Meglio dell’anno scorso, grazie agli sforzi profusi e ai tanti progetti, ma ancora l’Italia non brilla nel panorama della digitalizzazione in Europa. Lo rivela il DESI 2022, il “bollettino” sullo stato di digitalizzazione esistente negli Stati membri UE che la Commissione europea monitora periodicamente utilizzando specifici indicatori (“Capitale umano”, “Connettività”, “Integrazione della tecnologica digitale”, “Servizi pubblici digitali”).
Il nostro Paese, come “terza economia dell’UE”, raggiunge in una condizione di formale miglioramento generale la posizione numero 18 fra i 27 Stati membri dell’UE (punteggio pari a 49,3 rispetto alla media UE di 52,3), rispetto al ventesimo posto (sempre su 27 Stati) ottenuto nel 2021. Un dato che offre importanti spunti di riflessione. Del resto, la nuova edizione del DESI, resa nota con un comunicato stampa diffuso il 28 luglio 2022, propone un’interessante panoramica in grado di tracciare, sin dal 2014, il graduale progresso tecnologico registrato a livello europeo. Tuttavia, ad onore del vero, in taluni casi forse sarebbe meglio parlare di cronico ritardo o sindrome da annunci.
Desi 2022: primo vero progresso dell’Italia, ma c’è ancora tanto da fare
Cosa dice il DESI 2022
Il DESI 2022, basato sulla rilevazione dei dati provenienti da fonte Eurostat, segue la nuova impostazione metodologica adottata in occasione della pubblicazione del Report risalente al 2021 come rilevante novità di indagine empirica adottata dall’Unione europea rispetto ai precedenti anni di raccolta e comparazione dei relativi dati oggetto di ricognizione analitica nelle evidenze statistiche ivi disponibili.
Il DESI 2022 riconosce gli sforzi di digitalizzazione che tendenzialmente tutti gli Stati membri hanno compiuto in un delicato e oltremodo complesso momento storico da contestualizzare nella cornice emergenziale della pandemia “Covid-19”, ove l’improvvisa accelerazione della convergenza tecnologica ha reso sempre più centrale l’uso di Internet nella vita delle persone con effetti pervasivi però non del tutto favorevoli e vantaggiosi, in condizioni di proficua fruibilità integrale, per la collettività. Sono infatti ancora radicate una serie di rilevanti criticità riscontrabili nel deficit che si manifesta in lacunose competenze digitali (di base e avanzate), al pari del precario processo di trasformazione digitale delle PMI destinato a vanificare il trend di crescita atteso nello sviluppo socio-economico equo e sostenibile perseguito dall’Unione europea, anche a causa delle carenti implementazioni sperimentali rilevate nell’adozione di tecnologie emergenti chiave (come IA e Bigdata), aggravate dal mancato perfezionamento di un’efficiente infrastruttura di connettività 5G necessaria per garantire servizi altamente innovativi.
Al contempo però gli ingenti investimenti finanziari previsti dal “Recovery Plan for Europe –NextGeneration EU” possono rappresentare un’occasione storica senza precedenti per realizzare un’Europa “più ecologica, digitale e resiliente” secondo gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 così come formalizzati nel cd. “Decennio digitale” in attuazione dei quattro punti cardinali della cd. “Bussola Digitale”. In poche parole, come si suole dire, “spes ultima dea”, al netto dei non per nulla marginali problemi oggi esistenti.
Il gap tra Sud e Nord in Europa
Nel merito dei “numeri” monitorati dal DESI 2022 e resi noti dalla Commissione europea, prendendo atto del profondo “gap” che si registra nel “vecchio continente” tra Sud e Nord, spiccano il volo Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia (naturalmente non si tratta di una sorpresa, ma di un esito prevedibile a lungo consolidato nel tempo). Più precisamente, sul podio della classifica generale si collocano appunto Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, seguite da Svezia, Irlanda, Malta e Spagna, mentre i peggiori risultati sono associati a Grecia, Bulgaria e Romania, sebbene il paese ellenico, insieme a Italia e Polonia, abbia compiuto “i maggiori progressi negli ultimi 5 anni”.
Rispetto all’obiettivo di raggiungere entro il 2030 almeno l’80% dei cittadini in possesso di competenze digitali di base, resta comunque emblematico che, a livello generale, “solo il 54% degli europei di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base, mentre l’87% delle persone utilizza Internet almeno una volta alla settimana (1 punto percentuale in più rispetto all’anno precedente)”. Inoltre, “sebbene 500.000 specialisti ICT siano entrati nel mercato del lavoro tra il 2020 e il 2021, i 9 milioni di specialisti ICT dell’UE sono ben al di sotto dell’obiettivo dell’UE di 20 milioni di specialisti entro il 2030 e non sono sufficienti per colmare la carenza di competenze che le imprese devono attualmente affrontare. Nel 2020, più della metà delle imprese dell’UE (55%) ha segnalato difficoltà a coprire i posti vacanti di specialisti in TIC”.
Anche sul versante del tessuto imprenditoriale, “solo il 55% delle PMI dell’UE possiede almeno un livello di digitalizzazione di base (obiettivo: almeno il 90% entro il 2030)” con la conseguenza che, a parte il (comunque modesto) 34% associato all’uso del cloud computing, “l’utilizzo di AI e Big Data da parte delle aziende si attesta rispettivamente solo all’8% e al 14% (obiettivo del 75% entro il 2030)”.
Il divario urbano-rurale
Nonostante la persistenza di un “significativo divario urbano-rurale” come preoccupante deficit infrastrutturale ancora diffuso, l’indicatore “Connettività” descrive in generale il raggiungimento di migliori performance di connettività grazie ai risultati raggiunti dalla copertura della rete fissa ad altissima velocità (VHCN) attestata ad una soglia già oggi elevata corrispondente al 70% (con un +10 rispetto all’anno precedente), prossima quindi a raggiungere l’obiettivo del 100% entro il 2030. Anche l’offerta di collegamento in fibra risulta disponibile per il 50% delle famiglie (rispetto al 43% dell’anno precedente). La tecnologia 5G è aumentata nel territorio europeo sino al 66% (con un rilevante incremento esponenziale a fronte del 14% registrato l’anno precedente), anche se “l’assegnazione dello spettro, presupposto importante per il lancio commerciale del 5G, non è ancora completa”. Tra i Paesi più avanzati nella copertura di reti di ultima generazione (VHCN) vi sono Malta, Lussemburgo, Danimarca, Spagna, Lettonia, Paesi Bassi e Portogallo, mentre in Grecia (ove è stato costituzionalizzato il diritto di accesso ad Internet) “solo 1 famiglia su 5 ha accesso a VHCN”.
La situazione delle PMI
Concentrando l’attenzione sull’indicatore “Integrazione delle tecnologie digitali”, risulta che “solo il 55% delle PMI ha almeno un livello di base nell’adozione delle tecnologie digitali, con differenze significative tra gli Stati membri (dall’86% in Svezia e all’82% in Finlandia al 25% in Bulgaria e 22% in Romania)”. Le evidenze in questo caso sono decisamente poco incoraggianti se si considera che, come obiettivo strategico formalmente enunciato dall’Unione europea, entro il 2030 “almeno il 90% delle PMI nell’UE dovrebbe avere un livello di intensità digitale di base”.
Servizi pubblici online
Tra gli aspetti positivi, secondo i dati del DESI 2022, “la fornitura online di servizi pubblici chiave è diffusa nella maggior parte degli Stati membri dell’UE”, grazie alla trasformazione della generalità dei procedimenti amministrativi che consentono sempre più spesso di richiedere alle PA l’erogazione online dei servizi pubblici, completando le varie fasi burocratiche della relativa fruizione direttamente da remoto. In questo caso, Estonia, Danimarca, Finlandia e Malta hanno i punteggi più alti, mentre Romania e Grecia hanno i punteggi più bassi.
DESI 2022, a che punto è l’Italia
La connettività italiana registra progressi soprattutto sotto il profilo quantitativo dei dati rilevati dallo studio, alla luce della generale diffusione dei servizi a banda larga, mentre invece continua a risultare “carente” la copertura delle reti ad altissima capacità rispetto alla media UE.
Il DESI 2022 afferma che “la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane (il 60%) ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale; l’utilizzo di servizi cloud, in particolare, ha registrato una considerevole crescita”, anche se, in perfetta linea alla media europea, l’adozione di “tecnologie cruciali come i big data e l’intelligenza artificiale è ancora alquanto limitata”.
“Benché solo il 40% degli utenti di internet italiani faccia ricorso ai servizi pubblici digitali (rispetto a una media UE del 65%)”, particolarmente positivi e apprezzati sono poi i progressi compiuti dall’Italia nella fornitura dei servizi pubblici digitali, da cui si evince la progressiva erosione del gap esistente rispetto alla media generale UE. In tale scenario, si auspica, tra l’altro, la possibilità di rendere “pienamente operativi i fascicoli sanitari elettronici”. A riprova dei proficui sforzi sostenuti dal nostro Paese, il DESI 2022 riconosce l’impegno politico di aver avviato un concreto processo di digitalizzazione della PA, desumibile, tra l’altro, dalla pubblicazione della Strategia Cloud Italia, unitamente alla operatività dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), tenuto altresì conto della diffusione pressoché generale dell’identità digitale (“SPID” e “CIE”) e dell’app “IO” (che consente l’accesso ai servizi pubblici digitali) come interventi strutturali senza dubbio efficaci per promuovere l’innovazione generale alla stregua di un pilastro operativo strategico delle riforme organiche ivi realizzate.
Il digital divide
Resta invece sempre critico (non è ormai una sorpresa, ma un dato di fatto cronico, forse irrisolvibile?) il divario cognitivo digitale. In particolare, nonostante l’istituzione governativa di un nuovo fondo speciale (cd. “Fondo per la Repubblica Digitale”) che promuove iniziative finalizzate ad accrescere i livelli di competenze digitali, in combinato disposto con il programma “GOL” (garanzia di occupabilità dei lavoratori) e con il Piano Nazionale Nuove Competenze, come importanti misure menzionate dal DESI 2022, lo scenario è impetuoso: “Ancora oggi oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base. La percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media dell’UE e le prospettive per il futuro sono indebolite dai modesti tassi d’iscrizione e laurea nel settore delle TIC”.
In tale prospettiva, è privo di utilità pratica lo sforzo – comunque complesso e costoso – di digitalizzare la PA e il tessuto imprenditoriale, se poi, nella concreta prassi, gli utenti fruitori dei servizi non sono in grado di beneficiare dei relativi vantaggi che le tecnologie offrono, nella duplice veste di titolari di fondamentali diritti di cittadinanza e di destinatari delle opportunità professionali esistenti nel mercato nel lavoro. Viene così meno la possibilità di realizzare la propria autodeterminazione individuale sempre più influenzata da fattori di analfebitizzazione digitale che incidono sull’effettivo sviluppo della personalità come singolo e come parte della collettività complessivamente considerata, vanificando le concrete possibilità di partecipazione alla vita economica, politica e sociale del Paese (secondo i canoni sanciti dall’art. 3 Cost.).
L’attesa di un “anno zero”
Sullo sfondo, in un certo senso, sembra proprio lo stesso Report a ratificare lo stato di perenne aspettativa da “anno zero”, come una sorta di condanna perpetua all’incapacità di saper concretizzare nell’immediatezza gli obiettivi prefissati, che affligge il panorama italiano prossimo a raggiungere un’auspicabile progresso digitale sul punto di materializzarsi in via generalizzata ma non ancora però del tutto maturo da realizzarsi con effetti istantanei. In questo senso, sono emblematiche le parole del DESI quando, riferendosi all’Italia, afferma che “i progressi che essa compirà nei prossimi anni nella trasformazione digitale saranno cruciali per consentire all’intera UE di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030”. In altri termini, pur riconoscendo una maggiore centralità delle “questioni digitali” nell’agenda politica nazionale, “la trasformazione digitale sconta ancora varie carenze cui è necessario porre rimedio. Dando continuità alle iniziative intraprese e sfruttando i molti punti di forza di cui il paese dispone, l’Italia potrebbe migliorare ulteriormente le proprie prestazioni nell’ambito del DESI”.
L’impatto del PNRR
Sullo sfondo resta ancora esistente, sia pure precaria, prima di un possibile irreversibile tracollo tecnologico, una residua speranza di cambiamento strutturale generale in grado di favorire un pervasivo processo di innovazione digitale anche grazie alla disponibilità dei fondi erogati dal PNNR – “il più cospicuo d’Europa”, che “ammonta a 191,5 miliardi di euro, di cui il 25,1 % di tale importo (ossia 48 miliardi di euro) è destinato alla transizione digitale” – come sottolinea il DESI 2022 quasi a prospettare il sicuro raggiungimento degli obiettivi perseguiti, senza prendere in considerazione il rischio di insuccessi o imprevisti lungo il cammino delle riforme previste. Una sorta di “ultima spiaggia” che emerge dal monito europeo rivolto al nostro Paese, auspicando la capacità di valorizzare i numerosi “punti di forza” esistenti (che il DESI 2022 individua in una robusta base industriale e nella presenza di una comunità di ricerca specializzata in settori chiave come l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica).
La provocazione
Forse quindi, per il momento (in attesa di tempi migliori, se arriveranno?) sarebbe opportuno abolire la versione italiana del DESI, o comunque evitare di parlarne ulteriormente? Potrebbe sembrare una provocazione, ma in un certo senso rappresenta un atto consapevole di rassegnazione attuale (senza perdere però ancora del tutto la speranza finché residua anche una minima prospettiva di cambiamento innovativo) per concentrarsi, in un clima ottimistico unidirezionale di fiducia generale, sugli interventi necessari da realizzare soprattutto in tema di competenze digitali, evitando infruttuose distrazioni e frustranti demotivazioni derivanti dalle ormai note e pressoché unanimemente conosciute evidenze statistiche pubblicate dal DESI.