il naufragio della politica

Candidati in cerca di elettori sui social: così anche la politica si piega alle logiche dell’algoritmo

Non è solo cringe lo sbarco dei politici sui social: nel momento in cui si entra in una piattaforma, si accettano infatti termini e condizioni d’uso e, soprattutto, si soggiace ai diktat del nuovo ambiente in cui sono gli algoritmi a dettare le regole e a orientare i contenuti da produrre

Pubblicato il 15 Set 2022

Stefano Gazzella

Responsabile Comitato Scientifico, Privacy Officer Associazione Italiana Influencer

berluka tiktok

Candidati e politici fanno sempre più ricorso ai new media per acquisire consensi, soprattutto nelle competizioni elettorali; l’assenza di regolamentazione a riguardo non comporta solo il rischio di comportamenti scorretti, ma che la libertà di azione politica si assoggetti alle regole del gioco imposte più o meno direttamente dai gestori della piattaforma.

La politica sbarca su TikTok: qualche vantaggio, molti rischi

Candidati in cerca di elettori: lo sbarco su TikTok

Sono alcuni anni che la politica viene sempre più condotta all’interno degli ambienti social. Che siano partiti di lotta o di governo, l’idea di dare diffusione alle proprie critiche o proposte attraverso le moderne agorà digitali è stata dapprima una tentazione, poi una sfida e oggi la quotidianità. Non è infrequente annoverare all’interno del tema di collaboratori dei politici dei Social Media Manager o dei content creator, nonché dei piani di comunicazione che talune volte potrebbero essere visti come una vera “propaganda permanente”.

È un fatto di pressante attualità che pressoché tutti i candidati oramai abbiano delle proprie pagine Facebook, degli account Instagram e che oggi siano addirittura sbarcati su TikTok nel tentativo di raggiungere la platea dei più giovani. Più che sbarco, a detta di alcuni commentatori maggiormente critici nei confronti dell’esito, si è trattato di un naufragio nel cringe. Ciò non toglie però alcun valore all’evidenza dello stato dei fatti: c’è una forsennata ricerca di nuovi canali e metodi di comunicazione sempre più efficaci per aumentare il proprio pubblico e tentare da un lato il consolidamento del proprio elettorato, dall’altro convertire il cluster di coloro che si negli anni si sono allontanati dal voto. È bene ricordare infatti che secondo l’ultimo rapporto ISTAT la fiducia nei confronti del mondo della politica è molto bassa e stando ai dati e alle stime degli analisti l’unico partito in costante crescita è quello dell’astensionismo, soprattutto fra gli under 35.

Ma se il politico o il candidato deve cambiare le vesti per entrare in un nuovo contesto digitale e “farsi più social”, si sta trasformando e realizza solamente la propria volontà attiva di comunicare in modo maggiormente efficace nei confronti della platea dell’elettorato o sta forse cedendo passivamente all’accettazione di termini e condizioni per la libertà della manifestazione del pensiero politico e finanche di esercizio degli scopi istituzionali di un partito?

Una politica che si trasforma nei digital media

La libertà di associazione politica e diffusione del pensiero per attirare consensi con lo scopo di concorrere alla determinazione della politica nazionale viene espressamente prevista all’interno della Costituzione[1] e per cui solamente delle norme di rango costituzionale sanciscono divieti e limiti[2] qual è ad esempio il perseguire un metodo democratico negli scopi e nei modi di esercizio.

Nel momento in cui però si entra con un proprio account all’interno di un social network si accettano termini e condizioni d’uso e, soprattutto, si soggiace alle regole proprie del nuovo ambiente in cui degli algoritmi – il più delle volte tutt’altro che aperti – catalogano, indicizzano, filtrano e regolano i contenuti.

Berlusconi su TikTok racconta una barzelletta su Biden, Putin, il Papa e se stesso

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Politica più social o più sottomessa alle regole dei social?

Anche i social trend dettano le regole del gioco dei follower e dunque orientano i contenuti da produrre. Sono estremamente diffusi gli short content, fra cui rientrano ad esempio i video di TikTok o i reel di Instagram o Facebook o altrimenti gli shorts di Youtube, e tale metodo di comunicazione per input per attrarre l’attenzione ha influenzato anche le modalità della comunicazione politica.

L’impiego di meme, o delle gogne social, è un’ulteriore evidenza di come la politica sia inevitabilmente assoggettata alle prassi per instaurare una relazione con l’utenza all’interno delle piattaforme dei social network. Prassi che, è opportuno ricordare, si creano per effetto dell’impostazione di alcune regole a monte da parte dei gestori delle piattaforme e che sono presidiate (o vigilate) tramite l’impiego degli algoritmi per valorizzare taluni contenuti e metodi e scoraggiarne altri.

L’esigenza di adeguare l’attuale normativa ai media digitali

L’attuale regolamentazione soffre tutte le debolezze nei confronti di un dibattito politico e soprattutto di una campagna elettorale condotta in modo sempre più preminente attraverso i media digitali. L’impossibilità in concreto di imporre una par condicio o il silenzio elettorale sono le evidenze che si sono più comunemente riscontrate. Ogni tentativo di estensione delle norme per la disciplina della propaganda elettorale al web, e soprattutto alle attività svolte su social network, al momento non sembra aver raggiunta una soglia di efficace attuazione finanche prospettabile.

Con la Delibera AGCOM n. 299/22/CONS “Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica indette per il 25 settembre 2022”, il Titolo VI ha introdotto alcune regole dirette alle piattaforme per la condivisione dei video e ai social network quali:

  • l’assunzione di “ogni utile iniziativa volta ad assicurare il rispetto dei principi di tutela del pluralismo della libertà di espressione, dell’imparzialità, indipendenza e obiettività dell’informazione” (art. 28 co. 1);
  • l’adozione di “misure di contrasto a fenomeni di disinformazione e lesione del pluralismo informativo online” (art. 28 co. 2);
  • la garanzia del rispetto della disciplina in materia di sondaggi elettorali e di silenzio elettorale (art. 28 co. 4).

Rimettere all’autonomia dei gestori delle piattaforme la definizione di iniziative e misure comporta non solo delle insanabili incertezze, ma evidenzia ancor più il vuoto normativo e la ricerca dell’applicazione di una regolamentazione per via analogica. Voler promuovere inoltre delle procedure di autoregolamentazione destinate all’adozione di misure volte a “contrastare la diffusione in rete, e in particolare sui social media, di contenuti in violazione dei principi a tutela del pluralismo dell’informazione e della correttezza e trasparenza delle notizie e dei messaggi veicolati, sanciti dagli articoli 4 e 6 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi” (art. 28 co. 3), sembra rimettere al giudizio di un privato gestore della piattaforma la definizione dei criteri di filtro dei contenuti.

Le “regole del gioco” dell’azione politica

Disciplinare la propaganda e il silenzio elettorale non esaurisce le tutele prospettabili per i cittadini e per la correttezza dell’azione politica, dal momento che l’azione e la presenza all’interno delle piattaforme digitali del partito, di un candidato o di un rappresentante istituzionale comportano scenari di rischio ben più estesi. In Europa le memorie e i timori dell’esperienza di Cambridge Analytica hanno portato all’esigenza di voler introdurre un Regolamento per andare a disciplinare il marketing politico e garantire agli interessati una protezione dalle influenze derivanti dall’impiego di tecniche di targeting o amplificazione. Il bilanciamento che si vuole ricercare in tal senso avviene fra due libertà fondamentali: l’espressione o manifestazione del pensiero politico e la libertà del cittadino di formarsi un’opinione politica ed esercitare in modo effettivo il proprio voto. La limitazione dell’azione politica viene pertanto ritenuta accettabile – e altrimenti non potrebbe essere – solamente se proporzionata rispetto al conseguimento di un’efficace tutela di un diritto di pari grado.

La medesima attenzione a non vedersi limitato nel proprio agire sfugge però nel momento in cui lo stesso attore politico accetta i termini e condizioni d’uso di una piattaforma e si trova condizionato dalle logiche che compongono il funzionamento della stessa. Il rischio occulto e più significativo non è infatti che le regole del gioco della politica possano “saltare” per effetto del ricorrere ai digital media e trascendano in degli eccessi d’espressione, ma che si trovino piuttosto subordinate anche nella formazione dei contenuti alle regole più o meno implicite imposte dai gestori della piattaforma.

Note

  1. All’interno dell’art. 49.
  2. A titolo d’esempio, si possono indicare l’art. 18 Cost. «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.» e l’art. 98 co. 3 Cost. «Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero».

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