Il cablaggio strutturato, registrato una trentina d’anni fa come “cablaggio generico strutturato”, per poi divenire semplicemente “cabling”, ha vissuto una prima decade relativamente gloriosa per poi subire un lento ma inesorabile processo di normalizzazione culturale.
Ancora oggi, la maggior parte delle nuove installazioni avviene, in Italia, attraverso soluzioni standardizzate nei lontani anni ’90, ovvero, tecnologicamente, un’era geologica fa. Soluzioni di categoria 5e e 6 o, più correttamente, secondo ISO/IEC, di classe D ed E.
Ma una moderna infrastruttura IT degna di questo nome non può basarsi su fondamenta passive inadeguate che, in modo analogo, non possono supportare lo sviluppo di nuovi scenari di business.
Desi 2022, l’Italia eccelle (solo) in banda ultra larga e integrazione tecnologica
A frenare l’aggiornamento o l’installazione di materiali ad alte prestazioni, in parti uguali, troviamo sia un retaggio culturale “antiquato” di molti operatori economici del settore, sia la bassa preparazione tecnologica che porta a sottovalutare i benefici che un cablaggio strutturato di tipo avanzato può apportare a piattaforme e sistemi.
Secondo dati di market intelligence non ufficiali ma decisamente attendibili, la spesa annua pro capite nelle economie europee di riferimento, cioè Germania, Regno Unito e Francia, è superiore da due a quattro volte rispetto a quella italiana, a conferma del fatto che, in Italia, il tema non gode della medesima considerazione offerta negli altri paesi europei.
Cablaggio orizzontale: perché altrove la categoria 6A è uno standard
In tema di cablaggio cosiddetto “orizzontale”, ossia della parte del sistema strutturato terminale, deputata al trasporto dei dati da e verso i punti di utenza, l’opportunità di evoluzione più significativa ci viene offerta dalle soluzioni di cablaggio di categoria 6A.
A onor del vero, si tratta di un’opportunità proposta dal mercato già a partire dal lontano 2010, anno in cui, appunto, tale standard per la trasmissione di dati alla velocità di 10 gigabit al secondo è stato ratificato, soprattutto a vantaggio dei Paesi più attenti – primo fra tutti la Germania – che l’hanno immediatamente recepito come “soluzione tipo” per la quasi totalità delle nuove installazioni.
In Italia, invece, tale classe di cablaggio (EA) ha ricevuto un’accoglienza decisamente più fredda, al punto che, ancor oggi, a distanza di oltre un decennio dalla sua introduzione, rappresenta una quota minoritaria delle nuove installazioni. Una quota crescente, sì, ma a una velocità sorprendentemente bassa rispetto a quella di evoluzione dello scenario tecnologico generale.
Una breve cronistoria può agevolare la comprensione del valore di tale soluzione: il suo sviluppo fu fortemente stimolato da una precisa domanda del mercato internazionale che, fino a quel momento, si era trovato costretto a scegliere tra due opzioni considerate insufficienti.
Da una parte, le soluzioni tradizionali di Classe D ed E (Cat. 5e e 6) per Gigabit Ethernet, ritenute, già da tempo, non più all’altezza delle aspettative degli investitori più evoluti.
Dall’altra quelle di Classe F (Cat. 7) per 10Gigabit Ethernet, certamente più adatte a soddisfare la crescente necessità di banda ma, al contempo, vincolate a standard di connessione non RJ45 proprietari, costosi, poco diffusi e non particolarmente graditi a installatori e integratori.
Un’opzione, quest’ultima, che, in ultima analisi, stava frenando quell’ampia diffusione dei sistemi di cablaggio per alta velocità che i mercati nazionali più avanzati richiedevano con sempre maggior forza e insistenza.
Semplificando, ma restando fedeli alla sostanza storica, si può affermare che la Classe EA/Cat. 6A è nata con il preciso scopo di rimpiazzare l’esistente Classe F/Cat. 7 – la quale, tra il 2002 e il 2010, non era riuscita a conquistare più del 3% del mercato globale del cablaggio – grazie al pacchetto di vantaggi assicurato dallo standard aperto di connessione RJ45, da costi notevolmente inferiori e dalla tecnica d’installazione decisamente più apprezzabile.
Tutto ciò, naturalmente, ferma restando la capacità di supportare pienamente il protocollo di trasmissione 10Gigabit Ethernet su Channel fino ai canonici 100 metri previsti anche per le altre classi di cablaggio.
Trasmissioni ad alta velocità: perché la categoria 7A nei fatti non ha funzionato
A questo punto una domanda tende a sorgere spontanea: e la Classe FA/Cat. 7A, sviluppata in contemporanea da ISO/IEC con l’auspicio che potesse supportare protocolli di trasmissione ancora più ambiziosi del 10Gigabit Ethernet sulla solita distanza limite di 100 metri?
Al netto delle velleità tecnologiche, archiviate qualche anno dopo, la risposta secca è che anche questa classe è una soluzione per trasmissioni ad alta velocità che può collocarsi a un livello ancora più alto di prestazioni ma risulta complessivamente meno vantaggiosa di quella EA/6A.
Infatti quest’ultima, oltre a garantire comunque la piena soddisfazione dei requisiti trasmissivi imposti dalle norme, è indubitabilmente più disponibile, flessibile, facile, rapida ed economica.
Peraltro, va evidenziato che i componenti di Cat. 7A, per effetto della scarsa domanda commerciale che li ha storicamente caratterizzati, sono e saranno sempre più difficili da reperire, ragion per cui la loro adozione, oggi, può esporre a ulteriori complicazioni legate ai tempi di realizzazione di un’infrastruttura passiva e al suo eventuale ampliamento futuro.
Conclusioni
Aspetti tecnici a parte, è ragionevole ritenere che le cause della nostrana resistenza all’evoluzione (anche) nell’ambito specifico del cablaggio strutturato siano da ricercarsi principalmente nella sfera culturale della consuetudine e della conoscenza.
È perciò più che raccomandabile una riscoperta dello studio del cablaggio strutturato, come elemento basilare delle infrastrutture IT, che favorisca la piena comprensione della sua importanza e, di conseguenza, lo spirito d’investimento là dove, oggi, prevale l’idea di una spesa da limitare e procrastinare il più possibile.