Il recente accordo tra Amazon e la Commissione Europea, a chiusura delle indagini attualmente in corso per violazione della normativa antitrust, rappresenta un nuovo standard alla luce del quadro normativo che va a delinearsi con l’approvazione del Digital Markets Act, avvenuta ieri in via definitiva (con il Consiglio UE, dopo ok del Parlamento Ue).
Amazon si è impegnato – e l’UE ha accolto questi impegni, evitando così una sanzione – a non usare più dati non pubblici dei propri venditori terze parti al fine di creare offerte a proprio marchio, sullo stesso marketplace Amazon.
Il fine principale del DMA è in effetti proprio quello di regolare i mercati digitali e, in particolare, piattaforme dal ruolo duplice come Amazon, uno dei cui punti di forza è indubbiamente rappresentato proprio dalla quantità e qualità dei dati di cui può disporre per porre in essere condotte potenzialmente lesive della concorrenza.
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Uno degli obblighi previsti dal DMA, infatti, è proprio quello di vietare ai gatekeeper di utilizzare dati non pubblici degli utenti aziendali al fine di proporre sulla medesima piattaforma servizi concorrenti a prezzi e con condizioni impossibili da eguagliare.
La medesima contestazione è stata sollevata, negli anni, sia in Europa che negli USA, anche nei confronti di Google e Apple, che occupano posizioni rilevanti all’interno di mercati digitali strategici come l’advertising digitale e la vendita di app per dispositivi mobili.
L’accordo tra Amazon e Commissione UE potrebbe quindi costituire un importantissimo precedente, oltre che il fondamento per la successiva applicazione del Digital Markets Act, definitivamente approvato dal Consiglio Europeo e di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Amazon, i motivi delle indagini antitrust della Commissione Europea
L’accordo attualmente in fase di definizione fra Amazon e la Commissione, costituirebbe la conclusione transattiva delle indagini avviate da quest’ultima per adozione di pratiche anticoncorrenziali, quali: l’utilizzo dei dati non pubblici dei venditori terzi al fine di vendere sulla propria piattaforma prodotti concorrenti, e distorsioni della concorrenza connesse alle funzioni Buy Box e al programma “Prime”.
Amazon, infatti, ricopre oggi un ruolo duplice di gestore della piattaforma di e-commerce e di venditore sulla medesima piattaforma, andando in diretta concorrenza con i venditori terzi indipendenti, che si trovano spesso nell’impossibilità di competere con Amazon a causa della possibilità di quest’ultima di accedere a tutti gli insiemi di dati raccolti dalla piattaforma sulle attività di vendita dei prodotti, ivi compresi i dati aziendali non pubblici.
Al fine di determinare se tale circostanza potesse configurare una violazione della normativa europea in tema di tutela della concorrenza la Commissione apriva nel 2017 un’indagine formale, cui faceva seguito, nel novembre 2020, una comunicazione di addebiti contenente la conferma del divieto per Amazon di basare le proprie strategie di vendita al dettaglio sulla base dei dati commerciali riferibili ai venditori terzi; viceversa, si configurerebbe una condotta di concorrenza sleale all’interno della piattaforma di e-commerce.
Parallelamente, la Commissione avviava una seconda indagine sui citati servizi Buy Box (funzione che dà maggiore visibilità ad un prodotto e consente di effettuare un acquisto diretto cliccando su un semplice pulsante) e Prime (il noto programma che consente ai venditori terzi di offrire i propri prodotti a condizioni più vantaggiose). Anche per detti servizi venivano rilevate delle violazioni della normativa antitrust, in quanto i medesimi favorivano indebitamente l’attività di vendita al dettaglio di Amazon, e i venditori che utilizzano i servizi di consegna proprietari di Amazon, andando a danneggiare gli altri venditori e i vettori indipendenti.
Gli impegni offerti da Amazon
A chiusura delle indagini avviate, Amazon ha avanzato una proposta di accordo alla Commissione, che ricomprende una serie di impegni da attuarsi al fine di risolvere le riscontrate criticità, che si vanno di seguito a sintetizzare. Ai sensi dell’art. 9 paragrafo 1, del Regolamento n. 1/2003 le imprese oggetto di indagine da parte della Commissione, infatti, possono avanzare una proposta di “impegno” atta a risolvere le criticità avanzate dalla Commissione medesima, che diventano vincolanti.
Con riferimento all’utilizzo dei dati di mercato dei venditori terzi, Amazon, come riportato nel comunicato ufficiale reso dalla Commissione Europea[1], si impegna “ad astenersi dall’utilizzare dati non pubblici relativi o derivati dalle attività dei venditori indipendenti sul suo mercato, per la sua attività di vendita al dettaglio che compete con tali venditori”. L’impegno si applicherebbe sia agli strumenti automatizzati utilizzati da Amazon, che alla reportistica elaborata dai suoi dipendenti, che potrebbero incrociare i dati raccolti da Amazon Marketplace per elaborare strategie anticoncorrenziali di vendita al dettaglio dei prodotti a marchio proprietario o dalla stessa distribuiti.
Il divieto di utilizzo dei dati andrebbe a coprire “sia i dati individuali che quelli aggregati, come le condizioni di vendita, i ricavi, le spedizioni, le informazioni relative all’inventario, i dati sulle visite dei consumatori o le prestazioni del venditore sulla piattaforma”.
Buy Box e Prime
In riferimento, poi, alle contestazioni relative alla Buy Box, Amazon si impegna a:
- applicare condizioni paritarie a tutti i venditori terzi del marketplace nella fase di classificazione delle rispettive offerte ai fini di determinare il vincitore della “Buy Box”;
- mostrare al vincitore della Buy Box anche una seconda offerta concorrente, nel caso in cui quest’ultima sia “sufficientemente differenziata dalla prima sul prezzo e/o sulla consegna”. Le due offerte poste in risalto conterranno le medesime informazioni e forniranno all’utente la stessa esperienza di acquisto, lasciando ai consumatori la piena facoltà di decidere quale soluzione sia maggiormente conforme alle proprie necessità.
Allo stesso modo, con riferimento al programma “Prime”, Amazon si impegna a:
- stabilire condizioni e criteri non discriminatori per la qualificazione dei venditori sul mercato e delle offerte rese dal programma “Prime”;
- consentire ai venditori aderenti al programma “Prime” di scegliere liberamente qualsiasi vettore per i loro servizi logistici e di consegna e negoziare i termini della consegna direttamente con il vettore di loro scelta;
- non utilizzare alcuna informazione ottenuta tramite il programma “Prime” circa i termini di servizio e le prestazioni dei vettori terzi, per i servizi logistici resi ai venditori, al fine di evitare che i dati non pubblici dei vettori possano essere utilizzati da Amazon per definire le strategie di vendita di servizi logistici concorrenti.
Gli accordi andrebbero ad applicarsi per l’interezza dei mercati attuali e futuri di Amazon all’interno dello Spazio Economico Europeo, fatta eccezione per l’Italia (con solo riferimento agli impegni relativi alla Buy Box e al programma Prime, essendo gli stessi stati già oggetto di un provvedimento da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana), e resterebbero in vigore per cinque anni.
Al fine di verificare il rispetto dell’accordo da parte di Amazon, sarà nominato un soggetto fiduciario (il c.d. Monitoring Trustee) il cui compito sarà quello di monitorare l’attuazione degli impegni contratti con la Commissione.
La proposta di accordo è ora soggetta a consultazione, al fine di consentire ai soggetti interessati di avanzare delle osservazioni alla Commissione, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 4, del Regolamento n. 1/2003. Se a seguito della fase di consultazione verrà riscontrato che la proposta di accordo rappresenta una soluzione per le violazioni antitrust rilevate, la Commissione adotterà una decisione che renderà gli impegni proposti da Amazon legalmente vincolanti, concludendo l’indagine prima che sia accertata una violazione della normativa europea. Nel caso in cui Amazon dovesse venir meno agli impegni contratti, la Commissione potrà irrogare una multa pari a fino al 10% del fatturato mondiale della società, senza neppure dover dimostrare una violazione delle norme antitrust dell’UE.
Verso un nuovo standard antitrust
Nelle scorse settimane, al pari di quanto fatto da Amazon, anche Alphabet (società madre di Google), secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, starebbe avanzando un accordo transattivo con le autorità statunitensi volto a chiudere anticipatamente le indagini avviate per l’accertamento di condotte anticoncorrenziali nel mercato degli ads digitali, ipotizzando addirittura di dividere i diversi servizi offerti in più società separate fra loro, al fine di evitare la concentrazione di detti servizi in capo ad un unico soggetto.
È evidente, dunque, come l’attività condotte dalle autorità antitrust stia rappresentando il punto di partenza per un nuovo paradigma normativo volto a limitare il potere delle Big Tech e tutelare la concorrenza anche nei mercati digitali. Secondo quanto emerge dalla relazione annuale dell’AGCM, solo in Italia sarebbero state irrogate alle Big Tech multe per oltre 1,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante (di cui 1,1 miliardi nei confronti di Amazon).
“La concorrenza deve continuare ad essere centrale anche nell’attuale contesto economico”, ha affermato il presidente dell’AGCM Roberto Rustichelli presentando la relazione al Parlamento questa settimana, “atteso che essa costituisce il collante sociale del sistema capitalistico: la condizione irrinunciabile per assicurare che il mercato crei ricchezza e, al contempo, generi benessere per i consumatori e contribuisca alla giustizia sociale”. Ciò a maggior ragione in un contesto come quello odierno, in cui il potere di acquisto su riduce e diventa “indispensabile contrastare eventuali condotte collusive o sfruttamenti abusivi del potere di mercato che potrebbero amplificare ulteriormente gli effetti negativi delle dinamiche inflazionistiche”.
La posizione di Amazon
Siamo lieti di aver trovato una soluzione alle richieste della Commissione europea e di avere chiuso questi casi. Pur continuando a non essere d’accordo con molte delle conclusioni preliminari tratte dalla Commissione europea, ci siamo impegnati in modo costruttivo per poter continuare a servire i clienti in tutta Europa e supportare le 225.000 piccole e medie imprese europee che vendono attraverso i nostri negozi.
Background attribuibile ad Amazon sugli investimenti in tutta Europa:
- Il primo investimento di Amazon in Europa risale a più di 20 anni fa. Nel corso degli anni, abbiamo investito molto nello sviluppo delle nostre attività in 20 Stati membri dell’UE e nel Regno Unito. Tra il 2010 e il 2020 abbiamo investito più di 100 miliardi di euro per far crescere Amazon nell’UE e nel Regno Unito.
- Le PMI europee hanno creato finora oltre 650.000 posti di lavoro in Europa per supportare le loro attività online e nel 2021 hanno venduto oltre 2,2 miliardi di prodotti sugli store Amazon in tutta Europa.
- Nel 2021, le PMI europee che vendono su Amazon hanno registrato oltre 14,5 miliardi di euro di vendite all’estero.
- Investiamo molto in una comunità di oltre 1,1 milioni di partner di vendita, autori, creatori di contenuti, fornitori di servizi di consegna, sviluppatori e fornitori di soluzioni IT indipendenti europei di successo che collaborano con noi. 225.000 piccole e medie imprese (PMI) continuano a rappresentare oltre il 50% di tutto ciò che vendiamo nei nostri negozi online.