Tribunale di Milano

L’industria del copyright ora se la prende con i DNS pubblici: il caso CloudFlare

IL tribunale di Milano ha emesso un’ordinanza cautelare in materia di diritto d’autore, in una controversia tra Sony, Universal, Warner e Cloudflare in merito a siti torrent. Per la prima volta DNS pubblici nel mirino. Ma è un’ordinanza con molti lati oscuri

Pubblicato il 19 Lug 2022

Fulvio Sarzana di S.Ippolito

avvocato, Studio legale Sarzana e Associati, Roma

diritto d'autore - copyright - videoregistrazione da remoto - ARCOM

Il Giudice di Milano, sezione specializzata per le imprese ha emesso l’11 luglio scorso un’ordinanza cautelare in materia di diritto d’autore, in una controversia tra Sony, Universal, Warner e Cloudflare in merito a siti torrent.

DNS pubblici nel mirino del diritto d’autore

Quest’ultima azienda è una società utilizzata da milioni di siti Web in tutto il mondo, che di fatto offre ai propri clienti  clienti CDN e servizi DNS per la risoluzione dei nomi a dominio.

L’ordinanza è interessante perché va a colpire un intermediario che fornisce servizi DNS, usata – secondo i denuncianti – da siti “torrent” per mascherarsi e impedire così di essere bloccati dalle autorità. 

Non è la prima volta che Cloudflare è protagonista di una vicenda giudiziaria di fronte alla giurisdizione italiana: a febbraio del 2022, il Tribunale di Milano aveva intimato a Cloudflare di cessare tutti i servizi resi in favore di alcuni gestori di servizi IPTV illegali.

In quel caso però Cloudflare era stata individuata dai gestori dei siti che distribuivano contenuti protetti dalle norme sul diritto d’autore al fine dell’erogazione di funzionalità di proxying e caching.

Il Tribunale delle Imprese di Roma a fine maggio del 2022 aveva invece rigettato tutte le domande delle società ricorrenti, nella fattispecie la Medusa Film, in quanto I giudici capitolini avevano rilevato che Cloudflare, in qualità di intermediario Internet, non ha alcun obbligo di sorveglianza sulla base di quanto stabilito dalla normativa vigente (ex art. 15 dir. 2000/31/CE).

L’ordinanza odierna ha invece ad oggetto l’utilizzo del DNS pubblico fornito da Cloudflare attraverso il quale, pur la stessa Cloudflare non avendo nessuna relazione con l’hosting dei siti presuntivamente pirata, di fatto consentiva l’accesso attraverso la fornitura del suo servizio di DNS pubblico.

La vicenda

L’azione di fronte al Giudice meneghino era stata preceduta dall’istanza avanzata nel 2021  dall’associazione FPM – Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale, per conto delle ricorrenti  avanti all’AGCom, per la disabilitazione dell’accesso ai siti “pirata” menzionati, sensi dell’articolo 6 del regolamento AGCom approvato con delibera n. 680/13/CONS in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica.

L’Autorità, con diverse delibere, aveva ordinato ai prestatori di servizi la disabilitazione dell’accesso ai menzionati siti da parte di utenti italiani.

Poiché però le inibizioni non avevano sortito gli esiti sperati, le ricorrenti avevano evocato il Giudice civile italiano, sperando, come poi è successo, che Cloudflare si costituisse davanti allo stesso Giudice Italiano, ottenendo così direttamente nei confronti dell’azienda americana un provvedimento di inibizione, che questa volta avrebbe dovuto aver ad oggetto il servizio di risoluzione dei nomi a dominio offerto dalla stessa Cloudflare.

Cosa dice il procedimento cautelare

  • All’esito del procedimento cautelare, il  Giudice in accoglimento delle istanze cautelari avanzate dalle ricorrenti  ha quindi ordinato  a Cloudflare Inc. di adottare immediatamente le più opportune misure tecniche al fine di inibire a tutti i destinatari dei propri servizi l’accesso ai servizi  dei siti ritenuti “pirata”  specificamente indicati inibendo la risoluzione DNS dei rispettivi nomi a dominio.
  • Chiede inoltre alla resistente Cloudflare Inc. di inibire la risoluzione DNS di qualsiasi nome a dominio (denominato “alias”) – che costituisca una variazione dei predetti DNS di primo, secondo, terzo e quarto livello – attraverso i quali i servizi illeciti attualmente accessibili attraverso i nomi a dominio indicati possano continuare ad essere disponibili, a condizione che i nuovi alias siano soggettivamente e oggettivamente riferiti ai suddetti servizi illeciti.
  • Fissa a carico della resistente penale di € 10.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione delle inibitorie innanzi disposte, con decorrenza dal trentesimo giorno dalla comunicazione del presente provvedimento.

I dubbi sull’ordinanza

I dubbi che sorgono a fronte dell’ordinanza, in disparte le considerazioni generali relative al concetto di net neutrality e alle conseguenze che potrebbero derivare su tutti i servizi di fornitura di DNS pubblici sparsi per il globo, sono di due tipi: il primo riguarda la fattibilità tecnica dell’ordine del Giudice ed il secondo l’eseguibilità del provvedimento negli Stati Uniti.

Pur avendo rigettato il Giudice la domanda della resistente in ordine al difetto di  giurisdizione del giudice italiano non si vede come possa realmente essere adottato, da parte di un portale che non è nemmeno hoster dei siti, un provvedimento selettivo di inibizione del DNS pubblico generale (poi solo per gli utenti italiani?), così come non è nota la coercibilità  reale in una diversa giurisdizione,  che adotta princìpi differenti in ordine alla responsabilità degli intermediari, al di là dell’adempimento spontaneo da parte di Cloudflare, dell’ordine del Giudice.

Se infatti Cloudflare non dovesse adempiere spontaneamente all’ordine di inibizione, non si vede come possa essere coercito tale ordine direttamente presso la stessa azienda, avendo già dato l’ordine l’AGCOM (evidentemente invano) ai provider italiani.

Domande tutte che non hanno ricevuto risposta dal provvedimento interinale del Giudice.

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