piano banda ultra larga

La strategia governativa sottovaluta (di nuovo) il ruolo del mobile: ecco perché

Ottima l’attenzione allo sviluppo della banda ultralarga, ma si rischia di trascurare quanto sia fondamentale l’evoluzione del mobile. E come sia strategica la convergenza fisso-mobile. Anche alla luce del 5G

Pubblicato il 03 Nov 2015

Gabriele Falciasecca

Università di Bologna

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Alcuni recenti interventi sulla stampa e anche al convegno di Capri di EY mi hanno insinuato il dubbio che per l’ennesima volta non si stia comprendendo l’evoluzione del mondo del mobile e la portata che può avere anche in un momento come questo in cui, deo gratias, l’attenzione e l’azione del governo è molto alta nel settore della banda ultralarga fissa.

Dico l’ennesima volta perché a cominciare da quando una delle più autorevoli società di consulenza sconsigliò alla ATT di investire nella telefonia cellulare sbagliano le previsioni di vari ordini di grandezza, questo settore ha subito non solo una costante sottovalutazione del suo sviluppo quantitativo, ma spesso, che è peggio, non si è compreso il cambiamento qualitativo che stava generando. E i motivi non stanno solo nella difficoltà di preveder il futuro, ma anche in una certa miopia. Si parla di convergenza fisso mobile, ma poi sembra a volte che invece si ragioni per mondi paralleli. Forse le dichiarazioni pubbliche scontano una polarizzazione per fini commerciali, mentre sotto sotto, i responsabili del business hanno ben compreso tutto. Fosse anche così vale la pena di sottolineare alcuni punti da parte mia, che a questi condizionamenti non sono sottoposto, per avviare una argomentazione più chiara.

Primo punto: il ruolo del mobile e quello del fisso. Dal boom della telefonia cellulare. Avvenuto in presenza di un sistema televisivo imperante, si sono confrontate due visioni. Quella televisiva – in senso lato – era in sostanza: tutto il mondo viene a casa tua. Quella mobile invece era: tutto il mondo è casa tua. Il costante sviluppo del traffico dati mobile è la dimostrazione che per la gran parte della popolazione è attraverso smart phone e tablet che si accede alla rete. Ci si accede in modo facile, attraverso il sistema delle APP e dunque in modo molto comodo per l’utilizzatore. Se pensiamo all’uso del digitale per i servizi al cittadino della PA, ai pagamenti, al turismo, al commercio elettronico ecc. ecc. è in prospettiva attraverso questi dispositivi che essi si svilupperanno. Dunque la grande penetrazione del mobile rispetto al fisso, vista come un paradosso italiano, è invece il mezzo attraverso il quale la pratica dell’uso della rete potrà affermarsi anche negli strati più refrattari, soprattutto ora che sono presenti sul mercato modelli di tablet e smart phone veramente economici, che non potranno non essere considerati nella prossima sostituzione dei terminali. E non importa se, ma è sempre successo nel passato, i fattori trainanti sono nell’area ludica o social. La prassi delle APP, come è stato ben compreso dagli addetti ai lavori, taglia fuori ogni complicazione nell’uso e per la connessione il device, una volta impostato, usa a seconda dei casi, Wi Fi o cellulare senza che l’utente debba fare nulla. Ma l’acceso alla rete tramite mobile non è solo semplice, ma sottolineo ancora, va a toccare proprio quegli utilizzi che in un mondo digitale ogni cittadino deve dominare. Passando invece alla visione che ho definito televisiva in senso lato, non sottovaluto l’importanza per le aziende di una connessione fissa il più possibile simmetrica, affidabile, a banda ultralarga ecc. Questo punto è fondamentale per lo sviluppo del paese. Né l’impatto commerciale della pay TV via fibra nelle case. Ma già le comunicazioni video non professionali, come atteso dai tempi dell’UMTS, si stanno sviluppando soprattutto nei terminali mobili – e vedrete che continueranno a farlo con le relative APP. Come già anticipato all’inizio non voglio nemmeno per un capello criticare lo sviluppo della fibra in Italia; voglio però sottolineare che la soluzione di quello che è stato definito il DD culturale – meglio sarebbe dire la barriera all’uso – passa più attraverso il wireless e i suoi dispositivi che attraverso il FTTH.

Secondo punto: infrastrutture e concorrenza. Chi scrive ricorda bene le audizioni fatte dalla Commissione allo scopo nominata in seno al Consiglio Superiore PT ai tempi – anni ’90 – della introduzione dei privati nella telefonia cellulare. Nessuno dei potenziali nuovi entranti, al contrario della SIP di allora, per ovvi motivi, era disposto ad accettare una condivisione della infrastruttura mobile con altri, sulla base della considerazione che la implementazione dei servizi e la loro qualità passava attraverso il pieno controllo della infrastruttura di rete mobile, in particolare dei punti di emissione e captazione, le torri – e allora erano davvero tali – o meglio, concettualmente parlando, le porte radio. La convinzione che il controllo e possesso della infrastruttura radio fosse all’interno del core business di un operatore mobile è andata attenuandosi con i vari outsourcing che, di passaggio, hanno depauperato non solo i gestori, ma l’intero paese, di adeguate competenze tecniche. Se si comprende come dovrà svilupparsi questa sezione tecnologica con l’avvento del 5G non si può che convenire, data la estrema capillarità delle porte radio che sarà necessaria e la volontà di offrire soluzioni anche ai servizi mission critical, che in prospettiva sarà necessario per gli operatori mantenerne un pieno controllo. Molto più debole è invece una argomentazione di tal tipo per le infrastrutture, accesso compreso, delle comunicazioni fisse.

Ancora una volta azioni e dichiarazioni non sembrano andare in questa direzione. Non spetta certo a me dare indicazioni su come gestire gli aspetti finanziari degli operatori in questo campo. E’ certamente possibile, vedi il caso INWIT, delegare ad una azienda satellite il compito della valorizzazione delle infrastrutture radio, aprendo così lo spazio ad un azionariato più ampio, e, nel contempo, assicurarsi il pieno controllo sugli obiettivi e le modalità di sviluppo secondo le strategie aziendali di un operatore. Non mi sembra invece sensato sul piano tecnico un accorpamento, al limite in una sola società, fatte salve le ovvie sinergie sui siti, come invece è possibile concepire nel campo del broadcasting televisivo soprattutto dopo le scelte colà fatte di mantenere lo schema di porte radio tradizionale del vecchio analogico, con i soli cambiamenti essenziali. Al di là degli aspetti tecnici, nel mobile potrebbero in tal caso risultare impoverite sia la concorrenza, non sui prezzi ma sui servizi, e la stessa capacità innovativa.

Riunendo assieme i due punti trattati una ultima considerazione da farsi è che, alla fine, l’ampia rete di fibre che nelle principali città i vari operatori stanno posando, sia verso i cabinet che verso gli edifici, sarà comunque una bella base per lo sviluppo della rete di supporto delle porte radio 5G quando sarà il momento. Altro modo per veder la convergenza fisso mobile.

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