In Italia come in Europa non sono previsti codici ATECO specifici per la categoria generale degli influencer/creator digitali e per le varie tipologie che la compongono (streamer, content creator, podcaster, etc.). Risulta pertanto opportuno integrare l’attuale sistema NACE-ATECO, prevedendo un’apposita classificazione per le attività svolte dai soggetti che compongono la suddetta categoria, soffermandosi sull’alta concentrazione di giovani che esercitano la professione, la cui opera potrebbe essere lesa dalla mancanza di una regolamentazione chiara a partire da quella fiscale, e dal peso economico e strategico che questa industria riveste ormai nel quotidiano.
Un emendamento al DDL Concorrenza 2021 (A.C. 3634) sui creatori di contenuti digitali approvato dalla commissione Attività produttive, commercio e turismo rappresenta una prima piccola vittoria per la categoria, ma non è ancora abbastanza per rimediare all’incertezza giuridica che caratterizza il settore.
Professione influencer, ma con quale codice Ateco?
In Italia, in assenza di codici ATECO specifici per le varie tipologie che compongono la categoria (streamer, content creator, podcaster, etc.), quelli maggiormente impiegati da chi intraprende la professione de qua sono i seguenti: n. 73.11.01 per l’ideazione di campagne pubblicitarie; n. 73.11.02 per la conduzione di campagne pubblicitarie; n. 74.90.99 per le altre attività professionali NCA; n. 90.01.09 per altre rappresentazioni artistiche.
Appare di peculiare curiosità che in occasione di un servizio del noto programma televisivo “Report”, andato in onda sulla RAI in data 11 gennaio 2021, la redazione ha presentato un’istanza di chiarimenti in merito alla fiscalità degli influencer al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), trasmessa da quest’ultimo, successivamente, all’Agenzia delle Entrate, la quale ha affermato, che con riferimento alla figura dello Youtuber, il codice ATECO da inserire per la dichiarazione dei redditi è quello corrispondente al n. 73.11.01 “Ideazione di campagne pubblicitarie” nonché al n. 73.11.02 “Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”, mentre per quanto riguarda quella dello Streamer si deve fare riferimento al n. 59.11.00 “Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi” [1].
Tuttavia, la suddetta distinzione appare inadeguata[2] senza contare che, ad oggi, non vi sono indicazioni in merito al codice ATECO che potrebbe essere utilizzato da un instagrammer, tiktoker o da altri soggetti appartenenti alle più disparate categorie degli influencer / creator digitali.
È la conferma della confusione che vige sullo stato dell’arte in cui versa tale professione e la correlata deregulation che la affligge lato fisco-previdenziale, a causa dell’impreparazione del Legislatore rispetto a tematiche di nuova generazione (nota bene: sul piano contributivo si fa riferimento alla Gestione Separata INPS, non esistendo Casse Previdenziali private).
L’assegnazione di una Partita Iva
Non si può negare che, infatti, anche per questa nuova categoria professionale – visto l’espandersi del fenomeno – debba essere prevista l’assegnazione di una specifica partita Iva al fine di poter adempiere ai propri obblighi fiscali, ovviamente solo nel caso in cui l’attività dovesse essere svolta in maniera continuativa e abituale. In caso contrario, l’attività di influencer/creator digitali potrebbe essere considerata una semplice prestazione occasionale, la cui disciplina è contenuta nell’art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, convertito dalla L. n. 96/2017, ma ciò limiterebbe inevitabilmente ed inopinatamente una emergente professione del web.
Occorre partire dall’ulteriore assunto che per stabilire l’inquadramento fisco-previdenziale, ovvero determinare se un lavoratore è un libero professionista o una ditta individuale, ciò non dipende solo dall’attività svolta, ma anche dal modello di business utilizzato per svolgere quella data attività e anche dal modo di monetizzare i corrispettivi derivanti dalla stessa.
Se l’attività è di servizi su commissione, non artigianale né di natura commerciale, ed i corrispettivi si incassano a prestazione, allora, si tratta di libera professione; diversamente se l’attività è di servizi, ma si incassano i corrispettivi su base provigionale o gestendo un budget allocato dal cliente, allora, si tratta di attività commerciale e, quindi, occorre inquadrare il lavoratore come ditta individuale.
Detto questo, se si volesse applicare questo tipo di riflessione alla figura professionale dell’influencer/content creator, si avrebbero moltissimi inquadramenti fisco previdenziali che ne potrebbero derivare.
Pur essendo il nostro un Paese ove le leggi non mancano (a partire da quelle giuslavoristiche) e l’interpretazione per analogia è all’ordine del giorno (e ciò vale, come sopra spiegato, anche per i codici ATECO) appare inefficiente, nel caso di specie, affidare all’interprete un simile onere piuttosto che, in alternativa, intervenire (o, per meglio dire, essere intervenuti) con una norma ad hoc.
A ogni modo, come noto, dopo l’apertura della Partita Iva è necessario scegliere il Codice Ateco che identifica l’attività e, allo stato, non è possibile giustificare tale lacuna per il semplice fatto che si tratta di una professione sviluppatasi recentemente.
L’Emendamento al DDL Concorrenza 2021 e l’intervento del Legislatore
La situazione ha assunto un rilievo di tale gravità che è stata avviata in data 7 aprile 2021 l’indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali presso la Commissione XI Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei deputati.
Nel corso della stessa sono stati sentiti numerosi esponenti della categoria così come l’Associazione Italiana Influencer, depositaria di alcune proposte d’intervento tra cui quella qui oggetto di disamina.
L’opportunità di introdurre uno specifico codice ATECO a cui poter fare riferimento è stata sollecitata in modo sostanzialmente unanime da tutti gli intervenuti e, in particolare, dai creatori di contenuti digi in sede di audizione parlamentare, fatte poche eccezioni (i.e. IIDEA | Italian Interactive Digital Entertainment Association e ISTAT).
La posizione degli operatori del settore
Più nello specifico, è stata riassunta nella relazione finale dell’Indagine la posizione di detti operatori del settore secondo i quali “l’intervento del legislatore non potrebbe prescindere dalla preliminare attribuzione alla categoria dei creator di un codice ATECO specifico, che, come sottolineato da Panciroli, identifichi in maniera precisa l’attività̀ di creazione di contenuti digitali, distinguendo al suo interno i lavoratori a seconda della piattaforma in cui operano, del lavoro, delle caratteristiche della retribuzione e delle ore di lavoro (per esempio, distinguendo l’influencer dallo streamer). Secondo Lombardo, l’introduzione di un codice ATECO specifico permetterebbe ai soggetti che svolgono un’altra attività di esercitare anche la professione del creator e favorirebbe il riconoscimento, anche da parte delle associazioni di categoria, delle professionalità che attualmente vengono svolte attraverso la forma dello streaming o della produzione di contenuti digitali: ad esempio avvocati – scrittori – attori “digital” e molte altre professionalità che usano lo streaming, il digitale e molte piattaforme per svolgere il proprio lavoro. A tale riguardo, i rappresentanti dell’ISTAT, nel ricordare che la rappresentazione delle piattaforme digitali attraverso la classificazione statistica delle attività economiche ATECO è attualmente oggetto di discussione a livello internazionale nell’ambito del processo di revisione delle classificazioni ISIC (International standard industrial classification of all economic activities) e NACE (Nomenclature statistique des activités économiques dans la Communauté européenne), elaborate rispettivamente dalla Divisione Statistica delle Nazioni Unite e da Eurostat, hanno tuttavia segnalato che l’attribuzione di un codice ATECO più o meno provvisorio a livello italiano alle attività di creazione digitale non avrebbe senso, se tale inserimento non fosse il frutto di una valutazione di carattere statistico operata a livello internazionale (…) Per il rappresentante dell’Associazione italiana influencer – Assoinfluencer, un codice ATECO specifico comporterebbe ulteriori vantaggi, quali, ad esempio, la possibilità di quantificare da un punto di vista statistico il volume dell’attività dei creator, uniformare il regime contributivo e previdenziale, eventualmente prevedendo forme di ammortizzatori sociali, valutare la consistenza dell’attività ai fini dell’imposizione fiscale”.
L’indagine conoscitiva non è rimasta fine a sé stessa ed ha avuto una propria evoluzione sul piano normativo, il cui primo excursus è stato pubblicato dalla Camera dei deputati nella raccolta degli Atti parlamentari della serie denominata “Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari”, tra le proposte emendative alla “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”, Disegno di Legge C. 3634, (approvata dal Senato), presentate alla commissione Attività produttive, commercio e turismo, era presente un emendamento proposto da Valentina Barzotti, Enza Bruno Bossio e Felice Maurizio D’Ettore.
Più precisamente, si proponeva di introdurre, dopo la lettera “l” dell’art. 28, comma 1, della predetta Legge, la lettera l-bis), che di seguito si riporta testualmente: “l-bis) individuazione dei requisiti minimi e delle competenze professionali che devono possedere i creatori di contenuti digitali, c.d. creators; identificazione degli obblighi minimi di controllo da parte delle piattaforme digitali da cui tali lavoratori dipendono; riconoscimento delle tutele e garanzie minime che tali lavoratori devono avere rispetto agli operatori del medesimo settore di altri Stati europei; identificazione di adeguate tutele fiscale e di codice ATECO di riferimento; individuazione delle forme contrattuali coerenti e congruenti con le rispettive competenze” [3].
In data 14 luglio 2022 tale emendamento al DDL Concorrenza 2021 (A.C. 3634) sui creatori di contenuti digitali è stato approvato dalla Commissione, ma con delle modifiche rispetto al testo originario.
In particolare, l’art. 28, nella sua versione definitiva, prevede i seguenti due nuovi commi:
l-bis) individuazione di specifiche categorie di controlli per i creatori di contenuti digitali, tenendo conto dell’attività economica svolta;
l-ter) previsione di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie tra creatori di contenuti digitali e relative piattaforme.
Ovviamente, l’approvazione dell’emendamento, anche se con modifiche, rappresenta una piccola vittoria per tutta la categoria, che riesce ad ottenere – finalmente – dal Legislatore un primo riconoscimento della professione nell’ordinamento giuridico italiano, seppur non risulti sufficiente a superare lo stato di deregulation e incertezza giuridica attualmente in essere.
Conclusioni
La “morale” della vicenda può essere sintetizzata dai più con la volontà del Legislatore di rendere più agevole l’inquadramento fiscale di questa nuova tipologia di prosumer[4], ma i più attenti sapranno che sussistono ulteriori benefici da una simile misura.
Primo tra tutti, la possibilità per gli stakeholder del settore e per le istituzioni di comprendere a livello economico-statistico quanto è strategica la creator economy per il sistema Paese, specie per quanto concerne le nuove generazioni e il loro accesso al mercato del lavoro.
In pratica, la costituzione di una nuova attività/partita Iva concretamente monitorata dall’ISTAT permetterebbe di valutare la consistenza effettiva a livello nazionale, promuovendola adeguatamente e contrastando anche fenomeni di evasione fiscale, di recente tornati all’attenzione delle cronache[5].
In secondo luogo, consentirebbe al Legislatore di valutare la rilevanza sul piano economico nazionale della categoria in esame, per poter all’occorrenza intervenire con l’introduzione di ammortizzatori sociali. Come avvenuto di recente durante il periodo pandemico a beneficio di alcune tipologie di professioni e come previsto dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81 in materia di DIS-COLL[6].
A tirare le fila del discorso, con il citato art. 28 si discute di un provvedimento che potevamo definire urgente, ma che deve trovare ancora completa attuazione in Italia, ferma l’importanza per il nostro sistema politico istituzionale di “squarciare il Velo di Maya”: il primo passo è sempre il più difficile.
Note
- Cfr. puntata interamente caricata online su: https://www.raiplay.it/video/2021/01/Report-Il-tesoro-dei-Gamer-Boom-di-guadagni-nel-lockdown-ma-le-pagano-le-tasse–15181ce6-ef77-43fc-a9f5-9a19a6086f91.html ↑
- In particolare, si evidenzia come i codici ATECO nn. 59.11.00 e 59.12.00 prevedano l’iscrizione alla Registro delle Imprese, il possesso di requisiti specifici e all’occorrenza la presentazione di una SCIA. ↑
- Cfr. XVIII Legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari, Attività produttive, commercio e turismo del 29 giugno 2022↑
- Tale termine indica un consumatore che è a sua volta produttore, o che consumando contribuisce alla produzione. La pratica di essere insieme produttori e consumatori è definita prosumerismo e spesso l’influencer marketing viene ricondotto in questo alveo. ↑
- La Repubblica del 25 agosto 2022, “Scovati tre influencer evasori totali. Uno percepiva anche il reddito di cittadinanza”, a firma di Rosario Amato↑
- Cfr. R. Salonia e I. A. Monteleone “Influencer: nuova categoria professionale” in Diritto & Pratica del Lavoro, IPSOA. ↑