Il tema dei Real World Data è oggi uno degli snodi cruciale nel settore sanitario. Non vi è dubbio, infatti, che l’attuale digitalizzazione del servizio sanitario e quella che verrà con il PNRR, porteranno a una importante produzione di dati digitali in sanità.
Tali dati nascono dalla cura del paziente, ma possono altresì svolgere un ruolo chiave non solo in ambito clinico e/o per il miglioramento dei farmaci e dispositivi ma altresì per il governo del sistema.
Per questo merita un’analisi approfondita la Nota titolata “Ricerca osservazionale: un pilastro nel processo di produzione di conoscenza” pubblicata dal Centro Coordinamento Nazionale Comitati Etici (CCNCE), istituito presso AIFA Agenzia Italiana del farmaco.
Come nasce la Nota
La Nota del CCNCE nasce nell’alveo Decreto 21 novembre 2021 Misure volte a facilitare e sostenere la realizzazione degli studi clinici di medicinali senza scopo di lucro e degli studi osservazionali e a disciplinare la cessione di dati e risultati di sperimentazioni senza scopo di lucro a fini registrativi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 14 maggio 2019, n. 52.: quello che tutti chiamano, più sinteticamente, “Decreto cessione dati”.
Tale decreto, oltre a stabilire come possono essere ceduti i dati raccolti nell’ambito di una sperimentazione clinica senza scopo di lucro, apre le porte anche a una ridefinizione e “ripensamento” di tutto il mondo (complesso e qualche volta confuso) dei cosiddetti “studi osservazionali” alla luce, ovviamente, del nuovo quadro comunitario definito dal Reg. UE 2015/536.
Più esattamente il Decreto (attuando l’art. 6 comma 6-ter del d.Lgs 200/2007 come modificato dal D.Lgs. 52/2019) stabilisce:
- che per «studio osservazionale» si intendono “gli studi di cui all’art. 2, comma 2, punto 4 del regolamento (UE) n. 536/2014, il cui protocollo abbia per oggetto di studio i farmaci nell’ambito della normale pratica clinica secondo le indicazioni autorizzate. Gli studi osservazionali possono essere sia senza scopo di lucro, sia a scopo di lucro.. all’art. 1 comma 4 lett c)”
- e che “mediante provvedimento di AIFA.. sono definite le nuove linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci.
All’interno di tale ultimo punto, la nota del CCNCE introduce valutazioni e indicazioni in relazione a una particolare e più specifica “categoria” di studi osservazionali: quelli in cui il sanitario (ricercatore) si limita registrare quello di avviene nella realtà concreta.
Così si legge:
“Questo documento ha come oggetto gli studi osservazionali intesi nel loro significato di studi caratterizzati dall’assenza di intervento attivo da parte dei ricercatori, quindi definiti, in questa sede, come studi nei quali il ricercatore non determina l’assegnazione dei soggetti ai diversi gruppi di studio, ma si limita a registrare (osservare) quello che avviene nella realtà”.
In sostanza qui non abbiamo un protocollo clinico con un end point, ma solo l’osservazione, la rilevazione e registrazione dei dati che emergono dalla realtà quotidiana.
Non si usa la locuzione Real Worl Data, ma di fatto di questo si parla. Infatti, sul sito Digital Health Europe i RWD sono così definiti:
“Real world data is big data, referring specifically to any type of data not collected in a randomised clinical trial. This data can complement randomised clinical trial data to fill the knowledge gap between clinical trials and clinical practice, provide new insights into disease patterns and help improve the safety and effectiveness of health interventions (EU definition)”.
Ricerca medica, così i big data sono la chiave per l’innovazione
Cosa stabilisce la nota
Chiarito l’ambito di applicazione vediamo cosa stabilisce la Nota, in particolare in relazione al trattamento dei dati.
Il Centro Nazionale di Coordinamento raccomanda in primo luogo ai Comitati Etici un atteggiamento di massima semplificazione degli adempimenti connessa al tema della protezione dei dati “..rimuovendo o limitando il più possibile gli ostacoli formali che un’interpretazione della normativa, improntata a un approccio prevalentemente “interventistico” e “monouso”, tuttora frappone all’utilizzo e riutilizzo dei dati di ricerca”.
Il riutilizzo dei dati non è un tabù
In sostanza: semplificare e cominciare a pensare che il “riutilizzo dei dati” non è un tabù E qui abbiamo la prima grande apertura, anche sotto un profilo prettamente culturale.
È noto infatti che l’art. 6 comma 4 GDPR espressamente ammette la possibilità di riutilizzare i dati per una finalità diversa rispetto a quella per la quale i dati sono stati raccolti a patto che l’uso sia valutato come “compatibile” e altresì l’art. 5 lett. b stabilisce, in particolare, una sorta di presunzione di non incompatibilità per il secondary use nell’ambito della ricerca scientifica.
È altrettanto noto poi che, in Italia, questa apertura legislativa del GDPR è fortemente limitata dall’art. 110-bis Codice Privacy che vincola il riutilizzo dei dati a una autorizzazione del Garante, che può essere specifica o di natura generale (art. 110-bis comma 3).
Ora, a prescindere dal fatto che un regime autorizzativo sembra veramente negare la filosofia e la logica di fondo del GDPR (che lavora tutto sul principio dell’accountability), qui c’è un po’ di confusione interpretativa perché non è chiaro (e si discute tra gli addetti ai lavori) se il Provvedimento Garante Privacy recante le prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati, ai sensi dell’art. 21, comma 1 del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 per la parte che riguarda la Ricerca Scientifica possa essere considerato un provvedimento generale che legittima il riutilizzo dei dati ex art. 110-bis: ciò in considerazione del fatto che rappresenta l’evoluzione della precedente Autorizzazione 9/2016, che ha certamente portata generale, che attua l’art. 21 D.Lgs. 101/2018 e che risulta pubblicato in Gazzetta Ufficiale (il mio personale parere è che possa essere considerata autorizzazione generale, ma non mi risulta che vi siano posizioni del Garante in tale senso e quindi le strutture pubbliche sono tutte molto restie).
Sotto questo profilo la Nota, seppure non possa certamente superare tout court il dettato legislativo, chiama però fortemente il legislatore a rivedere in toto la materia in senso molto meno limitativo, evidenziando altresì l’importanza per il paese del riutilizzo dei dati e spinge a un’interpretazione che favorisca tale riutilizzo.
Il legittimo interesse come base giuridica
La seconda grande apertura del documento riguarda la base giuridica: si afferma infatti che il riutilizzo dei dati possa trovare la sua base giuridica anche nel legittimo interesse (art. 6 comma 1 lett. f GDPR).
L’argomentazione giuridica a sostegno di questa apertura è molto interessante:
“in quanto “fonte” di conoscenze significative per la comunità scientifica, tali dati debbono poter circolare il più liberamente possibile all’interno di essa. Soprattutto quando le finalità della ricerca siano osservazionali (nel senso qui considerato), dovrebbe quindi potersi fare ricorso a basi giuridiche alternative per agevolare il (ri)trattamento dei dati de quibus, senza dovere ogni volta dipendere da un nuovo consenso dell’interessato – con l’unico limite di una preventiva idonea pseudonimizzazione/cifratura dell’identità del paziente – venendosi così a contemperare ragionevolmente ed efficacemente “diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32 Cost.).
E ancora: “da questo punto di vista un riferimento al legittimo interesse come possibile base giuridica di trattamento potrebbe, entro i limiti sopra visti, giovare alla promozione della ricerca osservazionale”.
Qui viene “sdoganato”, direi per la prima volta da una ente istituzionale di questo livello, quella sorta di “obbligo implicito” a utilizzare sempre e comunque il consenso aprendo la strada ad altre basi giuridiche (peraltro ci sarebbe molto da discutere sul fatto che il consenso, per questa tipologia di trattamenti, possa considerarsi veramente “libero”).
Sul legittimo interesse preme poi precisare un ultimo aspetto.
Tale base giuridica (combinata ovviamente con una delle eccezioni dell’art. 9) può per certi versi semplificare la procedura rispetto al consenso, ma richiede comunque altri (ed alti) livelli di attenzione. Può essere infatti legittimamente utilizzata solo dopo aver effettuato il c.d. bilanciamento di interessi.
Sul punto la sentenza della Corte di Giustizia (Seconda Sezione) del 4 maggio 2017 – C-13/16 ha stabilito un test in tre fasi:
1) l’accertamento dell’esistenza di un interesse da parte del titolare,
2) il trattamento dei dati deve essere necessario per tale interesse;
3) l’interesse del titolare del trattamento deve prevalere su quello dell’interessato (bilanciamento degli interessi), – e quindi il trattamento non potrà essere giustificato (lecito) se comporta effetti pregiudizievoli sui diritti e le libertà, o interessi legittimi, della persona fisica.
Ciascuna fase consiste in una valutazione separata dalle altre.
Perché questa Nota è così importante
Questa nota è così importante perché è stata emanata dall’organo nazionale di coordinamento dei Comitati Etici: chiaro che i Comitati possono decidere in maniera autonoma, ma è altrettanto chiaro che si tratta di un input molto forte.
La portata appare chiara se si guarda la strada che ha abbracciato l’Europa con la Strategia Europea dei dati e, in particolare, nell’architettura della Proposal of regulation of the European Parliament and of the Council on the European Health Data Space .
In questo contesto il valore dei Real World Data si palesa in maniera incontrovertibile nel recente documento comunitario Study on the use of real-world data (RWD) for research, clinical care, regulatory decision-making, health technology assessment, and policymaking (2021).
Proprio per tale valore e portata non possiamo restare indietro.