europee hanno raggiunto un accord sul cd. DMA, che dovrebbe entrare in vigore nella primavera del 2023. In sintesi, le regole in esso contenute si rivolgono alle piattaforme che erogano servizi digitali che presentino le seguenti caratteristiche: 1) un fatturato annuo di 7,5 miliardi di euro o una capitalizzazione media di 75 miliardi di euro; 2) 10.000 clienti business su base annuale e 45 milioni di utilizzatori nell’Unione e per specifica piattaforma. I soggetti che gestiscono piattaforme digitali, erogando servizi quali la vendita di applicazioni, servizi di marketplace online, pubblicità digitale, motori di ricerca, piattaforme di social media e di condivisione di video, servizi operativi, servizi di messaggeria, web browser e assistenza vocale, e che presentano i requisiti sopra indicati, si presumono gatekeeper e dunque destinatari della normativa. Si è affermato in proposito che il testo contiene una “vera “rivoluzione copernicana” rispetto alla generale disciplina antitrust laddove detta appunto ex ante una serie di divieti e obblighi che devono essere rispettati dal gatekeeper, a prescindere da una verifica della sua posizione dominante sul mercato o dal riscontro degli effetti anticompetitivi della pratica in essere.

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