La frontiera

Robofilosofia: come filosofia e ingegneria dialogano per la robotica sociale

La Robotphilosophy o robofilosofia è una conferenza internazionale biennale che tratta di filosofia “di, per e dalla robotica sociale”. Vi partecipano scienziati sociali e ingegneri: ecco le domande attuali su cui si sta concentrando la ricerca e le novità dall’ultima edizione ad Helsinki

Pubblicato il 16 Set 2022

Valeria Martino

post-doc presso l’Università di Torino

robotica sociale - robofilosofia

Gli scienziati sociali sono indispensabili alla ricerca in campo tecnologico e la robofilosofia non fa eccezione: ingegneri ed esperti di robotica collaborano in modo sempre più ravvicinato con sociologi, filosofi, eticisti, esperti di legge e psicologi per ottenere linee di ricerca e risultati che siano sostenibili, da un punto di vista soprattutto sociale. Abbiamo bisogno di tecnologia, come esseri umani, come cittadini di un mondo digitale, come lavoratori…ma di ogni tecnologia?

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Robofilosofia: cos’è e chi coinvolge

Dal 16 al 19 agosto si è svolta a Helsinki (Finlandia) la quinta Robophilosophy Conference, un evento internazionale di grande rilievo che dal 2014, ogni due anni, riunisce studiosi molto diversi tra loro e li chiama a interrogarsi filosoficamente sui cosiddetti robot sociali.

La robofilosofia, infatti, è definita dagli ideatori dell’Università di Aarhus (Danimarca) “philosophy of, for, and by social robotics”. Per questo, non si tratta solo di filosofi, ma anche di ingegneri ed esperti di tecnologia e robotica aperti alle questioni sollevate dalla filosofia. Completano il quadro altri scienziati sociali che, oltre a fornire occasioni di riflettere sui loro specifici ambiti di ricerca, consentono anche un passaggio meno brusco tra filosofia e ingegneria, due campi che in effetti sembrano tra loro molto distanti.

Se infatti la filosofia è nota – e derisa – per porre questioni senza mai dare risposte, le altre scienze sociali sembrano più abituate a concentrarsi su questioni più specifiche, o meglio, applicate e presentano per questo una metodologia già più vicina a quella che gli ingegneri cercano.

Per questo motivo, non si tratta nemmeno di interrogarsi solo sulla questione della responsabilità – il principale tema che viene alla mente quando associamo filosofia e robotica. L’etica è certo una questione molto rilevante e da più parti, nel corso del convengo, è stato sollevato il problema della mancanza di corsi obbligatori di etica generale o etica della tecnologia nei corsi di laurea in ingegneria, in diverse parti d’Europa e del mondo.

Così come molti sono stati i filosofi morali che hanno esposto le loro ricerche in questo ambito: per citarne una, Catrin Misselhorn (Università di Göttingen) che ha parlato delle ragioni morali che possono essere avanzate contro l’uso dei killer robot, ovvero i LAWS (Lethal Autonomous Weapon Systems).

Oltre l’etica: le questioni della robofilosofia

Le questioni sollevate, però, sono le più diverse e spaziano dall’uso dei robot in campo medico e educativo, alla questione di come rendere comprensibili le scelte effettuate dai robot, in che senso è possibile entrare con loro in conflitto o come sarebbe meglio concettualizzare le emozioni per poterle implementare nei robot sociali. Temi tutti molto interessanti che permettono di intravedere diverse strade possibili.

Riteniamo importante anche sottolineare come la maggior parte dei partecipanti provenisse dal nord Europa (solo qui infatti, per ora, si sono svolti i convegni di Robophilosophy), sebbene ci fossero poi anche rappresentanti di varie altre nazioni, come Italia, Francia, Portogallo, Polonia, Sudafrica, Iran, Turchia, Giappone e, naturalmente, Stati Uniti e Canada.

In particolare, questo ha permesso di porre attenzione – come sottolineato dalla filosofa Anna Strasser – sull’importanza di non sottovalutare il differente approccio che studiosi provenienti da culture diverse possono avere nei confronti dei robot e, soprattutto, del loro futuro.

Ha infatti suscitato molta attenzione nei partecipanti l’intervento di Hiroshi Ishiguro, che ha presentato il suo progetto “Avatar Symbiotic Society” che ha lo scopo di realizzare un sistema per manipolare facilmente diversi avatar che possano sostituire gli esseri umani in diversi contesti sociali.

Il titolo del convegno di quest’anno era “Social Robots in Social Institution”. Infatti, quelli che chiamiamo robot sociali, ovvero tutti quei robot – umanoidi o non – che possono svolgere delle funzioni che siamo abituati a chiamare sociali, entrano potenzialmente (o in alcuni casi già effettivamente) a far parte delle nostre istituzioni. È allora nostro compito cercare di concettualizzare che valore sociale e legale possono (se assumiamo una prospettiva descrittivista) o dovrebbero (se invece ne assumiamo una normativa) avere nei diversi ambiti – che si tratti appunto di scuole, ospedali, uffici pubblici, istituzioni religiose.

Ognuno di questi ambiti può beneficiare da considerazioni generali sulla socialità dei robot e sulle loro potenzialità, così come dalle specificità che gli appartengono e che possono portare a configurazioni differenti in contesti differenti.

Una questione importante, sollevata dal filosofo Robert Sparrow, infatti, che ha diretto la discussione finale del convegno, è cercare di capire in quali istituzioni vogliamo che i robot sostituiscano gli umani e in quali no.

Conclusioni

Pur cercando di rimanere ancorati al presente, ovvero alle tecnologie che esistono davvero – evitando l’errore che troppo spesso i filosofi fanno, ovvero di parlare talmente in astratto da porsi problemi circa tecnologie che potrebbero non essere applicate mai – pure la necessità di un pensiero critico sembra essere riconosciuta da tutti gli studiosi: un pensiero critico che possa porre le domande giuste per indirizzare le strade future ed evitare in principio ciò che non vogliamo che accada.

Certo, le domande da sole non bastano e a queste, quindi, va affiancato un duro lavoro di risposta alle questioni così come di elaborazione di concetti che possano essere davvero utili a ingegneri, designer e non solo sollevare la loro curiosità.

La sfida principale, allora, è proprio questa: creare un linguaggio comune che sia accessibile alle diverse comunità scientifiche in campo, ma soprattutto creare una ulteriore comunità che possa raccogliere i diversi punti di vista e di forza delle varie discipline coinvolte senza che nessuna perda scientificità. È proprio a questo che serve il convegno internazionale Robophilosophy.

Resta da sfondo una considerazione generale su una duplicità che sembra implicita nel rapporto che instauriamo nei confronti della tecnologia: da un lato, un ottimismo che ci spinge a credere che ogni cosa sarà possibile e che dobbiamo fare del nostro meglio per aumentare le nostre interazioni tecnologiche; dall’altro, come un freno che si concretizza come paura o rifiuto critico di alcune innovazioni, come una affermazione della nostra superiorità o quantomeno irrinunciabile alterità in quanto esseri umani, o ancora come un rifiuto netto della possibilità di attribuire moralità ai robot sociali, come appunto se la morale fosse una nostra proprietà inalienabile.

Questa duplicità non si esplicita tanto nella distinzione tra tecnofili e tecnofobi – un contesto come questo, infatti, raccoglie soprattutto i primi – quanto nel diverso approccio alla tecnologia, più entusiasta o più critico, che si riflette anche nel modo di fare robofilosofia per ognuno dei partecipanti.

Si ripropone, quindi, una duplicità di fondo: le macchine implementeranno certamente la nostra autonomia e sarà possibile attribuire loro qualunque nostra caratteristica, sebbene per procura, o dobbiamo stare attenti a quali potranno farlo davvero perché non potranno mai rappresentare altro che una nostra estensione?

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Sitografia

Robophilosophy series: https://cas.au.dk/en/robophilosophy

Robophilosophy 2022: https://cas.au.dk/en/robophilosophy/conferences/rpc2022/

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