Se un ragazzino pensa all’astronomia una delle prima cose che gli viene in mente è il telescopio, lo strumento che ci connette con l’Universo, le stelle e le galassie. Lo strumento nato agli inizi del 1600, dal lavoro di Galileo Galilei e di ottici olandesi.
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Un ricordo d’infanzia e un anime giapponese
Quando penso alla passione di un ragazzino, che con il suo telescopio osserva il cielo, non posso che riportare alla mente il protagonista di un anime giapponese apparso negli anni 80 fugacemente sulle nostre reti private, “La regina dei mille anni” (in giapponese “Shin taketori monogatari: sennen joō”).
Con le chiare fattezze dei personaggi di Akira Matsumoto (autore dei più famosi“Galaxy Express 999”, “Starzinger” e “Capitan Harlock”), il protagonista della storia Tori (nella versione originale Hajime), dopo aver perso i genitori inseguito ad una misteriosa esplosione va a vivere con lo zio, direttore di un osservatorio astronomico, da lì inizierà per lui una fantascientifica avventura.
Ma il ricordo che ho più vivido è quello di un ragazzino che osserva l’universo dal tetto della sua casa, mentre riconosce stelle e costellazioni. In questo c’è la parte romantica dell’astronomia, il desiderio di scoprire l’Universo e le sue meraviglie. E il telescopio è lo strumento per rendere accessibile l’estremamente lontano, proprio come un microscopio permette di toccare con mano il mondo microscopico o gli acceleratori di particelle ci consentono di far scontrare particelle subatomiche.
Il telescopio per astrofili e astronomi
Un piccolo telescopio rappresenta per un astrofilo (un appassionato di astronomia che si diletta con il suo telescopio all’osservazione astronomica) un’opportunità per espletare la sua passione, e saltuariamente anche per ottenere delle belle immagini di astri e corpi celesti abbastanza vicini (anche galassie).
Ma per gli astronomi professionisti quei piccoli oggetti che compriamo nei negozi specializzati non sono più validi: la performance e le dimensioni devono aumentare.
L’epoca in cui Galileo costruiva in casa il suo telescopio è lontana: i telescopi per la ricerca scientifica moderna sono dei gingilli di alta tecnologia, che richiedono spese ingenti per essere costruiti e gestiti.
I telescopi di punta che vengono effettivamente utilizzati in astronomia hanno diametri che vanno da 1-2 metri, fino agli 8-10 metri dei più grandi disponibili, e possono costare centinaia di milioni di euro.
Andiamo per gradi e capiamo come è fatto un telescopio, e come lo si usa per osservare l’Universo.
Come è fatto un telescopio: rifrattori e riflettori
Un telescopio è costituito da una combinazione di lenti o specchi, disposti in maniera tale che si possa migliorare enormemente la visione di sorgenti molto lontane, che altrimenti non sarebbero visibili.
Con schema ottico o configurazione ottica ci si riferisce al percorso che la luce compie in relazione alla disposizione e al numero di lenti o specchi.
Esistono due tipi principali di telescopi.
- Il telescopio rifrattore è costituito da una serie di lenti in successione, e quindi utilizza il principio fisico della rifrazione: la luce attraversa le varie lenti, cambia quindi mezzo ottico, e passa dall’aria alla lente, poi ancora all’aria, e così via. Queste lenti permettono di far cambiare direzione alla luce, e quindi focalizzare l’immagine della sorgente. Esistono lenti convergenti e lenti divergenti, che appunto permettono di far convergere o divergere la luce. Un telescopio rifrattore viene anche chiamato sistema diottrico. Il termine diottria, noto a chi porta gli occhiali, è l’unità di misura della convergenza delle lenti degli occhiali.
- Il telescopio riflettore, invece, funziona grazie ad un sistema di specchi, e sfrutta il fenomeno fisico della riflessione. Questo sistema si chiama anche catadiottrico.
Le ottiche di un telescopio (quindi lenti o specchi) vengono tenute assieme da un tubo.
Nel caso del rifrattore, sull’estremità esposta alla sorgente c’è una combinazione di lenti chiamata obiettivo (il doppietto, due lenti intervallate da aria) che raccoglie e mette a fuoco la luce.
Dall’altro lato del tubo c’è l’oculare, dove viene convogliata la luce dall’obiettivo.
Invece il telescopio riflettore è costituito da uno specchio situato alla fine del tubo, che concentra la luce nel fuoco, usando diverse configurazioni ottiche: la newtoniana sfrutta uno specchio primario parabolico e uno piano secondario, quest’ultimo convoglia la luce verso l’occhio dell’osservatore, ma più utilizzati sono il Cassegrein e il Nasmith, che usano combinazioni particolari di due o tre specchi rispettivamente (più dettagli al seguente link).
Nell’immagine sopra, gli schemi ottici di un telescopio rifrattore e di un riflettore Newtoniano, con indicati i percorsi della luce dopo aver interagito con lenti o specchi (i percorsi della luce sono le linee rosse, lenti e specchi sono colorati in blu o grigio, fonte: link). Nell’astronomia professionale vengono preferiti per lo più i riflettori, perché sono più semplici da costruire e hanno performance migliori.
Da non dimenticare che il telescopio deve poter essere stabile, e avere un supporto corredato da un motore guidato elettronicamente da un computer.
I telescopi amatoriali si mantengono su un treppiede, che deve essere stabile, e questo spesso basta, ma quando si deve guidare un grande telescopio, per il quale è richiesto una estrema stabilità e rigidità, allora le cose si fanno più complicate.
Si usano vari tipi di montature, le più famose sono l’altazimutale e l’equatoriale: la prima si muove in direzione orizzontale e verticale, la seconda invece ha uno degli assi di rotazione inclinato in base alla latitudine del luogo in cui si trova, che permette di inseguire i copri celesti (che si spostano durante la notte perché la Terra si sta muovendo) mediante un singolo movimento.
Telescopio: una ruota dell’ingranaggio osservativo
Nella pratica però il telescopio è solo una parte dell’ingranaggio di un sistema complesso di tecnologia analogica e digitale. Mentre per la visione amatoriale basta puntare l’occhio sull’oculare, nell’astronomia professionale c’è bisogno di immagazzinare la luce su supporti fisici.
In passato, si usavano delle lastre che funzionavano in maniera simile alle pellicole sulle quali le macchine fotografiche impressionavano la luce.
Con lo sviluppo dell’elettronica hanno preso piede dei sensori più moderni: oggi si usa il cosiddetto CCD (charge-coupled device, in italiano dispositivo ad accoppiamento di carica), un circuito integrato costituito da elementi semiconduttori, che accumulano una carica elettrica proporzionale all’intensità della luce che li colpisce. Queste cariche vengono trasferite agli elementi contigui fino ad essere trasformate in una sequenza di tensioni elettriche, che vengono digitalizzate e conservate nella memoria di un computer. Questi dispositivi, ampiamente usati in astronomia, permettono di catturare immagini astronomiche.
Gli astronomi usano anche dei filtri per selezionare la luce in specifici intervalli di lunghezza d’onda. In altri casi gli astronomi non sono interessati alle immagini, ma ad immagazzinare la luce di una stella ed una galassia in funzione della lunghezza d’onda, ottenendo i cosiddetti spettri. Per fare questo utilizzano strumenti chiamati spettrografi, che separano la luce in funzione della lunghezze d’onda utilizzando il fenomeno fisico della diffrazione. Seppur basati su processi fisici diversi e con risultati diversi, separano la luce nelle sue varie frequenze in maniera simile ad un prisma di Newton.
A tutto ciò va aggiunto che il telescopio va tipicamente inserito all’interno di una cupola, per proteggerlo dalle intemperie, e regolare le condizioni di temperatura dell’aria nei dintorni delle ottiche e degli strumenti. E’ chiaro come con l’avvento dell’era digitale osservare l’Universo sia diventato sempre più semplice, perché possiamo contare su sistemi automatizzati per gestire i telescopi all’interno delle cupole, ma soprattutto computer dedicati alla gestione e il primo immagazzinamento dei dati raccolti dai telescopi. I telescopi moderni sono appunto corredati da uno o più computer che ci permettono di gestire i movimenti del telescopio e poterlo puntare sulla stella o la galassia che vogliamo osservare, per montare il giusto strumento (un sensore CCD o uno spettrografo), per pianificare la durata dell’esposizione scientifica, ecc. ecc. E anche nei luoghi più sperduti del globo, sulle Ande Cilene oppure sui monti delle Canarie, ci sono connessioni internet che consentono di comunicare con il resto del mondo. Rispetto al passato non solo i dati ottenuti possono essere direttamente inviati verso server online, ma in alcuni casi le osservazioni possono essere effettuate parzialmente o totalmente da remoto.
Nel resto di questo articolo mi focalizzerò sui telescopi che lavorano alle frequenze ottiche o comunque in regioni spettrali vicine all’ottico (ultravioletto, infrarosso). Capitolo a parte sono i radiotelescopi, composti da parabole che convogliano nel fuoco il segnale radio, o quelli Cerenkov.
Telescopio: come capire quanto è potente
Per capire quanto potente è un telescopio, si fa riferimento a due proprietà:
- la quantità di luce raccolta, legata all’area dell’obiettivo, e quindi al diametro del telescopio (della lente o dello specchio principale), più grande è quest’area e più luce raccoglie, e
- la risoluzione spaziale, e cioè la capacità di distinguere due sorgenti molto vicine, questa è tanto migliore quanto più grande è il diametro del telescopio.
Quindi l’apertura di un telescopio è una caratteristica fondamentale per capirne le potenzialità. Ma altre grandezze sono importanti, come la distanza focale, la distanza dallo specchio o dalle lente primari dove converge la luce di una sorgente posta all’infinito, e il campo di vista (field of view, FOV, in inglese), la porzione di cielo misurata in gradi quadrati visibile nel sistema ottico.
Telescopi: quali sono i principali e dove si trovano
Quando noi astronomi scegliamo un telescopio da voler utilizzare, non solo analizziamo su quali strumenti può contare per immagazzinare e creare immagini e spettri (camere e spettrografi), ma ne valutiamo anche le dimensioni, e quindi il diametro, perché più grande è il telescopio e più luce raccoglie a parità di tempo di osservazione e meglio riesce a separare e distinguere sorgenti vicine.
E quindi abbiamo una vasta gamma di telescopi dislocati su tutto il globo e nello spazio, che ci permettono di scrutare e studiare l’Universo.
Tra i telescopi italiani, abbiamo il Galileo, ad Asiago, di 1,22 metri di diametro e il telescopio Cassini a Loiano di 1,52 metri.
Ma l’Italia può anche contare su un telescopio di 3.58m, il TNG (Telescopio Nazionale Galileo), situato a La Palma nelle Canarie (la cupola e il telescopio sono mostrati nell’immagine a destra, Crediti: TNG/G.Tessicini) e parte dell’Osservatorio di Roque de los Muchachos.
Il nostro Paese ha inoltre un coinvolgimento diretto in altri telescopi come:
a) il VLT Survey Telescope (VST), costruito e progettato a Napoli, e situato al Cerro Paranal nel Cile, un telescopio da 2,61 metri;
b) il Large Binocular Telescope (LBT), composto da due specchi distinti di 8,4 metri ognuno, situato in Arizona.
La lista di telescopi internazionali è ovviamente molto più lunga. A La Palma, oltre al TNG, ci sono ad esempio il William Herschel Telescope (WHT) di 4,2 metri e il Gran Telescopio Canarias (GTC), di 10,4 metri, attualmente il più grande al mondo.
Nel continente americano, in Cile, oltre al VST, troviamo il Very Large Telescope (VLT), un insieme di quattro telescopi di 8,4metri ciascuno che lavorano indipendentemente. IL VLT insieme al VST fa parte dello European Southern Observatory (ESO).
Salendo verso l’America settentrionale troviamo il Canada-France-Hawaii Telescope (CFHT) di 3,58 metri, alle Hawaii, e il già menzionato LBT in Arizona.
Nello spazio abbiamo il più famoso di tutti, l’Hubble Space Telescope (HST) di 2,4 metri. Sta da poco osservando le bellezze del cosmo il James Webb Space Telescope (JWST) di 6,5 metri. Ai seguenti link di wikipedia puoi trovare la lista dei telescopi da Terra e da Spazio (1, 2).
Le 4 cupole all’interno delle quali ci sono i quattro telescopi che compongono il VLT (Crediti: ESO)
I telescopi del futuro
E chi osserverà le meraviglie future? Nel futuro immediato partiranno le osservazioni del telescopio Vera Rubin di 8,4 metri e del telescopio Euclid di 1,2metri di diametro dallo spazio, che osserveranno un terzo dell’intera volta celeste.
Ma, in un futuro meno vicino, potremo osservare le bellezze del cosmo con telescopi immensamente più grandi, come l’European-Extremely Large Telescope (E-ELT), un telescopio di 39,3 metri che verrà costruito in Cile.